The Karate Kid I - II - III - IV

Cover Karate KidBill Conti
The Karate Kid (Karet Kid - Per Vincere Domani, 1984)
The Karate Kid, Part II (Karate Kid II, 1986)
The Karate Kid, Part III (Karate Kid III, La Sfida Finale, 1989)
The Next Karate Kid (Karate Kid IV, 1994)
Varèse Sarabande CD Club VCL 0307 1059 
Tiratura Limitata 2500 copie
CD 1: 21 brani- Durata 35’38”
CD 2: 20 brani- Durata 48’29”
CD 3: 20 brani- Durata 41’56”
CD 4: 24 brani- Durata 50’02”

The Karate Kid:

The Karate Kid, Part II:

The Karate Kid, Part III:

The Next Karate Kid:

Sgombriamo subito il campo e togliamoci il pensiero: non è il capolavoro assoluto di Bill Conti che ci saremmo aspettati questo sontuoso cofanetto di quattro CD, contenente tutte le partiture del compositore italo-americano per la quadrilogia di Karate Kid.

La memoria vacua e la nostalgia per gli anni’80 ci avevano fatto ingrandire a dismisura il valore reale di queste musiche che, pur rimanendo degli ottimi lavori, sono ben lontane dall’essere i punti di riferimento che credevamo.
Non si fraintenda però: molte pagine sono davvero belle, vibranti, declamanti simulacri di un tempo in cui la musica per film non era, come oggi, mera merce stilizzata e sterilizzata, ma viva, sanguigna, pulsante, coraggiosa.
Certo una lieve ripetitività, in particolare riferendomi al pur bel tema del vecchio maestro Miyagi che è davvero onnipresente, alla lunga fa vacillare anche il contiano di ferro: snellire il cofanetto a tre CD, selezionando meno brani dalla seconda, terza e quarta pellicola, avrebbe reso un servizio decisamente migliore a questo grande compositore, ma tant’è, e noi manteniamo intatta la nostra gratitudine nei confronti della Varèse Sarabande.
Entrando ora nel merito delle partiture vere e proprie, constatiamo che quella per il primo film resta la migliore, tolto qualche brano vagamente alla Moroder, ed è testimonianza fulgida del periodo d’oro di Bill Conti, gli anni’80 appunto.
Davvero non si può non restare ammirati davanti alla perfezione dei “Main Title”, che nell’arco di quattro minuti circa srotolano tutte le idee principali, i temi, su cui si baserà tutta la struttura compositiva, escluso solo il tema di Miyagi, che arriverà più avanti.
Fondamentale protagonista della trilogia di Avildsen è il flauto di pan, suonato dal mitico Zamfir nel primo e nel terzo capitolo, e imitato dallo strumento a valvole EVI nel secondo film della serie: basti l’ascolto dell’ultimo minuto del brano “Training Hard”, dove l’esposizione del bellissimo tema di Daniel da parte di questo strumento, avvolto da archi placidi e sereni, fa venire davvero le lacrime agli occhi.
E non si può dimenticare il brano che più s’è scolpito e sedimentato nella memoria di chi ha atteso fin’ora questo Cd: “Daniel Sees the Bird”, clamorosa fuga di sapore vivaldiano, inconfondibilmente contiana, che rivela l’eterno amore di questo compositore per il barocco come mezzo espressivo ritmico ancor prima che melodico.
Non può mancare il momento del riscatto sportivo e morale del protagonista, come Avildsen e Conti ci hanno abituati dai tempi di Rocky, nel trionfale “Daniel’s Moment of Truth” dove il tema principale viene issato a forza dall’orchestra (abbastanza esigua in verità) e fatto svettare con nobiltà da ottoni tutti e percussioni in un catartico finale da quinta shostakovichiana.
Il secondo score all’oggetto, di due anni più tardi, si impronta immediatamente su un colore più etnico, come si nota dai “Main Title” dove il tema di Miyagi subisce le variazioni più clamorosamente belle di tutta la serie.
Troppi però sono i pezzi in cui si susseguono lunghe e monotone esposizioni di questo tema e bisogna arrivare al bellissimo“Miyagi’s Home” per sentire qualcosa di nuovo: un grave, fragilissimo tema per archi che si dispiega dolente e sconfitto in tutta la sua semplice e tragica grandezza, così sussurrato che solo a parlarne si ha paura di ferirlo, di rovinarlo: un piccolo, vero miracolo musicale.
“The Funeral”, altro momento di indiscutibile grandezza compositiva, in cui un tema nuovo, rarefatto e timido si fa strada con la sua luce obliqua ma abbagliante fino a riversarsi nel tema d’amore di Miyagi in un amplesso che non ha soluzione di continuità ma che è latore di amore allo stato puro.
Bellissime le progressioni armoniche parossistiche del brano “Old Friends”, vero momento di alta musica d’azione in cui Conti fa vedere i muscoli senza mai cadere nel triviale e nel prevedibile.
Da manuale il finale “Daniel’s Triumph” dove il tema d’amore di Daniel e Kumiko riceve un’esposizione da cardiopalma, tutta ottoni e percussioni, in un trionfo orchestrale che rende giustizia al suo compositore.
Karate Kid III parte con un colpo micidiale in canna: un grandissimo pastiche nuovamente vivaldiano dalla forza d’impatto clamorosa nel brano “Terry Silver”, vera trovata su cui s’impernia l’ossatura dello score, altrimenti ripiegato sul recupero dei temi già scritti per gli altri film, in una rimasticatura che denuncia la mancanza d’ispirazione che il povero Conti deve affrontare arrivato al terzo capitolo della serie.
Belli davvero gli archi dissonanti del breve brano “Jessica’s Slip”, e notevole “Miyagi Kicks Butt” che recupera il moto d’azione di “Old Friends” dal secondo film.
Palma d’oro alla conclusiva “The Final Blow”, che fa l’appello a quasi tutti i temi della Trilogia in un brano contraddistinto dalla solita generosità di questo compositore, che si butta a capofitto nel gran finale della saga interpretata da Ralph Macchio, sigillando con una serietà senza pari una pellicola che stava in piedi a malapena.
E dopo cinque anni ecco il colpo di coda: i produttori della serie ci riprovano recuperando il povero Pat “Miyagi” Morita e, togliendo Macchio, ormai troppo vecchio, optano per una presenza femminile, una Hilary Swank alle primissime armi.
Il film di Cain (anche Avildsen molla la serie, a questo punto), è davvero brutto, imbarazzante e tocca a Bill Conti salvare il salvabile.
Il nostro opta per un sound decisamente più moderno e meno sinfonico, alla ricerca di un appeal più giovanile, ma è in un brano per piano solo, “Trainyard Emotions”, che ritroviamo all’improvviso il compositore di Slow Dancing in the Big City, con un pezzo d’altri tempi che stride con la moderna impronta sonora sin qui udita, e ci si disseta a questo breve, generoso momento, inconfondibilmente contiano.
Torna il tema d’amore di Miyagi del secondo film, che viene però espanso e portato verso nuovi lidi da una variazione al suo interno, per piano e orchestra, che ne allarga gli orizzonti verso luoghi mai scorti prima.
“Training Montage” vede il ritorno del tema principale del primo film, dopo una drammatica introduzione per archi e percussioni, in una foggia decisamente più moderna ma che lascia senza fiato per la bellezza: uno dei brani clou del quarto disco, senza ombra di dubbio.
“Miyagi’s Big Fight” con la sua urgenza tutta obliqua, tangenziale, vede il compositore chiudere finalmente i conti (orrendo gioco di parole...) con questa serie di film: un flauto di pan, non più di Zamfir, espone il tema principale del primo film in un commiato che sa di addio definitivo ad un vecchio, caro amico.
Il cerchio si chiude e cala il sipario su Karate Kid e sulla sua musica.
Oggi Bill Conti è un compositore praticamente ritirato a vita privata, non ci è dato sapere se per scelta personale o meno.
Ci manca come non mai una figura come la sua, la sua grande intelligenza compositiva, il suo mestiere, la sua ineffabile vena melodica: tutte cose che lo hanno portato ad essere uno dei grandi autori di musica per cinema della nostra era; tutte cose che lo hanno portato ad essere uno degli autori più cari al nostro cuore, per sempre, senza se e ma.

 

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