The Wrong Man

Cover The Wrong ManBernard Herrmann
The Wrong Man (Il Ladro, 1956)
Film Score Monthly FSM Vol.9 No.7
28 Brani - Durata 41’30”

Dopo un’attesa durata decenni, è finalmente disponibile l’imprescindibile partitura del grande Bernard Herrmann per il capolavoro di Alfred Hitchcock del 1956 Il ladro. Sul film di Hitchcock c’è da dire che, ad oggi, resta uno dei film meno visti e meno noti del geniaccio inglese, ma senza dubbio una delle vette più alte, se non addirittura la più alta in assoluto, della sua cinematografia: per la prima ed unica volta Hitch sperimenta uno stile “neo-realista”, in antitesi con le sue teorie sul cinema come intrattenimento puro, e in piena sintonia con i venti post neo-realismo italiano che, dopo avere seminato germogli per il mondo, stava per esplodere in Francia sotto il nome di Nouvelle Vague per mano dei giovani Truffaut, Chabrol, Godard, Rohmer, Resnais, Demy e compagnia bella.

 

 

Proprio in Hitch, questi giovani Don Chisciotte, troveranno un solido e anodino punto di riferimento autoriale, e ne Il ladro in particolare, la conferma della virulenza poetica incompromessa, quasi rosselliniana, del loro eroe. Hitchcock, dal canto suo, non sarà mai più cosi spietato, gelido e realista nel medesimo tempo, anche se, per certi versi La donna che visse due volte e Psycho sono figli diretti di questa pellicola, per la lucida autoanalisi che il nostro regista fa del suo rapporto ossessivo e onanistico con le sue attrici per mezzo dell’occhio della telecamera, vera propagine della frustrazione sessuale di Hitch, attraverso la quale egli tentava di possedere le sue meravigliose donne impossibili, abbracciandole tra le più sensuali e devotamente erotiche riprese che mai regista abbia dedicato alle sue muse.
Per Il ladro quel mefitico, impareggiabile genio che era Bernard Herrmann, senza ombra di dubbio il più grande compositore che mai abbia solcato la storia della musica per film, scrive la sua partitura più dura, scoscesa e lo si capisce facilmente già solo gettando uno sguardo all’organico orchestrale: 33 esecutori per fiati, ottoni, legni e percussioni e un solo strumento ad arco, un contrabbasso, che è lo strumento che suona Balestrero, cioè Henry Fonda nel film.
Il contrabbasso viene, ovviamente, solo pizzicato, come nelle orchestre jazz, ma ad Herrmann non interessa dare un ritmo da sala da ballo alla partitura, al contrario egli crea un effetto altamente psicologico attraverso lo strumento del protagonista della vicenda: quell’ossessivo, eternamente presente pizzicato delle corde è, di volta in volta, i secondi scanditi che il povero Fonda passa nella sua allucinante discesa agli inferi (spesso difatti, il pizzicato delle corde è su note discendenti, raramente ascendenti), oppure, in un eccesso di visionarietà, il rumore delle simboliche gocce di sangue e cioè di vita, che la vicenda sottrae al protagonista e alla povera moglie Vera Miles.
Per capire con un esempio pratico tutto ciò, basti ascoltare il brano “Police Van”, dove in quarantaquattro secondi soltanto Herrmann dipinge la scansione discendente dei passi del protagonista verso l’incubo e poi, improvvisamente, corni con la sordina e trombe ci spernacchiano una scivolata nella pura follia che attende il protagonista di lì a poco.
Il minimalismo a cui Herrmann tendeva da sempre, ma in particolare a partire dalla metà degli anni’50, trova qui il suo sfogo più conscio e lucido e avrà il suo punto di arrivo massimo in Psycho, che è però per certi versi, una partitura meno ostica e granitica di questa, vera analisi della follia incombente, passeggiata musicale sull’orlo del baratro della mente umana, paesaggio lunare dagli scorci apocalittici e senza speranza.
E’ proprio la mancanza totale di speranza e di luce a inondare l’ascoltatore che si avventura tra le note di questo capolavoro herrmanniano, disperato grido di ambizioni fallite, di cose perdute per sempre, di desolate note di corni e trombe in sordina come grida di aiuto provenienti da un pozzo profondissimo e nero, senza speranza di essere udite, senza speranza di essere salvati, oppressi da quell’abominevole mancanza di senso della vita, che Herrmann provò fino all’ultimo dei suoi giorni, senza rendersi conto che mentre soffriva e sudava sangue partoriva luce...luce...luce!

Stampa