A Passage to India

Cover A Passage to IndiaMaurice Jarre
A Passage to India (Passaggio in India,1985)
DRG Records 19081
12 Brani - Durata: 40’37”

Sembra incredibile che sia esistito un tempo in cui le colonne sonore dei film per i quali trepidavamo in spasmodica attesa, erano spartite più o meno equamente tra nomi come Jerry Goldsmith, John Williams, Maurice Jarre, Elmer Bernstein, Henry Mancini, Alex North, quando oggi, bene che ci vada, se li dividono personaggi che a costoro non meritano nemmeno di avvicinarsi per allacciargli le scarpe (e nomi preferisco non farne per evitare polemichette varie...), ma tant’è.

Ed ecco perchè una ristampa come quella dell’introvabile Cd del bellissimo film di David Lean Passaggio in India assume una portata quasi epocale: grazie alla etichetta DRG, molti giovani che allora non c’erano,  possono tentare di capire che stagione incredibile e definitiva furono gli anni ’80 per la musica da film.
Jarre è un autore che chiunque dovrebbe conoscere e approfondire, per la sua forza melodica, per la continua, instancabile ricerca timbrica e per la ricchezza della sua scrittura incompromessa: addolora profondamente saperlo definitivamente ritirato, quando una voce onesta e originalissima come la sua avrebbe ancora molto da dire e da dare.
Passaggio in India, premio Oscar per la migliore colonna sonora di quell’anno, ha un centro gravitazionale schizofrenico che ruota tra una meravigliosa melodia, quella di Adela, la protagonista del film, fortemente memore del tema principale di La Figlia di Ryan sempre del buon Jarre, e una sezione etnica di musica indiana composta dal compositore lionese (che, tra parentesi, al conservatorio si era specializzato nelle musiche etniche indiane e orientali).
La prepotenza sinfonica del tema principale, ludicamente srotolato su un tappeto d’accompagnamento spesso spensierato e arioso, possiede in sé tutte le contraddizioni della vicenda, della sua protagonista, profondamente avvinghiata alle tradizioni coloniali inglesi e al contempo stregata dall’esotismo della terra indiana, che si rivelerà meno faceta e turistica di quel che credesse.
Sentite la cristallina scrittura di “The Marabar Caves”, dove Inghilterra ed India si fondono musicalmente con uno spessore psicologico davvero raro e geniale o la magnifica marcia coloniale “Bombay March”, pezzo di bravura tipicamente jarriana, altamente contagioso e dalla raffinatissima scrittura.
“The Temple” e “Frangipani”, poi, sono due dei brani “assoluti” di questa partitura, dove la scrittura di Jarre raggiunge un tangibile effetto di calore tropicale e attraverso esso lo sdilinquimento, la mollezza erotica tipica della letteratura inglese coloniale, si materializzano d’incanto deformando la percezione psicologica e persino fisica del mondo: l’orchestra trasforma tutto in un miraggio, in un sogno da Mille e una Notte, tutto vibra, si scompone, si sgrana e resta solo la luce di una luna indiana troppo grande per essere vera, troppo favolosa per essere nostra soltanto.
La scrittura musicale di Maurice Jarre è un dono che chiunque deve farsi perchè ogni tanto ci meritiamo una luna bellissima tutta nostra, non il solito lampione visto di sfuggita riflesso in uno specchio scheggiato.

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