Eagle Eye

cover_eagle_eye.jpgBrian Tyler
Eagle Eye (Id. - 2008)
Varèse Sarabande 302 066 927 2
22 brani – durata: 1h 16’ 59”

 

Dissonanze. Un breve incipit tematico dalla sezione d'archi. Un crescendo. Atmosfera d'ampio respiro, percussioni etniche sullo sfondo. Elettronica. Una vigorosa sezione d'ottoni, sporca ma brillante, grassa e corposa, ma pulita. Questa la sequenza che introduce Eagle Eye, la nuova partitura di Brian Tyler.

Una ritmica che gioca con percussioni, timbales, piatti cinesi. Elettronica, del genere che spalanca le porte, ed invade, per poi farsi da parte, e lasciare il passo ad una esplosione di tromboni, che improvvisamente si celano dietro una dissonanza.
Eagle Eye, pellicola action thriller diretta da D.J. Caruso e interpretata da Shia LeBeouf (Transformers) e Michelle Monghan (Mission Impossible III, Mr & Mrs Smith, Constantine), narra le vicende di un ragazzo ed una madre single che, inconsapevolmente, divengono il bersaglio di una squadra antiterrorismo, convinta che i due siano coinvolti in qualche modo in un pericoloso piano terroristico.
Brian Tyler (Rambo, Aliens Vs Predator Requiem, Timeline, Constantine) affronta la pellicola con uno stile muscoloso, prorompente ed adrenalinico, alternando il largo utilizzo di elettronica e campionatori ad una presenza massiccia e magistralmente diretta del corpo orchestrale.
Il disco si apre con “Eagle Eye”, brano che si presenta come una breve ma intensa suite della partitura. Un incipit di dissonanze, elettronica ed un crescendo d'archi precedono alcune furtive sfumature elettroniche, per poi lasciare il campo ad un ostinato d'archi che anticipa un’esplosione di tromboni dalla ricercatezza timbrica nel tipico stile di Brian Tyler.
Il tema interpretato dal corpo orchestrale ha un respiro mozzato, una scala crescente che salta da una ritmica andante ad un taglio netto, tale da lasciare senza fiato l'ascoltatore. Il compositore statunitense sceglie di accostare una timida presenza di pianoforte ai momenti che fungono da collegamento con pagine di commento impregnate di uno stile drammatico e thriller, in cui pochi violini dipingono un clima d'alta tensione davanti ad una sezione d'ottoni vigorosa e corposa.
La presenza più interessante risiede nei collegamenti, ad opera dell'elettronica, che introduce con grande intelligenza l'esplosione del tema portante, di nuovo ad opera della sezione d'ottoni prima di un finale mozzato, da brivido.
L'elemento caratterizzante, nonché più seducente, della partitura è l'elettronica, che pur non occupando un posto in prima linea, riesce nelle retrovie a creare un tappeto dal gusto tecnologico e contemporaneo, in perfetto stile con la pellicola. Decisamente appropriata la scelta di Tyler di assegnare i momenti più drammatici e tematici alle varie sezioni d'archi (viole, violini e violoncelli), particolarmente apprezzabili in “Final Manipulations”. Il gusto richiama quello di Godsend o The Final Cut, ma solo per alcuni istanti, perché l'orchestrazione verte su ritmiche più serrate e ricche di una notevole carica adrenalinica. Eccellente, infatti, la scelta degli elementi della sezione percussioni: largo utilizzo di timpani di media grandezza alternati ad una grossa presenza di rullanti e gran casse, che risuonano nelle orecchie con una pulizia incredibile. La sezione d'ottoni alterna fasi di commento eroico a potenti entrate che rafforzano in modo sincopato, cadenzato, la ritmica andante del brano.
Grande vigore ritmico e perizia orchestrativa si misurano in pezzi come “Eagle Main Title” o “Escape”. Tyler nel primo ci regala una sequenza che non lascia un istante di fiato all'ascoltatore, attraverso un susseguirsi di situazioni musicali che si rincorrono, si sovrastano, si aggrappano l'un l'altra, pur mantenendo un profilo ed una distinzione quasi spiazzante. Il trionfo di percussioni introduce la maestosa esplosione degli ottoni, e la sezione d'archi rende il tutto ancor più drammatico ed adrenalinico, accompagnato da una sporadica entrata di elettronica che, con poche sfumature, piccoli passaggi, arricchisce e cesella ogni minimo movimento dell'orchestra.
In “Escape” invece offre, oltre a quanto detto fino ad ora, dei momenti drammatici di pregevole fattura, e degli "strappi" d'ottoni e dei "graffi" degli archi come non se ne sentivano da un bel po' in questo campo. Particolare menzione va fatta poi a momenti come “Chutes”, in cui la timbrica della sezione ritmica brilla di luce propria.
Non mancano ovviamente pagine d'ampio respiro, in cui il bravo compositore si cimenta nella scrittura sinfonica molto pulita, che rispetta la scuola classica, prediligendo la sezione d'archi, come la tradizione vuole. Apprezzabile “Honor”, caratterizzata da un tema patriottico, con uno stile andante e una progressiva scala tonale discendente, che punta a toccare le ottave più basse prima di riprendersi con un crescendo arpeggiato, marziale e dall'indiscutibile gusto eroico.
Il gusto riporta alla mente il patriottismo di Annapolis, ma l'orchestrazione presenta indiscutibilmente una maturità ben superiore alla partitura del 2006.
Particolare attenzione va prestata poi a “Ladders”, momento musicale in cui si susseguono virtuosismi ritmici ad un'alternanza di dissonanze e assoli della sezione d'ottoni.
Tra le ritmiche di “Operation Guillotine” e le sequenze adrenaliniche di “The Case” si arriva alla conclusione di questa meravigliosa partitura, tornando ad insistere sul valore ritmico, sinfonico e sintetico di momenti musicali come “Final Manipulations”, manifesto indiscusso dell'intera composizione, che con un eroico “Eagle Eye End Title” si chiude, lasciando ancora una volta l'ascoltatore, attraverso le sue note e un clima indescrivibile a parole, col fiato sospeso.
L'ascolto di Eagle Eye è un'esperienza epidermica. Tyler smuove frequenze tali da risvegliare i sensi più primitivi, facendo provare quella sensazione che percorre tutta la schiena e afferra il capo. Non si tratta però della stessa sensazione che si può provare ascoltando un Underworld Evolution di Marco Beltrami. E' diverso. E' un sound moderno, è un sound corposo, ma è anche un sound altamente tematico. Il bravo compositore decide di dare grande importanza alla sezione ritmica: timpani, rullanti, gran casse, timbales e altro ancora. L'evoluzione musicale della partitura è un susseguirsi di situazioni ritmiche, una tela fitta e ben tirata su cui Tyler dipinge un panorama a cui non si fa fatica ad associare toni come quelli della copertina dell'album, azzurro, un azzurro tendente al grigio… toni simili al Nemico Pubblico di Trevor Rabin, in cui il protagonista viveva nel film una esperienza assai simile. E, sarà ironia della sorte, anche il disco con la partitura di Rabin presenta gli stessi toni. Ma il sapore della musica è completamente differente.
Brian Tyler possiede l'orchestra, è uno strumento in mano sua, e riesce a gestirla in un modo tale da rendere l'unione con l'elettronica un connubio perfetto, direi quasi immancabile. L'esperienza maturata con Constantine gli conferisce capacità tali da creare atmosfere non invasive ma indispensabili, e la recente prova di The Fast And The Furious Tokyo Drift lo prepara per affrontare l'affiancamento della strumentazione sinfonica a quella sintetica.
La presenza di momenti dal gusto patriottico riporta alla mente lavori quali Annapolis o, per la vena sinfonica con ampio respiro, Children Of Dune. E' facile però rendersi conto che la crescita dell'artista è stata notevole dal 2002 ad oggi.
Eccellente lavoro, che forse impallidisce davanti ai grandi del passato quanto ad originalità e innovazione, ma quando penso a questo artista, alla sua giovane età, alla sua capacità di gestire da solo un'orchestra arrangiando, componendo, orchestrando e dirigendo senza aiuto alcuno, beh, io a quel punto non ho dubbi sul suo valore.
Brian Tyler ancora una volta non delude, ancora una volta non mi delude. L'artista, in cui ripongo gran parte della mia fiducia guardando al futuro di questo genere musicale, scrive pagine dense di un vigore, un dramma ed un carattere action dallo stile inconfondibile con estrema perizia. Qualcuno dirà di averlo sentitò già in The Hunted, qualcun altro troverà da commentare sulla scelta ritmica associandolo al John Powell di The Bourne Supremacy, ma non è così.
Eagle Eye è una partitura più matura, è il frutto di un Tyler che sboccia, che fa propria l'orchestra, che sa cos'è l'elettronica.
Passare dal crescendo wagneriano di Aliens Vs Predator Requiem ad una pellicola del genere può costare una regressione, un tornare indietro. Tyler è stato capace di proseguire, affrontando la pellicola nel modo giusto, ma senza scadere nel sound già sentito, anche se, e questo lo so, qualcuno presto o tardi gli affibbierà tale demerito. Ingiusto.

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