Babylon A.D.

cover_babylon_ad.jpgAtli Orvarsson
Babylon A.D. (id – 2008)
Varese Sarabande 302 066 925 2
23 Brani – Durata: 57’40’’

 

La pellicola diretta da Mathieu Kassovitz e interpretata da Vin Diesel, sempre in perfetta forma, si fregia delle musiche cupe, drammatiche e apocalittiche composte da Atli Orvarsson, artista legato alla MediaVentures di Hans Zimmer grazie alle sue collaborazioni in partiture quali Iron Man, Frost / Nixon, Pirates Of The Caribbean – At World’s End o The Simpson Movie nel ruolo di ghost-writer di musiche addizionali, nonché autore delle colonne sonore di alcune serie TV come Six Degrees o Law and Order. Lo score composto per Babylon A.D. risulta fin dai primi istanti molto affascinante, carico di atmosfere e presenze corali di notevole effetto, che proiettano l’ascoltatore in un mondo fantascientifico dal retrogusto drammatico e maestoso al tempo stesso.
L’album si apre con “Aurora’s Theme (Agnus Dei)”, brano dal sapore estremamente malinconico e teatrale, caratterizzato da un incastro corale d’insieme e singolo molto affascinante, capace di legarsi in modo assai accattivante ad un altro pezzo, “Babylon Requiem”, il quale esplode in una vigorosa sessione d’orchestra e coro imponente e penetrante, che in alcune costruzioni riporta alla mente i momenti più cupi ed inquietanti de Il Signore degli Anelli di Howard Shore.
Difficile infatti non captare qualche similitudine col compositore della trilogia dell’anello, sia per la costruzione ritmica, che ricalca il tema dei Nazgul, o la scelta corale, indubbiamente ispirata al medesimo movimento. A prescindere da queste similitudini il brano nell’insieme ha uno stile molto coinvolgente, e l’orchestrazione, pur non esaltando al massimo i singoli strumenti, riesce a far spiccare alcuni passaggi per archi e alcuni strappi d’ottoni d’indubbia bellezza, per non parlare della maestosità dell’esecuzione corale d’insieme che conclude il pezzo, maestoso e drammatico al tempo stesso.
Orvarsson sceglie un approccio ibrido nella scrittura della musica, sfruttando sia la grandiosità dell’orchestra e delle voci che la presenza pulsante e corposa dell’elettronica, elemento che più volte ritorna all’interno della colonna sonora ricoprendo ruoli marginali e di supporto. Sicuramente l’importanza maggiore viene data alla sezione d’archi, che spesso esegue pagine che ricalcano le classiche costruzioni action e piene di tensione tipiche della MediaVentures, seppur con uno spessore indubbiamente maggiore, ma la presenza costante e pulsante della componente elettronica collabora nella costruzione di un’atmosfera cupa e inquietante, che spesso viene aiutata da entrate molto dilatate delle voci maschili, com’è ascoltabile in “The Cold Walk”, enfatizzando quest’aria tetra e altamente emotiva.
Notevolmente più coinvolgenti i passaggi action, non tanto per la costruzione tematica quanto per l’incastro strumentale, che l’orchestrazione riesce ad esaltare abbastanza bene, alternando i vari componenti, che siano archi, ottoni, voci, in modo tale da non sovrapporsi mai, bensì da passare repentinamente dal primo piano alle retrovie in modo assolutamente fluido e naturale, fornendo il giusto spessore all’elemento portante di quel dato istante, che sia un vigoroso trombone o una grandiosa esplosione corale. “Too Many Refugees” rappresenta bene tutto questo; ugualmente interessante “Rover Chase”, caratterizzato da una costruzione tipicamente action concentrata su ritmiche ben note in casa MediaVentures, ma arricchite da alcune sporadiche entrate dei tromboni che suonano in modo pulito e penetrante sotto questa corsa martellante e frenetica, che però nella sua conclusione lascia un po’ d’amaro in bocca.
Sostanzialmente gli elementi sono pochi e piuttosto ricorrenti. Qua e là s’incontrano creazioni degne di nota, come l’interessante costruzione ritmica nella parte conclusiva di “Marketplace”, in cui una sessione di percussioni metalliche non eccelle ma sicuramente possiede un fascino tutto suo, o le interessanti atmosfere elettroniche di “Leave The Monastery” e “Future Vision”, che in quest’ultima viene rafforzata da un tappeto d’ottoni che quasi si fatica a distinguere dalla componente sintetica.
Indubbiamente coinvolgente la conclusione, “One Child At Time”, che, con una vena drammatica e malinconica, ripropone il movimento portante della partitura, conosciuto in “Aurora’s Theme (Agnus Dei)” accompagnato da una linea di pianoforte tipica di questo genere ma assolutamente adeguato nel suo ruolo.
Sostanzialmente la OST nell’insieme non ha particolari difetti, ma neanche picchi di notevole qualità. L’interesse maggiore risiede nella costruzione corale, che però l’autore utilizza un po’ troppo o quantomeno un po’ troppo allo stesso modo, rischiando di comprometterne la bellezza a causa della sua eccessiva ripetitività. Interessanti le orchestrazioni, che si discostano dallo stile monolitico dei suoi colleghi più grandi e si dedica alla ricerca del singolo, seppur con risultati mediocri, ma che di sicuro vanno apprezzati e incentivati.
Piuttosto buone, infatti, le presenze della sezione d’ottoni, che riesce a donare corpo e carattere a numerosi passaggi all’interno della colonna sonora, e per quanto scontati e già sentiti più volte nelle partiture MediaVentures, anche gli archi giocano un ruolo molto importante nelle costruzioni action e tensive. Numerose invece le sezioni che vengono poco esaltate, dalla lieve sezione dei fiati, che si percepisce appena nei movimenti più calmi, alla inconsistente componente ritmica, che talvolta gioca più un ruolo d’arricchimento che non un effettiva presenza solida e di riferimento.
In sostanza una colonna sonora interessante che vale la pena ascoltare, ma che purtroppo esaurisce le poche belle qualità nei primi brani, lasciando che il resto dell’opera ricicli un po’ se stessa, in parte compromettendo la buona impressione che pagine come “Babylon Requiem” o “Too Many Refugees” danno dell’intero lavoro.

Stampa