The Good German

The Good GermanThomas Newman
The Good German (Intrigo a Berlino, 2006)
Varèse Sarabande 302 066 781 2
29 brani – Durata: 44'10"



Seguendo le orme del padre: ascoltando The Good German di Thomas Newman questo sembrerebbe essere il primo e più banale pensiero che affiora alla mente. Fino ad oggi, il compositore di Alla ricerca di Nemo e Le ali della libertà si era infatti tenuto piuttosto alla larga dal sinfonismo opulento e dalle tessiture tardo-romantiche di cui il padre, il leggendario Alfred Newman, è sempre stato uno dei massimi alfieri e con cui ha contribuito a “fondare” la musica da film hollywoodiana. Il film di Steven Soderbergh ha però consentito al bravo Thomas una inusuale incursione in territori da lui ancora poco esplorati. L'occasione è stata motivata dal registro stilistico scelto dal regista per il suo film: in The Good German, Soderbergh utilizza gli stilemi di ripresa e la messa in scena della Hollywood anni '30 e '40 (oltre ad una bella fotografia in bianco e nero) per raccontare una storia di intrighi ambientata nella Berlino dell'immediato dopoguerra, dotandola però di complessità e sfumature a cui gli sceneggiatori del periodo non potevano certo accedere. La storia ha poi alcuni parallelismi con il celebre Casablanca di Michael Curtiz, che viene citato letteralmente nelle inquadrature conclusive.

Se l'operazione attuata da Soderbergh, in bilico tra omaggio rispettoso e gioco metacinematografico, non risulta pienamente convincente nel risultato finale, lo stesso non si può certo dire dell'ispirato e denso commento musicale di Thomas Newman. Il compositore ha accolto la sfida retrò proposta da Soderbergh e ha risposto con entusiasmo alla possibilità di navigare un po' nelle “acque paterne”: considerata la natura del film, Newman ha giustamente scelto di utilizzare un lessico di ispirazione sinfonica tardo-romantica, quello insomma a cui autori come Max Steiner, Franz Waxman, Miklos Rozsa e Alfred Newman facevano abitualmente ricorso. Tuttavia, la partitura di Newman non è semplicemente un omaggio al passato, né tanto meno una facile imitazione di quegli stilemi e di quel linguaggio: piuttosto il compositore sembra volersene impossessare daccapo, filtrandoli e facendoli propri, senza rinunciare ai suoi personalissimi tratti stilistici.

The Good German è comunque un tassello davvero inedito nel già notevole percorso artistico di Thomas Newman. Come dicevamo all'inizio, il musicista fino ad oggi si è tenuto distante dal lessico sinfonico di stampo tradizionale, preferendo seguire ispirazioni di matrice minimalista, mescolando abilmente tessiture elettroniche e suoni campionati ai tradizionali suoni acustici dell'orchestra e lavorando prevalentemente di sottrazione in ambito melodico ed armonico. Qui però Newman mostra un volto di sapiente architetto musicale, costruendo una partitura fatta di armonie dense e di temi avvolgenti. Il brano iniziale (“Unrecht Oder Recht”) è una sorta di ouverture che richiama i teutonici preludi di Max Steiner, grazie soprattutto alle potenti progressioni degli ottoni che intonano un drammatico inciso tematico (il quale sicuramente non sarebbe stato fuori luogo in un film Warner degli anni '40), a cui subito segue la seconda idea tematica principale dello score, ossia quello che potremmo definire il “tema d'amore”. E' soprattutto questa ispiratissima invenzione musicale che rappresenta il cuore della intera composizione e a cui Newman dedica i suoi sforzi maggiori. Questa fluida idea lirica ricca di cromatismi - che a ben sentire ha più di un punto in comune con i celebri love themes di papà Alfred - viene infatti abilmente piegata armonicamente in differenti maniere man mano che la partitura procede (“A Good Dose”, “The Big Three”), arrivando a culminare nel brano “The Good German”, in cui Newman affida il tema ad un malinconico violino solo (abilmente suonato con piglio anni '40 da Sid Page), raddoppiato e contrappuntato poi da arpa e violoncello. Anche il teutonico tema dei titoli di testa viene riesplorato in differenti vesti strumentali (“Kurfursterdamm”, “Stickball”) e sapientemente modulato (“Golem”). Newman si mostra poi davvero abile nel rivisitare le atmosfere e i colori del film scoring della Golden Age (“A Persilschein”), rielaborandole però attraverso un filtro assolutamente personale. E infatti, tornando più volte sull'ascolto di questa partitura, ci si accorge pian piano di come Newman non abbia affatto rinunciato alla propria profondità e ai propri tratti autoriali, ma di come li abbia soltanto vestiti di abiti differenti dal solito. I tre brani finali (“Always Something Worse”, “Godless People”,  “Jedem Das Seine”) ricapitolano le idee principali della partitura, formando così una sorta di piccola suite, e ci congedano dall'ascolto in maniera davvero sublime.

Ciò che appassiona e coinvolge in questa bella colonna sonora (probabilmente la migliore del 2006 e che avrebbe quindi certamente meritato l'Oscar) è proprio la ricchezza dell'intera composizione e la bravura di Newman nell'aver saputo dosare con grandissima attenzione tutti gli ingredienti. In una circostanza del genere sarebbe infatti stato molto facile cadere nella trappola del citazionismo fine a se stesso o, ancora peggio, dell'involontaria parodia. Il compositore ha dimostrato di avere ancora una volta una enorme sensibilità e di saper affrontare con grande bravura nuovi territori.

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