The Lazarus Project

cover_lazarus_project.jpgBrian Tyler
The Lazarus Project (id – 2008)
Varese Sarabande 302 066 948 2
18 brani – durata: 56’05’’

 

 

 

Dramma interpretato da Paul Walker (The Fast And The Furious, Timeline) e diretto da John Glenn, The Lazarus Project narra la storia di un uomo, condannato a ricevere un’iniezione mortale per un crimine da lui mai commesso, che si risveglia in un mondo che sembra essere una realtà alternativa. Il film è commentato dalle musiche composte da Brian Tyler, il quale si cimenta in una scrittura d’indubbio interesse, nella quale spiccano numerose sfumature stilistiche che contraddistinguono l’ormai noto artista statunitense, ma anche interessanti soluzioni che gli consentono di sviluppare pagine musicali molto originali e degne di attenzione. L’approccio iniziale che Tyler sceglie nel commento di questa pellicola sembra voler ricalcare linee già tracciate in lavori precedenti come Annapolis o The Fast And The Furious: Tokyo Drift, similitudine che si coglie principalmente dall’ausilio di arpeggi di chitarra, ritmiche per batteria dal sapore misto tra l’epico e il country, ed una costruzione tematica che in parte ricorda le classiche successioni melodiche ricorrenti nelle partiture del compositore americano. “Jaybird”, primo brano di quest’album, rispecchia questi aspetti tipici nella scrittura di Tyler deviando l’ascoltatore, il quale potrebbe aspettarsi una composizione più simile alle precedenti dello stesso autore di quanto non sia realmente.
Non bastano infatti i movimenti per violoncelli e pianoforte, immersi in un’atmosfera dal gusto mistico di “The Lazarus Project” per ricredersi sulla prima impressione avuta, ma il compositore si dimostra ben presto un artista molto più interessante attraverso “Discovery”, brano nel quale la componente atmosferica, seppur in alcuni passaggi rechi soluzioni simili a suoi vecchi lavori come Godsend, assume un sapore ed uno spessore molto più particolare, nel quale l’immancabile sezione di timpani si fonde con una costruzione sintetica che scandisce il tempo come un timer, lasciando che incastri d’archi e assoli di violoncello spicchino in questo passaggio assai variegato, che presto si evolve in una sessione dal gusto action, caratterizzata da una ritmica ed una scelta che per alcuni versi rammenta tanto la recente Eagle Eye quando la più datata The Fast And The Furious: Tokyo Drift, nonostante la cura timbrica risulti essere più in linea con l’action movie di recente uscita nelle sale italiane. Spicca una scelta puntuale ed interessante delle percussioni, in parte già conosciuta in una veste meno cesellata con War, nella quale la performance era molto più martellante.

Notevole e seducente, caratterizzato da un retrogusto drammatico e psicologico particolarmente incisivo, “The Divide” è un brano che cattura grazie all’interpretazione introspettiva per pianoforte e violoncello, strumenti suonati direttamente da Brian Tyler, il quale si rivela indubbiamente capace di smuovere le giuste corde nella creazione di un’atmosfera quasi psichedelica. E questo genere di sensazione si ripete anche nei primi passaggi di “Cold Harbor”, attraverso una costruzione però assai differente, principalmente basata su presenze sintetiche ed arpeggi di chitarra stranianti.

Il carattere più muscoloso e violento dell’artista, così come si è fatto conoscere durante gli anni attraverso le prorompenti Timeline o The Fast And The Furious: Tokyo Drift, assume un gusto molto particolare in “The Break In”, brano nel quale Tyler si cimenta tanto nelle sue ricorrenti costruzioni ritmiche per timpani sulle quali monta un alternarsi di effetti elettronici e strappi d’orchestra tipici della sua produzione, riuscendo però a conferire al tutto un’atmosfera piuttosto originale ed inquietante, capace di far vibrare la pelle senza ricorrere a stereotipi terrificanti, bensì procedendo per vie più trasversali, epidermiche, capaci di trasmettere forti sensazioni allo stesso modo in cui “Avery” comunica, impegnata in una dissonante sessione di violoncello sotto al quale un misto di sonorità sintetiche si mescolano a singole note di pianoforte eseguite alle ottave più alte, generando un’atmosfera quasi allucinante, che ritorna con un gusto molto più forte, accompagnata da sporadiche entrate d’archi, in “The Jumper”, lasciando che timide presenze elettroniche nelle retrovie sottolineino il carattere del movimento. 

La composizione offre numerosi spunti di riflessione, in particolar modo sull’impegno dell’artista statunitense nella stesura di pagine musicali che, pur riproponendo sapori e costruzioni tipiche della sua produzione, risultino essere molto più interessanti e di grande spessore rispetto a prove dello stesso tipo, come Godsend, ma assai meno incisive.
Molto importante è il modo in cui Tyler costruisce le atmosfere più inquietanti, generando situazioni musicali che spaziano tra lo psichedelico e l’introspettivo, attraverso l’ausilio di una strumentazione spesso essenziale, ma proprio per questo molto più adatta al conseguimento dello scopo prefissato rispetto ad un impiego massiccio del corpo orchestrale.
Manifesto di questa ricerca è la parte finale di “The Forest”, nella quale il compositore tralascia le sue sessioni ritmiche di grande impatto prediligendo una ricerca del singolo, eseguita dal violoncello, atta a ricreare questo sapore straniante, attraverso note stridule e dissonanze che spiccano su un tappeto molto silenzioso rispetto al suo standard.

The Lazarus Project si rivela molto più gradevole e ben costruita di quanto i primi brani del disco non dimostrassero, svelando anche una buona capacità interpretativa del suo autore, che tralascia per qualche momento batteria, chitarre elettriche e basso per dedicarsi a strumenti che indubbiamente conferiscono all’intera colonna sonora enorme spessore e rappresentano una buona crescita artistica.

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