Jackals

cover jackalsAnton Sanko
Jackals (2017)
Notefornote Music NFN-9003
18 brani – Durata: 42'03”

Compositore non conosciuto quanto meriterebbe, Anton Sanko è una di quelle “riserve” del parco statunitense che val la pena di seguire con attenzione. Il suo territorio creativo prediletto è quello dell'horror brutale e insieme simbolico (The Possession, Oujia), cui si applica con soluzioni miste – tecnologiche e acustiche – e spietata intransigenza espressiva; ma saltuariamente lo si ritrova anche in contesti diversi, come il dramma familiare Rabbit Hole.

Jackals, diretto da Kevin Greutert (uno dei registi della serie “torture-porno” Saw), appartiene decisamente alla prima categoria, trattandosi di un “survival-revenge” di ascendenza quasi craveniana, notturno e foschissimo, che fa scarsi sconti ai nervi dello spettatore amante del genere. Ma Sanko sembra avere ambizioni e visioni un po' più vaste. Se è vero che l'iniziale “Jackals” assolve entro confini ben noti il proprio compito, con un rombante e opprimente pedale elettronico dal quale si levano sussulti e irruzioni di varia natura lungo una linea strutturale che però svela qualche affinità con il secondo dopoguerra europeo (da Ligeti a Penderecki e Lutoslawski sino ad Arvo Pärt), già in “Any sign of them?” e soprattutto “Give us a hand” si fanno strada altre presenze più comunicative, nell'intervento severo dei legni, in un assolo del violoncello e addirittura – nel secondo - in una reminiscenza herrmanniana negli archi.
 Con “Thanatos” si torna tuttavia ad atmosfere allucinatorie e devastate, con un fascio di suono soffocante e incombente dentro il quale si agitano i formicolii degli archi, anche se il compositore non rinuncia mai ad un lato meno oscuro ed ermetico, quasi ad evocare una luce di speranza e di salvezza, sia in quella sorta di inno sotterraneo che è “Brainwashed” sia nella trasognata e sospirosa ballata per chitarra di “Two kind of brothers”: la perfetta padronanza dei due elementi – orchestrale e synth – consente poi a Sanko di creare impasti sonori dal potenziale fortemente destabilizzante e suggestivo, come in “One the worthy”, dimostrandosi così compositore agguerrito e in pieno possesso delle tecniche e del linguaggio tipici di alcune avanguardie contemporanee, ma con una venatura lirica sempre pronta ad emergere. Ecco allora che, in “Be strong”, dal vischioso magma delle percussioni si fa strada il suono manipolato ma celestiale di un pianoforte o, in “Underestimated them” gli archi intonano quasi un requiem, ripreso in forma più liquefatta e astratta in “Psycho Brigade”.
 Ne deriva che pagine di puro effetto come “Where is the baby?” o “Jimmy's tattoo” sembrano quasi il tributo d'ufficio pagato da Sanko alle convenzioni di genere mentre la sua ispirazione appare decisamente più attratta da momenti addirittura di intenerimento melodico come “It's me”. La giustapposizione tra questi due versanti espressivi crea nella partitura quella dialettica e quegli effetti di contrasto che così spesso mancano invece nelle score di molti compositori contemporanei, preoccupati solo di alzare il volume e pigiare sul “loudness”; Sanko invece lavora di punteruolo, non di mannaia, come nelle sospensioni di “I killed my brother”, o nella ripresa della ballata chitarristica di “The deal”, ottenendo così un'altalena di sensazioni e sentimenti che è esattamente ciò che difetta all'horror musicale mainstream.  In tal modo le repentine irruzioni o “strisciate” di brutale elettronica, ad esempio in “I'm with you”, provocano il desiderato soprassalto, mentre i tremoli agghiaccianti degli archi immersi nel fiume di lava sonora di “The swings” mettono davvero i brividi.
 E il commiato di “I am the father”, che per un'ultima volta accosta un forte elemento melodico e lirico ad un orizzonte sonoro di livida fissità, conferma il valore di una score e di un compositore che ci dimostrano come si possa, anche dentro un genere ormai così affollato, ritagliarsi tenacemente uno spazio di originalità e suggestione.

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