The First Purge

cover the first purgeKevin Lax
La prima notte del giudizio (The First Purge, 2018)
BackLot Music
23 brani – Durata: 55'08”

Stati Uniti d'America, anno 2022. Dopo che anni di sciagurate politiche iperliberiste hanno portato la disoccupazione a cifre record, di fatto affossando l'economia e la vita sociale del paese, anche la criminalità ha raggiunto livelli intollerabili. Il tutto ha spalancato le porte all'instaurarsi di un regime oligarchico e totalitario che ha istituito, una volta all'anno, la cosiddetta “notte di Sfogo” (Purge): 12 ore di coprifuoco al contrario, durante le quali ogni nefandezza, omicidio compreso, è legalizzata e non punibile, e ogni arma è lecita. Con due paletti: non possono essere colpiti gli alti funzionari del governo e non possono essere usate armi atomiche (!). Un sistema che soddisfa il Potere, anche perché tende ad una ovvia selezione di classe: i più deboli, i più poveri e indifesi, i più disarmati saranno via via i primi ad essere eliminati, favorendo quindi l'alba di una nuova, più pura ed efficiente società.

 Sono le premesse e lo scenario del ciclo Purge, da noi La notte del giudizio, pensato nel 2013 dal 44enne regista newyorkese indipendente James DeMonaco e portato avanti in una trilogia, La notte del giudizio, Anarchia – La notte del giudizio (2014) e La notte del giudizio - Election Year (2016), cui si aggiunge ora il prequel La prima notte del giudizio diretto da Gerald McMurray ma scritto sempre da DeMonaco.
 Futuro distopico quindi, ancora?
 Forse sì, ma... non sembrava distopico nel 2013 anche immaginare che di lì a 4 anni un miliardario bancarottiere illetterato e maleducato, con un gatto morto in testa, sarebbe diventato il capo della più potente e armata nazione del mondo? E la società americana immaginata da DeMonaco è tanto diversa da quella pistola in pugno che piacerebbe tanto ai suprematisti di ogni latitudine, dove una “selezione naturale” (magari con un piccolo aiutino...) provvede a far fuori gli ultimi, i reietti, gli “altri”, i non integrati incapaci di produrre e consumare?
 Ne deriva che Purge, forse oltre le stesse intenzioni di DeMonaco, è il ciclo horror (perché di horror, e tostissimo, si tratta) più “politico” e sociologico degli ultimi anni: di qui il devastante, cupissimo realismo della messa in scena, di rara claustrofobia, che ha trovato nelle partiture di Nathan Whitehead, un veterano di seconda fila ma con un denso curriculum all'attivo fra cinema e TV, un'adeguata resa musicale in termini di tensione, azione e vitalità sinfonica. Più che horror music insomma quella di Whitehead è action music, che aiuta non poco a parteggiare nei film per le vittime designate, impegnate a lottare per la sopravvivenza nella Notte del Caos.
 Il giovane Kevin Lax, attivo da oltre un decennio soprattutto in molti corti ma segnalatosi anche con la tesa score per Burning Sands – Il codice del silenzio (2017), sempre di McMurray, un aspro dramma sulle prepotenze del nonnismo in una confraternita blindata, sceglie invece una strada diversa, in un certo senso più radicale ed esplicita. Il film si addentra infatti ancor più nelle ragioni e nei calcoli politici e sociali che hanno condotto all'istituzione dello “Sfogo”, seguendo in particolare le vicende di alcuni soggetti particolarmente vulnerabili; e Lax vi si dedica con colori e timbri scuri e densi, non di rado addirittura epici come dimostra (dopo il fulmineo e assordante biglietto da visita di “Chance to purge”) la severa “Rising anger”, con un sontuoso tema per archi poi ripreso in “Do not participate”. Pur mantenendosi abbastanza in linea con i dettami della “industrial music” piuttosto prevedibile in un simile contesto (“Blood baptism”), soprattutto con l'utilizzo spregiudicato della percussione elettronica e di effetti laceranti (“Very angry”), Lax appare infatti interessato ad una drammaturgia musicale più articolata e sofisticata (“Island experiment”), in cui ampie volute si alzano e lievitano in fasce immateriali di suono oppure si raggrumano minacciose e stridenti in una specie di rumorismo di fabbrica (“Nowhere to run”) che si concede persino qualche digressione heavy-metal, come in “Purge party”.
 Tutto, in questo paesaggio acustico premeditatamente sgradevole, suona ostile e respingente, ma a tratti, come in “Getting personal” e “The facts don't lie”, si sforza di emergere un tematismo incerto e faticoso, prevalentemente negli archi, sovrastato però dall'eco sinistra dell'elettronica. La manipolazione delle voci, decisamente orrorifica, in pagine come “The 14th floor” o la chiamata in causa del rapper Desiigne in “The reaper cometh” mantengono però saldamente il legame con una dimensione realistica, di sfida, che si esplica appieno in momenti di pura azione come “Evil face revealed”; e se “Almost doesn't count” vede gli archi impegnati a lottare contro il diluvio di effetti synth, comprese pale di elicottero (!), affermando una frase meditativa e concentrata, il terminale “Next year, we fight” si abbandona finalmente, per la prima e ultima volta, ad un accorato melodismo la cui evidente funzione, narrativa e psicologica è quella di simboleggiare la Resistenza del nostro status di esseri civilizzati contro le barbarie che ci minacciano non già da “fuori”, bensì dall'interno.

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