Annihilation

cover annihilationBen Salisbury, Geoff Barrow
Annientamento (Annihilation, 2018)
Lakeshore Records/Invada
18 brani - Durata: 59’57”

Le vie della fantascienza, così come quelle dell'horror, non sono poi così infinite, se è vero che negli ultimi anni stiamo assistendo, soprattutto nel primo caso, ad evidenti sintomi di stanchezza creativa e di ripetitività tematica. Né può mancare dal risentirne l'aspetto musicale, che ormai tende a segregare i compositori nei rispettivi laboratori ultratecnologici, condannandoli ad escogitare sempre più stregonesche alchimie elettroniche peraltro ormai difficilmente distinguibili le une dalle altre.

 A volte però qualche personalità esce dal coro e cerca di elaborare qualcosa di più complesso e meno scontato, pur rimanendo fedele ai canoni prefissati e quindi ad una geografia dell'audiovisione ormai in gran parte esplorata. Accade con il duo formato dai quarantenni britannici Geoff Barrow, noto soprattutto come produttore musicale nonché componente della band trip hop dei Portishead, e Ben Salisbury, compositore da tempo attivo in TV: i quali, incontratisi in passato in occasione di alcuni album e dopo essersi visti rifiutare nel 2012 la score di Dredd 3D, scialbo remake del blockbuster del '95 con Stallone e musiche al fulmicotone di Silvestri (a Barrow&Salisbury fu preferito Paul Leonard Morgan) ci hanno riprovato nel 2014 con maggior fortuna in Ex_machina, inquietantissimo thriller fanta-robotico che segna l'esordio nella regia di Alex Garland, già sceneggiatore e produttore di Danny Boyle in particolare per il dittico horror 28 giorni dopo e 28 settimane dopo.
 Ed è di nuovo Garland che ora Barrow e Salisbury ritrovano per un altro cupo e pessimistico mystery fantascientifico tratto dal primo capitolo della cosiddetta “trilogia dell'Area X” pubblicata nel 2015 dallo scrittore statunitense Jeff VanderMeer e le cui tappe seguenti s'intitolano “Autorità” e “Accettazione” (tutti pubblicati da Einaudi): vagamente ispirata ai cosiddetti “misteri di Roswell”, ossia ai presunti sbarchi alieni avvenuti nel 1947 in Nuovo Messico, la trilogia segue le varie missioni scientifiche di équipes (tutta al femminile quella di “Annientamento”) inviate a far luce sugli inspiegabili fenomeni che si registrano in una isolata località del territorio americano classificata “segretissima” dal governo.
 Nihil sub sole novi potremmo osservare, specie in epoca di fake news dilaganti e oscurantiste. Ma la fantascienza lavora da sempre sulle ipotesi, non sulle tesi, e a spargere il seme del dubbio contribuisce non di rado la musica, con il proprio linguaggio ontologicamente ambiguo. Càpita allora che qui, ad esempio, in “What do you know?”, la spessa coltre elettronica che i due musicisti stendono sul brano venga diradata dal repentino apparire di una chitarra classica sotto forma di piacevole e nostalgica ballata. Un'epifania che si ripete ancor più suggestiva in “Disoriented”, creando echi di un'atmosfera country decisamente spiazzante nel contesto assegnato: va da sè però che il climax preponderante del lavoro sia quello declinato ad esempio da “Approaching the shinmer”, dove le fasce di suono tecnologicamente ottenuto si immobilizzano in una minacciosa fissità, ben lontana dalle deviazioni quasi romanticheggianti e oniriche di Ex_machina, con improvvisi, digrignanti crescendi e rintocchi dall'eco inequivocabilmente funerea. Tuttavia, i limiti abbastanza restrittivi di una concezione musicale pericolosamente vicina al semplice sound design vengono oltrepassati dal duo britannico grazie ad una indubbia capacità suggestiva ed evocativa ottenuta con relativa semplicità di mezzi e senza ricorrere a conflitti dinamici o movimenti sussultori particolarmente violenti. Ad esempio vengono privilegiati effetti di riverbero o spostamento del suono a espedienti più spettacolari, come in “The watchtower”, dove ricompare il tema iniziale per chitarra, sorta di residuo scampolo di umanità; oppure procedure di modulazione che lavorano magari su un coro muto manipolato, di impronta quasi mistica, che rimanda direttanente a “Nettuno il Mistico” dalla suite “I Pianeti” di Gustav Holst, o alle cosmogonie sacre di György Ligeti utilizzate da Kubrick nel suo “splendido cinquantenne” 2001 Odissea nello spazio. La chitarra si ripresenta anche, ostinata come una voce umana che non voglia essere zittita, in “Cells divide”, e puntualmente come in ogni altra occasione viene fatta sfumare sullo sfondo lattiginoso di fluttuazioni e distorsioni di suono che ispirano, più che superficiale paura, un senso di claustrofobia psicologica prima e ancor più che fisica. Ciò vale anche e soprattutto per pagine come l'allucinatoria “The bear”, per la quale viene da evocare un termine anglosassone, ominous, che non è reso con altrettanta pregnanza dal corrispettivo italiano “infausto” o “malevolo”: qui si sprigionano infatti sonorità metalliche ed elettriche, irte di scariche violente cui seguono spauriti silenzi, in una successione di visioni acustiche (se ci si passa l'ossimoro) cui non paiono del tutto estranee alcune sperimentazioni di Penderecki o del primo Nono.
 Il tutto trova una specie di manifesto e di sublimazione nella sontuosa “The alien”, oltre dodici minuti di superba avanguardia elettronica in cui i vari livelli di emissione, i registri e le fonti di suono si strutturano in fasce ora sovrapposte ora nettamente differenziate, in parte rifacendosi allo Johánnsson di Arrival in parte agli inesauribili laboratori di musica elettronica fioriti in Europa dopo i celebri corsi di Darmstadt degli anni '50 del Novecento. Il riaffiorare dei lamenti corali, seguiti da minacciosi accordi usciti dalle viscere della terra, viene poi inghiottito in una vertiginosa sequenza di mutazioni acustiche che cambia rapidamente da una solennità quasi ecclesiale a un repellente ronzio di cavallette invasive, delineando perfettamente una sensazione di pericolosa e imprevedibile aleatorietà dell'essere umano dinanzi all'ignoto.
 Il che viene degnamente sigillato dalla terminale “Annihilation”, che si dipana tra volute spettrali e incastri timbrici per chiudersi su un lunghissimo pedale dinamicamente altalenante, che si spegne progressivamente evaporando in lontananza. È la conclusione – ma potrebbe benissimo essere l'inizio – di un viaggio nelle tenebre e nel dissolvimento delle nostre certezze: una specie di interminabile tunnel in fondo al quale non sembra scorgere luce alcuna, e che anzi la partitura di Barrow e Salisbury, malgrado occasionali sprazzi di illusoria speranza, rende ancora più buio.

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