Thelma

cover thelmaOla Fløttum
Thelma (Id., 2017)
The Orchard Record
20 brani + 1 canzone – Durata: 32'51”

I compositori nordeuropei intrattengono con le tecnologie un rapporto ambivalente. Da un lato ne fanno largo impiego soprattutto alla ricerca di un suono anticonvenzionale, non naturalistico ma psicologicamente complesso; dall'altro però, diversamente dai loro colleghi statunitensi, non rinunciano mai ad una componente espressiva, melodica, profondamente emotiva. Anzi è proprio l'interazione tra questi due elementi a rendere le loro partiture cinematografiche spesso di notevole valore e grande efficacia comunicativa.

 In realtà sono caratteristiche che possono a buon diritto essere estese anche a quelle cinematografie, capaci di sollevare conflitti etici, drammi individuali, interrogativi radicali con una intransigenza, una durezza drammaturgica e nello stesso tempo una sensibilità sconosciute a qualsiasi altra latitudine.
 Il norvegese Ola Fløttum è uno dei più attivi esponenti di questa scuola nazionale cinemusicale, anche se poco di lui si conosce fuori dai suoi confini: i due titoli più noti tuttavia, Forza maggiore di Ruben Östlund e Segreti di famiglia di Joachim Trier – tipici esempi di drammi privati caricati di valenza universale – sono sufficienti a darci il ritratto di un compositore assai complesso, che non cerca scorciatoie linguistiche ma persegue obiettivi più ambiziosi di approfondimento intellettuale e creazione di atmosfere sospese e inquietanti. I mezzi con i quali ottenere questo risultato sono naturalmente differenziati a seconda delle circostanze.
 In Thelma ad esempio, ancora di Trier, thriller soprannaturale con risvolti horror e una forte fisionomia di love story lesbica, anche l'orizzonte su cui agisce il compositore è duplice, e soprattutto intercomunicante. Ossia angoscia e commozione convivono e si compenetrano in uno scenario musicale affascinante e insinuante, che comunque non si esaurisce nel ricorso all'elettronica ma comprende anche inserimenti strumentali suggestivi, in particolare degli archi (“Blindern”). Anzi, a dire il vero, il musicista sembra più attratto dall'aspetto neoromantico che da quello genericamente orrorifico: questo almeno sembrano dirci lo struggente quanto semplice tema principale vibrante di pathos e mistero, che emerge dal “Prolog” o la lamentosa, e in un certo senso spirituale ma altrettanto elementare frase di “Thelma”, costruita secondo uno schema ricorrente; un accordo fisso di sostegno, e il motivo che si alza faticosamente riavvolgendosi continuamente su se stesso.
 Dimentichiamoci dunque effetti horror alla Beltrami o alla Bishara o alla Velàzquez, per intenderci; Fløttum punta al cuore non allo stomaco, e ad esempio delega il breve, carillonistico “Thelma's theme” al tocco cristallino del gruppo techno-pop Torgny & Soft System, presenti anche con il finale “Sister Solaris”, dal caratteristico sound anni Ottanta. La brevità delle tracce e complessivamente dell'intera partitura contribuisce poi a questa impressione di aleatorietà, nella sua successione di sipari che si aprono e chiudono rapidamente svelando visioni incerte, sfuocate, passeggere, d'impianto sostanzialmente onirico, come “På balkongen”. In questo Fløttum si conferma come compositore tipicamente nordico, portato cioè a forme allusive, stilisticamente sobrie e rarefatte, cionondimeno radicali nel contenuto espressivo, e comunque estranee alla tracotanza rumorosa e muscolare di tanta produzione che va per la maggiore.
 Ma attenzione: il suo linguaggio è lontano anche da tentazioni minimaliste, giacché alla sottrazione dinamica (la score si muove per intero lungo un costante pianissimo) corrisponde sempre una fortissima cifra comunicativa, a tratti addirittura patetica, evidente anche nelle fasi strutturalmente più irrequiete, come l'accordo “morto” e fisso di “Thelma og Anja” che fa da sfondo alla ripetizione ipnotica e funebre dell'idea secondaria di tre note; e in ogni caso le soluzioni adottate da Fløttum lavorano più su moduli di stampo impressionistico, con la ricerca di amalgami sofisticati tra registri gravi e acuti (le due parti di “Flashback”), ancor più penetranti quando entrano in campo strumenti tradizionali come il quartetto d'archi (“Heksemontasjen”).
 La score prosegue in un percorso di progressivo assottigliamento, calibrandosi intorno ad un magistrale utilizzo del silenzio o dei suoni appena accennati, estinguendosi lentamente tra frasi misteriose (“Thelma til huset”) e ieratiche successioni di accordi ultraterreni come in “Thelma (rulletekst)”; indicando insomma con sempre maggior chiarezza e rigore una via interiore, psicologica e tormentata alla comprensione dell'inesplicabile. Ancora una volta, si tratta di una concezione e di un pensiero creativo inequivocabilmente “nordici”, che si possono far discendere direttamente dal cinema di Bergman e Dreyer, e che trovano in compositori come Ola Fløttum e molti altri suoi colleghi di quelle regioni altrettanti preziosi e lucidi sceneggiatori musicali.

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