The Last Boy Scout

cover last boyscout expandedMichael Kamen
L’ultimo boy scout – Missione sopravvivere (The Last Boy Scout, 1991)
La-La Land Records LLLCD 1331 – Edizione limitata 3000 copie
24 brani + 1 canzone + 3 bonus tracks – Durata: 78’07”

Se un attacco cardiaco non lo avesse portato via nel 2003, Michael Kamen avrebbe compiuto lo scorso aprile 70 anni e sarebbe sicuramente oggi una figura egemone nel campo della musica per film d’azione. L’adrenalina scorreva infatti a fiumi nelle sue composizioni, unitamente ad una grande libertà formale e ad un polistilismo quasi maniacale, che lo trasbordava da Beethoven ai Queen, dal folk irlandese ai Metallica magari passando per il nostro Morricone, con spiazzante, rapida e felicissima  disinvoltura.

Il suo sound è divenuto negli anni uno dei più facilmente riconoscibili, con quelle fanfare brevi e secche, e gli ottoni divisi spinti in registro acuto; e la sua fortuna nell’action movie si è costruita grazie alla capacità di spezzettare continuamente il discorso musicale in sequenze interdipendenti, talvolta applicando con molta autonomia la tecnica del mickeymousing. L’apparente frammentarietà del suo pensiero musicale non si disgiunge infatti mai da una visione d’insieme, unitaria, che ne sorregge e motiva le diverse componenti in un percorso governato da un’implacabile “regia” sonora e da uno stile assolutamente unico, non privo di humour.
Sono doti che hanno portato Kamen ad accompagnare alcuni dei maggiori successi di star del genere come Arnold Schwarzenegger, Bruce Willis, Christopher Lambert, e che lo hanno visto collaborare con particolare successo ai film del produttore Joel Silver (le serie di Arma letale e Die Hard), che insieme a Jerry Bruckheimer è la figura che più di ogni altra ha rivoluzionato ed esaltato i canoni del cinema d’azione tra gli anni ’80 e ’90. Tra questi L’ultimo boy scout – Missione sopravvivere occupa un posto particolare non solo per i continui dissidi tra Silver e il regista Tony Scott non meno che tra i protagonisti Bruce Willis e Damon Wayans, ma perché questa OST rappresenta una concezione diametralmente opposta a quelle in cui si sarebbero mosse le successive score per i film degli Scott Brothers, spesso sotto l’egida della Premiata Ditta Zimmer & Co. e quindi all’insegna di un gigantismo tecno-epico fastoso e strenuamente affermativo.
Kamen si muove in direzione antitetica: il suo sinfonismo è tirato a lucido, tagliente, corrosivo, le frasi brevi e spezzate, la suspense ottenuta con modalità classiche (tremoli di archi, dissonanze di fiati, alternanza di progressioni e silenzi, come in “Closet reveal”), i momenti di intimità o malinconia risolti più nel segno della tensione che del sentimentalismo (si ascoltino la sospesa, perorante “Meeting Joe The Dick”, con quel breve tema ascendente di corni e poi violini seguiti da una frase discendente ripetuta, o il cameristico, essenziale “Flashback no.1”), e l’ironia, che pure nel film è  largamente presente, scorre sotto pelle di una score ansiosa e irregolare, nella quale convivono molte anime che non si elidono ma anzi si completano vicendevolmente.
Se l’apertura dei “Titles” è un veloce ma nitido “logo” kameniano, già in “Death on the Gridiron” si ha una prova esplosiva dell’idea che il compositore aveva di action music: violentissimi quanto secchi  accordi di ottoni, rapinose figure degli archi, pause improvvise e piene di angoscia. Ma anche un secondo, struggente tema introspettivo, ripreso da legni e dal basso pizzicato in “Lerve” e “Jimmy’s flashback”, che insieme a “Jimmy and Joe in garage” e al dolente “Life sucks” costituisce uno dei momenti più raccolti della partitura. Nonché una dimostrazione di come Kamen sapesse coltivare anche una vena melò di coinvolgente espressività.  
Molto interessante poi la presenza di passaggi jazzistici affidati al contrabbasso (“Jimmy on the phone”, “Joe in the woods”), anche se si tratta di un jazz lunatico e contaminato continuamente – come nel secondo brano citato – da incursioni strumentali di fattura squisita: si ascoltino i tremoli dissonanti dei violini e più in generale la facilità con cui il compositore sfonda le palizzate tonali per avventurarsi sui sentieri di un modernismo senza se e senza ma (esemplare, in tal senso, una traccia come “Shelly’s office”, pregevole scampolo di musica contemporanea).
Da un punto di vista ritmico, la score sembra quasi immobilizzata in una lunga sequenza di ralenti, con alcune cospicue eccezioni: l’incipit di “Joe in the woods” e l’ossessiva, martellante e spettacolare “BMW chase” dove si fa strada per la prima volta un episodio in forma di “giga” irlandese. Ma la dinamica interna di queste pagine, dove ogni sezione vive di vita propria pur originandosi e sfociando dalle e nelle precedenti e seguenti, non ha bisogno di agitazioni inconsulte o di soluzioni inutilmente assordanti. Ne fa fede ad esempio la lunga suite “Joe to the rescue/Escape/Stadium/Irish washerwoman jig”: qui Kamen sembra voler ricapitolare tutti gli elementi costitutivi del proprio lavoro, in un’orchestrazione appuntita e lampeggiante (formidabile, come sempre, la sua direzione d’orchestra) dove si scatena tutta la potenza di fuoco e la complessità di una scrittura sinfonica poderosamente rigogliosa: e dove persino la ripresa conclusiva della danza irlandese viene assorbita in un lirismo sorridente e intenerito. Cifra che caratterizza anche, nonostante il titolo non proprio cavalleresco dedicato alla fedifraga consorte del protagonista, “Fuck you, Sarah”: che è forse la pagina più drammatica e vibrante della partitura, strabordante com’è di idee melodiche e dotata di un pathos orchestrale irresistibile.
A chiudere, dopo la performance del cantante soul americano Bill Medley in “Friday night’s a great night for football”, tre bonus tracks tra i quali si segnala una versione inutilizzata per archi degli “End credits”, anche questa sotto il segno di una severità e pacatezza rassicuranti.
L’ottima iniziativa La-La Land, che consente l’ascolto di una partitura di Kamen sin qui inedita, dovrebbe essere presa a spunto per riscoprire i molti, sorprendenti aspetti di questo artista che credeva nella “totalità” del far musica pur essendo perfettamente consapevole – anzi, coltivandole – delle differenze tra i vari generi. Ci permettiamo a tale proposito di consigliare l’ascolto dei suoi concerti per solista (chitarra e sassofono) e orchestra, ma soprattutto il lussureggiante e visionario poema sinfonico “The New Moon in the Old Moon’s arms”, disponibile in una bella edizione Decca con la BBC Symphony Orchestra diretta da Leonard Slatkin: dove si trova tra l’altro la versione completa di quella “American Symphony” un cui movimento è presente nel soundtrack di Goodbye Mr. Holland, come “sogno di una vita” finalmente realizzato dal protagonista/compositore Richard Dreyfuss, e che costituisce l’esempio più elevato di quell’eclettismo entusiasta e creativo nel cui segno si è dipanata tutta la troppo breve carriera di Michael Kamen.

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