Wind River

cover wind riverNick Cave, Warren Ellis
I segreti di Wind River (Wind River, 2017)
Lakeshore Records LSINV185CD
23 brani – Durata: 44’45’’



Quasi tutte le pellicole musicate da Nick Cave e Warren Ellis sono ascrivibili al genere americano per eccellenza, ovvero il western: da La proposta e The Road di John Hillcoat a L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford con Brad Pitt; film lontanissimi da derive action alla I Magnifici sette (il remake) e inscritti piuttosto nel filone - non certo nuovo - del “western crepuscolare”. Per quanto riguarda Cave, tale specializzazione cine-musicale è una diretta conseguenza del rock cupo e pessimista che ha caratterizzato tutta la sua carriera di musicista post-punk, e Wind River non è che un’altra tappa fondamentale di questo percorso, essendo questo “mistery” con Jeremy Renner e Elizabeth Olsen, nonostante l’assetto da thriller esistenzialista, un vero e proprio western sia per ambientazione (un Wyoming innevato) che per tematiche (la vendetta che prevale sulla giustizia). Sorprendentemente, si tratta di una storia di violenza che riesce nell’ardua impresa di dire qualcosa di non banale sul tema della “frontiera americana”, e il duo Cave/Ellis vi pone un prezioso sigillo con una musica altrettanto originale.

Alle prime pagine, come al solito, spetta il compito di stabilire il tono complessivo dell’opera: il tema al violino (suonato da Ellis) di “Snow Wolf”, stagliato su un freddo tappeto di suoni synt e rintocchi lontani di guitaret, vibra di un lirismo gelido che caratterizzerà buona parte della score, mentre in “Zed” esordiscono gli altrettanto presenti, lunghissimi pedali degli archi e gli interventi discreti del piano suonato da Cave. Geniale commento per le atmosfere di questo singolare thriller-western sono poi le voci lamentose di “Tell Me What That Is”, formulanti un inciso che verrà via via deprivato della sua aura minacciosa (tramite il mutamento dell’armonia) già da “Second Journey” e poi in “Third Journey”, dove a riprenderlo sono gli archi, giungendo infine all’esposizione ormai familiare di “Three Season In Wyoming”: come a descrivere la progressiva risoluzione del giallo.
Pochi ma rilevanti gli innalzamenti della temperatura emotiva: “Breakdown” e soprattutto “Memory Time”, vero apice del lato “umano” della score, con gli archi che si intrecciano su bassi e accordi del piano in un implorante crescendo; ancora meno le concessioni agli stereotipi della suspense music - rumorismo synt in “Third Journey” e dissonanze degli archi in “Cabin” - per una partitura che indulge piuttosto in una suggestiva rarefazione del discorso musicale: la presenza ondivaga di vibrafono e piano in “First Body” o ancora di piano e guitaret in “Never Gonna Be The Same” (pagina in cui il morbido “wall of sound” degli archi tocca il vertice del suo potere evocativo), fino alla sospensione quasi totale di “Lecture”. Gli interventi di voce etnica e del parlato di Cave (“Far from your loving eyes…”) costellano poi significativamente la score, amplificando, qualora ve ne fosse bisogno, il forte senso di solitudine che emana.
Con grande lucidità, Cave e Ellis in questo lavoro hanno scartato, ancor più radicalmente rispetto alla committenza, ogni tentazione sensazionalistica e qualsiasi spunto action, per restituirci una visione sonora di mesta, e tuttavia in qualche modo luminosa, rassegnazione.

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