Snowden

Craig Armstrong, Adam Peters
Snowden (Id., 2016)
Deutsche Grammophon DEGR-002559302
14 brani – Durata: 42’35”

Craig Armstrong
Snowden (Id., 2016)
Orchestral score
Deutsche Grammophon B01L3Z01JK
25 brani – Durata: 51’58”

Edward Snowden, Julian Assange, Mark Zuckerberg (e altri) sono tipici prodotti della modernità, con caratteristiche e competenze diverse: tutti e tre variamente impigliati in quella insidiosa Rete (meglio, ragnatela) che tiene insieme informazione e spionaggio, tecnologie e Ragion di Stato, pragmatismo ed etica. “Whisteblowers” i primi due, ossia votati grazie alle proprie capacità informatiche a denunciare pubblicamente autorità, attività illecite o fraudolente all'interno del governo, di un'organizzazione pubblica o privata o di un'azienda: Snowden, ex tecnico della CIA, svelò i piani segreti della National Security Agency e per questo è ora ricercato dal governo americano e protetto nella Russia di Putin (fino a quando?...); Assange è il fondatore di Wikileaks, sito-gola profonda planetaria, e vive riparato a Londra nell’ambasciata dell’Ecuador, che gli ha concesso la cittadinanza; Zuckerberg, fondatore di Facebook, uno degli uomini più ricchi del pianeta, è ora nei pasticci per lo scandalo di qualcosa come 70 milioni circa di profili e dati personali di utenti manipolati e venduti ad altre aziende, ovvero per manifesta incapacità di controllare il Moloch da lui stesso edificato.

 Storie diverse, dicevamo, che però accomunano tre giovanotti che da “nerd” quali sarebbero probabilmente rimasti sono assurti a fama, guadagni e guai navigando spericolatamente in quell’oceano smisurato di potenzialità, benefici e nefandezze che è la Rete, con tutte le trappole e i pericoli che essa rischia di costituire per le democrazie nazionali. Nessuna sorpresa dunque che, parallelamente al florilegio di film sul nuovo “Messia laico” Steve Jobs . n.1 della Apple, il cinema si sia dedicato a loro con opere in equilibrio tra la denuncia politica, l’analisi psicologica e il thriller: fu così nel 2010 per The Social Network di David Fincher (musica del duo Reznor-Ross), sulla genesi di Facebook e gli intrighi ad essa connessi, è stato così per Julian Assange nel 2013, la cui vicenda è stata portata sullo schermo da Bill Condon con Il quinto potere (score di Carter Burwell), ed è così per Snowden, finito nel mirino di un combattente della macchina da presa come Oliver Stone. Ed è proprio sul terreno del thriller politico con venature psicologiche e introspettive che si muove la raffinata partitura confezionata per la parte orchestrale da Craig Armstrong (alla sua quarta collaborazione con Stone dopo World Trade Center, Wall Street Il denaro non dorme mai e la serie documentaria tv The Untold History of the United States) in tandem con Adam Peters (anche lui reduce per questo regista da Le belve), che ha curato soprattutto la parte “hi-tech” della score. Un doppio incarico che ha partorito in realtà due album, il primo (di cui qui ci occupiamo) a quattro mani appunto, strumentale ed elettronico; il secondo del solo Armstrong contenente la versione esclusivamente orchestrale, con la prestigiosa London Sinfonietta diretta impeccabilmente da Cecilia Weston, senz’altro più tradizionale e accattivante specialmente in alcuni squarci classici di ampie proporzioni e ambizioni (l’imperioso “Snowden symphonic” o  la sontuosa “Realization”), ma nella quale si finisce per perdere proprio quella dicotomia stilistica che tanto contribuisce all’impronta sospesa e ambigua del film. Al cui soundtrack in ogni caso va sommato anche – secondo le note predilezioni musicali del regista – un potpourri dove Bach e Mozart convivono accanto a Peter Gabriel e al disc-jockey tedesco Boys Noize…
 Il clima  della partitura è a tratti quasi elegiaco, romantico, nettamente, ma anche provocatoriamente contrapposto a quella che è invece un’atmosfera palpabile di tensione e complotto: un dualismo che si avverte sin dall’apertura di “Hotel Mira”, con il suo mix di suoni elettronici (peraltro anche una specialità di Armstrong) e “ambient” con interventi strumentali di archi e piano. E che risalta ancor di più in “What ever happened to Paradise?”, in cui un pianoforte sognante sottolineato da una voce celestiale disegna un tema vagamente irlandeseggiante rinforzato dagli archi ma soprattutto dalle sinistre pulsazioni di sottofondo. Gli archi, morbidi e quasi liturgici, dominano anche la splendida “Burden of truth”, esprimendo sollievo e nostalgica tenerezza. Man mano che si procede, la score del compositore scozzese e del suo sodale allarga i propri orizzonti rinunciando programmaticamente agli elementi tematici o meglio confinandoli nell’austero e dolente tema dedicato al protagonista e in una seconda idea più ariosa e gaia per il suo legame con la fidanzata Lindsay, e continuando ad allineare fasi di gelido, ostile meccanicismo (“SD cards”, “Running out of time”) a oasi strumentali quasi “easy listening” come la bucolica “Hawaii guitar theme”, con approdi talvolta di grande suggestione come nel caso della solenne “After all. Three hop to anyone”.
 E poi improvvisamente ecco, in “Happiness montage”, il pianoforte giocherellone e infantile lanciarsi in una fioritura cantilenante e sostenuta intensamente dagli archi (il tema di Lindsay), il che ci ricorda l’Armstrong più sentimentale e ironico ad esempio di Love Actually – L’amore davvero o persino Via dalla pazza folla…  Se ne evince che, anche grazie alla musica, Snowden è visto innanzitutto e soprattutto come una vittima, se non proprio un eroe o addirittura un patriota, di un Sistema che prima crea i propri mostri e poi tenta di annientarli: il che è un leitmotiv ideologico costante nel cinema di Stone.
 Nel procedere, anche la parte la score di Armstrong si dilata in sonorità ampie e riverberate e lungo linee armoniche carezzanti e oniriche (”Ed copies data - Secret downloading variation”) mentre Peters  è alle prese con picchi sperimentali inquietanti (“Telling Lindsay”, “Download to Rubik”). Ma è Armstong a dominare il finale con “Ed is on tv” e soprattutto “Snowden Moscow variation”, dove agli archi (violini da una parte, celli staccati dall’altra) è affidato un mirabile contrappunto tra il tema pacato di Snowden, in versione processionale, e quello vitalissimo di “Happiness”: in quella continua sospensione tra ammirazione, fatalismo e ribellione che è la chiave di volta del cinema di Oliver Stone, e che Armstrong e Peters hanno saputo catturare con tanta lucidità.

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