Mathilde

cover mathildeMarco Beltrami
Matilda (Mathilde, 2017)
MovieScore Media MMS18002
23 brani – Durata: 60’17”

Che sia L’Elfman di Tulip Fever o il Beltrami di Matilda, sembra che i compositori solitamente adibiti ai generi “neri” vengano chiamati a musicare film in costume soprattutto quando questi sono improntati a un romanticismo rovinoso, tendente più all’erotico febbrile che non al sentimentale alla Jane Austen. Da par suo, Elfman ha tirato fuori, per il film con Alicia Vikander, una ricostruzione musicale d’epoca degna del Rozsa di Madame Bovary, senza i sofisticati esercizi di stile del maestro ungherese ma con il lancinante afflato malinconico che è parte irrinunciabile della sua poetica; Beltrami, per Matilda - “period drama” di produzione russa - si rifugia invece in una grandeur orchestrale forse un po’ di maniera, come dimostrano le numerose, imponenti enunciazioni del tema dedicato alla protagonista, ma certo giustificata dall’aderenza al testo filmico - racconto tutt’altro che edulcorato, come dimostra lo scalpore che ha accompagnato l’uscita del film in patria, della passione proibita da parte dello Zar di Russia Nicola II per una ballerina che porta il nome del titolo - e poi per una volta lontana da quello stile manierato alla Desplat che accompagna ormai la maggior parte dei film di questo genere.

Siamo piuttosto nel solco di un’intensità tutta beltramiana, evidente già nella scandita cavalcata in 3/4 che apre l’album (“Twilight of the Empire”) e poi nella struttura armonica del tema principale introdotto dal piano nella successiva “Mathilde and the Balloon Ride”: un classico “lamento” beltramiano che ricorda, specialmente quando rinforzato dagli ottoni, certi esempi di romanticismo maestoso e trattenuto come l’overture “Ruy Blas” di Mendelssohn, e che di volta in volta è caricato di un fiero patetismo (“Exposed”, “Train Kiss”) oppure ornato con elegante accademismo, come nella bellissima “Dress Reversal”.
Alle prese con un genere apparentemente lontano dalla sua poetica, il maestro di origini italiane si prodiga a tratti - così come fu già per Seventh Son - in chiari tributi allo stile di alcuni grandi della musica da film, come attestano certe armonie di “Dress Reversal” e i fraseggi degli archi di “Gassing the Raft”, chiaramente memori del John Williams più oscuro, o la propulsione ritmica di una traccia spudoratamente elfmaniana come “Tent Attack”; ma il clima complessivo, gravemente regale e turbato da moderne incursioni elettroniche, è beltramiano al cento per cento, e spiccano pagine agitate come “Church Chase and Train Crash” e “Obstacle Course”, dove gli ostinati per archi, gli scossoni degli ottoni e l’incalzare della percussione sono tali da non far rimpiangere le pagine più concitate del compositore.
Il sound è sofisticatissimo - al solito dominato da toni scurissimi - e nell’impasto timbrico di legni, archi e ottoni tocca talvolta momenti di alta suggestione, come nel cadenzato incipit di “Gassing the Raft”, pagina che insieme alla precedente “Dress Reversal” contiene le più raffinate riproposizioni del tema. Nella compagine orchestrale - la Mariinsky Theatre Symphony Orchestra diretta con mano sicura da Valery Gergiev - compaiono anche chitarra elettrica (nella sognante “Dream Kiss” e negli “End Credits”), campane funebri (“Dark Coronation”) e naturalmente l’arpa, cui spetta una chiusa particolarmente tetra: il finale di “Running Away”, scandito anche dal piano sul registro grave; altri vertici qualitativi sono “The Fall” e “Happiness”, con il piano ancora protagonista per armonie di un profondo fatalismo, e la dissonante “Coronation”: momenti di grandezza che fanno quasi dimenticare una certa routine dovuta alla presenza continua e spesso indifferenziata del motivo principale, che comunque nella sua ossessiva ripetitività corrobora la sensazione di una score di limpida quanto veemente passionalità, quale ci si aspetta da un compositore che ormai da tempo ha dimostrato di non essere “soltanto” l’irriducibile maestro di adrenalina e paura cine-musicali. 

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