Before I Fall

cover before i falAdam Taylor
Prima di domani (Before I Fall, 2017)
Lakeshore Records
14 brani – Durata: 23’27”

Probabilmente è destinata a passare alla storia come una delle OST più brevi di tutti i tempi questa di Adam Taylor, talentuoso esponente di una “new wave” californiana che si è imposto al grande pubblico soprattutto con la score dell’inquietante serie televisiva The Handmaid’s Tale. Breve sì, ma non per questo secondaria rispetto alla struttura del racconto.

 Il film della giovane regista indipendente Ry Russo-Young si muove infatti in quell’area narrativa che potremmo definire da “giorno della marmotta”, come da titolo originale di quel Ricomincio da capo (1993, Harold Ramis) che vedeva l’odioso meteorologo Bill Murray costretto a rivivere all’infinito la medesima giornata, senza peraltro riuscire in alcun modo a modificarne gli esiti a proprio favore. Un tema che da allora è stato ripreso più volte, in diverse direzioni, dal cinema: dal fanta-action Source Code di Duncan Jones al recente horror Auguri per la tua morte di Christopher Landon, per non citare che due esempi.
 Qui il clima è più sospeso, psicologicamente introspettivo e improntato ad una drammaturgia non ad effetto, ma alleggerita da tonalità agrodolci e vagamente “new age”. Ed è questo anche il clima evocato da Taylor in una serie di quadretti “ambient” che utilizzano l’elettronica principalmente per descrivere gli stati di transizione vissuti dalla protagonista interpretata da Zoey Deutch. Taylor persegue una stratificazione misteriosa del suono, gravida di malinconia sentimentale come in “Into infinity” o più disturbata da riverberi metallici, come in “Become who you are”; il substrato comunque attinente al cinema fantastico è evocato da pagine come la pulsante “Countodwn” o la suggestiva “Kent’s rose”, che ricorda un po’ il brano “Ask the mountains” di Vangelis, reso celebre dalla pubblicità di una lavatrice…
 Già, perché il rischio di una musica simile è evidentemente quello di finire a fare da generica, per quanto elaborata e lussuosa, tappezzeria; anche perché il compositore, tenendosi costantemente alla larga da particolari picchi dinamici e puntando più su una ritmica cullante e ondeggiante, si muove in un alveo tranquillizzante ma leggermente ripetitivo, tra echi risaputi (qualcosa degli U2 si affaccia in “Day with Izzy”) e nostalgie degli anni ’80 e dei primi esperimenti di “synth-music” (“Anger”). Così, pagine come “No longer scared” e “Sisyphus” scorrono in una piacevole indifferenza, costellando il lavoro di piccoli, brevissimi interventi (i 53 inquietanti secondi di “Juliet still died”), cui pare che il compositore non voglia di proposito concedere troppo respiro; è una strategia sottrattiva,  a volte efficace, ma rischiosa. Sappiamo d’altronde che quando le rigide regole del minimalismo incontrano le smisurate risorse dell’elettronica, la tendenza alla serialità e all’iterazione indifferenziata di pochi moduli costitutivi è sempre in agguato.
 Più riusciti appaiono i momenti dove Taylor costruisce le proprie atmosfere con accumuli progressivi di sonorità e scelte armoniche più stringenti, come in “This isn’t you”, oppure quando si lascia andare più liberamente a tonalità romantiche e scorrevoli, come nella distesa e voluttuosa “Before I fall”.
 Rimane comunque un lavoro di un certo spessore anche metodologico, per come cerca di affrontare una tipica situazione di paradosso spazio-temporale senza ricorrere a rumorosi e sensazionalistici armamentari ma puntando sulla delicatezza di tocco e l’impalpabile immaterialità di suono.

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