Close Encounters of the Third Kind

John Williams
Incontri ravvicinati del terzo tipo (Close Encounters of the Third Kind, 1977)
La-La Land Records LLLCD 1433
54 Brani - durata: 153'07''

Si può dire che John Williams, nei 50 più prolifici anni della sua carriera di compositore cinematografico, è colui che ha re-inventato il “suono” della fantascienza. Ecco che, dopo 40 anni di anniversario, viene rilasciato un album con la colonna sonora di Incontri ravvicinati del terzo tipo rimasterizzata e arricchita di nuove tracce, prima di adesso inedite. E prima di passare in rassegna le principali caratteristiche delle musiche del nuovo album, è necessario fare un tuffo nel passato per capire perché questa score è così famosa e memorabile.

 Specialmente negli anni ‘70, il boom delle nuove tecnologie (che si facevano sempre più presenti nella musica e nell’immaginario popolare), sembrava aver ridefinito il concetto culturale di fantascienza in una maniera più realistica: Spielberg, voleva dare il suo contributo con Incontri ravvicinati del terzo tipo. Durante il film lo spettatore è più che altro inquietato dallo svolgersi degli eventi, che sembrano portare inevitabilmente a qualcosa di catastrofico, sensazione causata dall’alone di mistero che avvolge il tema dei rapimenti alieni, dei viaggi nello spazio, l’incontro con civiltà più avanzate della nostra: Spielberg sapeva che l’ignoto spaventa l’essere umano. Eppure il suo intento, straordinariamente riuscito, è stato quello di mostrare che non bisogna aver paura della conoscenza e del nuovo: l’incontro finale con le creature spaziali, più umane e pacifiche di quanto ci si poteva aspettare, ci svela appunto che un linguaggio comune e universale (la musica in questo caso) può mettere in contatto culture e civiltà differenti. Questo è il bellissimo messaggio del film, che ancora oggi è considerato una pietra miliare della fantascienza, se non l’opera per eccellenza di questo genere. Allo stesso tempo, nelle musiche di Williams, quasi protagoniste della pellicola, si riscontra il richiamo allo stile della Golden Age di Hollywood: il solo uso di un’orchestra sinfonica, al massimo delle sue possibilità coloristiche. Williams era l’uomo giusto per un film di tale spessore psicologico: non si trattava di mettere in risalto l’aspetto puramente fantascientifico, magari sfruttando strumentazioni elettroniche e sintetizzatori come di consueto nel genere specifico, ma di portare in primo piano le inquietudini dei personaggi e l’evoluzione della storia. L’approccio musicale di Williams fu un successo e ha funzionato per un semplice motivo: il leitmotiv principale (d’altronde, quale film in cui ha lavorato il compositore ormai più che ottantenne, non ha fatto successo per lo stesso motivo?). Con sole cinque semplici note, egli ha scritto la colonna sonora più bella e memorabile di tutti i tempi. Questa riedizione comunque si presenta con una qualità decisamente migliore rispetto alle precedenti, dato che conserva la limpidità dei suoni e gode dell’intonazione corretta del mixaggio originale. Dato che i brani sono 54, ne analizzeremo soltanto alcuni, dato che si tratta sopratutto di doppioni o versioni alternative delle partiture originali. Il “Main Title” che apre sia il disco uno che il disco due, è un tagliente crescendo dell’orchestra che culmina in un forte colpo sonoro, per poi lasciar disperdere i violini nel silenzio nel primo disco, mentre nella versione del secondo si può ascoltare poi variante estesa (“The Vision”) in cui prosegue in “pianissimo”, un coro dalla parvenza mistica e spirituale, con accenni di flauto ed arpa. Nei brani “Navy Planes” e “Lost Squadron”, Williams studia molto attentamente i momenti di pura frenesia orchestrale, in cui ottoni e archi si mischiano tra loro con disegni rapidi e agghiaccianti nel secondo o con ritmo militaresco nel primo, per poi tenerci sospesi nel vuoto grazie alle dissonanze lente degli archi. La tuba che apre “Trucking” ci anticipa un brano in cui sono i timbri a fare da padroni; Williams ricorre infatti ad un classico del suo stile compositivo: possiamo chiamarla la tecnica del “camaleonte”, perché espone prima un leitmotiv con una sezione di fiati, prima clarinetti a cui poi si aggiungono fagotti, oboi e flauti, e infine si entra in un ritmo sempre più veloce che ripete lo stesso leitmotiv ma sempre più sonoro e violento alternato fra trombe, tromboni, corni, archi e xilofono. Williams è poi capace di far parlare gli strumenti, come gli intrecci fulminei dei violoncelli e dei contrabbassi di “Into the Tunnel and Chasing UFOs”. Ma il pezzo più inquietante di tutta la score, sempre moderna nonostante l’età, è senza dubbio “Barry’s Kidnapping”, sempre intriso di dissonanze ma sopratutto di timbri raccapriccianti. Il picco più alto di intensità emotiva è “Forming the Mountain”, dal carattere drammatico e misterioso, in cui troviamo un Williams molto intimo e allo stesso tempo consapevole: non si lascia andare troppo alla dolce nota di malinconia sugli archi perché si immerge poi in un solido affermarsi di timpani e di colori scuri intriganti, interrotti nuovamente dagli archi che si disperdono, con l’aiuto di arpa e corni, in un coro dalle forme sinuose, che evoca nuovamente l’approccio meravigliato degli umani nei confronti dell’ignoto, dell’arrivo imminente dell’incontro con questa civiltà extraterrestre. Come visto, l’intento di Williams e di Spielberg è quello di metterci un grosso dubbio: questo incontro con gli alieni avrà un riscontro negativo o positivo? Da come si muove la colonna sonora, la trama sembra presentare degli avvenimenti inquietanti, ma al contempo anche situazioni di riflessione e di meraviglia. E’ questa la grandezza del film e della sua musica: il dono dell’ambiguità, della ricerca della verità. Questo discorso filosofico si fa concreto, attraverso le immagini e i suoni che Spielberg e Williams hanno orchestrato in maniera eccelsa. La risoluzione del grande dubbio, perviene in maniera quasi ironica ma allo stesso tempo carica di significato: la famosissima scena del dialogo musicale fra l’astronave madre degli extraterrestri e gli scienziati. Il brano “The Dialogue”, 4 minuti e mezzo di pura fantasia compositiva, che mette in contatto una sezione di oboi su registri medio-alti (gli umani) con fagotti e tuba su registri prevalentemente bassi (la nave madre): mentre inizialmente fanno fatica a comunicare, quando la “nave madre” instaura un ritmo costante le due parti iniziano ad intrecciarsi in modo ordinato, fino a quando tuba e fagotti non interrompono il dialogo e si spengono sempre più lenti. Giunti alla fine, ecco che gli “End Titles” ci presentano, con tutta la grandiosità che solo Williams può mettere in un brano solo, la vittoria della pace e del dialogo.
Questo è forse l’esempio più potente di come un film può diventare grande ed indimenticabile sopratutto grazie alla sua musica.

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