John Williams conductor

cover john williams conductor newAA.VV.
John Williams conductor (2018)
Sony-88985417792  - 20 cd + booklet di 64 pagg.
Cd 1, Music of the night: Pops on Broadway (1990)
12 brani – Durata: 59’48”
Cd 2, John Williams conducts John Williams: the Star Wars Trilogy (1990)
13 brani – Durata: 55’26”
Cd 3, The Spielberg/Williams collaboration (1990)
13 brani – Durata: 62’31”
Cd 4, I love Parade (1991)
16 brani – Durata: 50’36”
Cd 5, The Green Album (1992)
15 brani – Durata: 63’35”
Cd 6, Joy the the world (1992)
13 brani – Durata: 62’42”
Cd 7, Night and day: celebrate Sinatra (1993)
17 brani – Durata: 53’03”
Cd 8, Unforgettable (1993)
17 brani – Durata: 59’34”
Cd 9, Music for stage and screen (1994)
12 brani – Durata: 65’39”
Cd 10, It don’t mean a thing if it ain’t got thet swing (1994)
15 brani – Durata: 55’07”
Cd 11, Williams on Williams: the classic Spielberg scores (1995)
15 brani – Durata: 65’32”
Cd 12, Summon the heroes (1996)
12 brani – Durata: 56’08”
Cd 13, Cinema Serenade (1997)
13 brani – Durata: 50.51”
Cd 14, The Five Sacred Trees (1997)
10 brani – Durata: 57’39”
Cd 15, The Hollywood sound (1997)
16 brani – Durata: 65’12”
Cd 16, Gershwin Fantasy (1998)
11 brani – Durata: 52’45”
Cd 17, Cinema Serenade 2 (1999)
12 brani – Durata: 47’35”
Cd 18, Yo-Yo Ma plays the music of John Williams (2002)
9 brani – Durata: 66’46”
Cd 19, American Journey (2002)
15 brani – Durata: 60’50”
Cd 20, Spielberg/Williams collaboration, part III (2017)
16 brani – Durata: 74’54”

Secondo un’opinione largamente diffusa, i grandi compositori del cinema sarebbero anche ottimi direttori d’orchestra, ma solo limitatamente alle proprie musiche. Questa scuola di pensiero è avallata da numerosissimi esempi di maestri che non hanno praticamente mai alzato la bacchetta per partiture diverse dalle proprie (Miklós Rózsa, Ennio Morricone o John Barry, tanto per citare tre esempi illustri), lasciandoci così con la curiosità inevasa di scoprirli anche come interpreti altrui: anni fa posi questa domanda a Morricone, che con l’abituale franchezza mi rispose di non essere interessato alla pratica direttoriale al di fuori delle proprie opere. Non sapremo dunque mai come sarebbero stati un Bruckner diretto da Barry, un Bartók diretto da Rózsa o uno Stravinsky diretto da Goldsmith o Morricone.

 Citiamo esempi di compositori classici del tardo ottocento o Novecento (ma anche un Bach o Mozart diretti da Trovajoli sarebbero stati interessanti…) perché se vi sono parecchi compositori che hanno diretto partiture di colleghi o comunque che hanno svolto un’intensa attività direttoriale nel repertorio sia filmico che diciamo così “leggero” (Mancini, Legrand e tanti altri), pochissimi sono invece stati quelli che hanno osato cimentarsi con il repertorio classico, “colto” più vicino a loro: anche se quei pochi hanno lasciato il segno. Gli esempi più alti rimangono quelli di Franz Waxman, che alla guida della Los Angeles Music Festival Orchestra si adoperò molto alla fine degli anni ’40 per la diffusione negli Usa del repertorio contemporaneo europeo; e soprattutto Bernard Herrmann, che dai primi anni – sul podio della CBS Symphony Orchestra – sino alla fine della carriera svolse un’intensa attività divulgativa e direttoriale, in  parte fortunatamente consegnata anche alla discografia, affermandosi come interprete lucido e rigoroso, di inflessibilità quasi toscaniniana.
 In questo solco si inserisce, per allargarlo e arricchirlo, John Williams. Già prima di prendere nel 1980 le redini dei leggendari Boston Pops, l’orchestra americana fondata nel 1885 che sotto la guida cinquantennale di Arthur Fiedler ha spaziato nei repertori più vari dal classico al jazz al rock, Williams si era caratterizzato come grandissimo direttore delle proprie musiche, con una particolare propensione alla ricerca di un suono morbido e insieme sfavillante, nitido, all’altezza della complessità della propria scrittura. Ma nei tredici anni della sua reggenza, prima di cedere la bacchetta a Keith Lockart, il maestro americano amplia ulteriormente il repertorio della formazione in una fittissima attività concertistica cui si affianca una copiosa discografia che sfocerà in una collana della Philips concepita per aree tematiche (“Pops à la Russe”, “Pops in space”, “Pops around the world” ecc.), e nella quale la versatilità della compagine bostoniana si salda indissolubilmente con la maestria di concertatore del musicista e con il suo gusto raffinato per il fraseggio e per la cura del dettaglio. Williams ci appare, in queste interpretazioni, come un direttore molto “europeo”, quasi francesizzante, che ricorda gli ammalianti impressionismi di Georges Prêtre o l’energico colorismo di Lorin Maazel.
 Sono doti che brillano nel suo accostarsi sia ad un vastissimo repertorio popolare di canzoni, marce, hits, intramontabili ”evergreen”, sia alle composizioni filmiche di suoi illustri colleghi sia, in particolar modo, al repertorio sinfonico classico. Ed è – diciamolo subito – proprio in quest’ultimo settore che l’imponente box ora licenziato dalla Sony risulta più carente, anzi quasi latitante.
 Il combinato disposto tra probabili questioni di diritti e scelte editoriali ha infatti escluso buona parte di quelle pagine, rintracciabili invece nella decina di album Philips cui si accennava più sopra, offrendo invece le registrazioni effettuate dal 1990 in poi: mancano, quindi, l’elettrizzante sinfonia della rossiniana “Italiana in Algeri”, la sontuosa rilettura delle Danze Polovesiane dal “Principe Igor” di Borodin così come la magica esplorazione della “Notte sul Monte Calvo” di Mussorgsky o le pirotecniche versioni delle ouverture del “Colas Breugnon” di Kabalevsky e del “Russlan e Ludmila” di Glinka. Compositori tra l’altro, quelli russi, che hanno avuto un’evidente influenza nella poetica williamsiana: in particolare Prokofiev e Shostakovich, del quale ultimo si ascolta peraltro un’esplosiva versione dell’”Ouverture festiva” op.96 nel cd 12 dedicato a musiche inneggianti allo spirito olimpico. E manca, soprattutto, la sensazionale interpretazione che Williams e i Boston Pops consegnarono nell’87 de “I Pianeti” di Gustav Holst: un capolavoro del sinfonismo europeo novecentesco cui il Williams di Star Wars deve non poco e del quale, tra l’altro, è possibile anche un confronto diretto con la memorabile, arroventata lettura che ce ne ha lasciato Bernard Herrmann.
 Abbiamo in compenso l’ennesima ristampa, spalmata su più CD e con diverse ripetizioni, delle (meravigliose, s’intende) collaborazioni Spielberg-Williams, ivi compresa la riproposta paro paro delle uscite più recenti, e naturalmente dell’onnipresente capitolo Star Wars. Non esattamente ciò di cui si avvertisse un’impellente necessità.
 Ma, esaurite le lamentele, non mancano ovviamente le chicche e i momenti di altissimo livello. Il primo CD, ad esempio, “Music of the night”, offre una crestomazia di pagine broadwayane rilette con una partecipazione di concertatore che ne esalta ogni sfumatura, come nei due recenti successi di Stephen Sondheim (Into the woods) e Claude-Michel Schoenberg (Les Misérables), oltre a un fantastico “medley” di Leonard Bernstein comprendente brani da On the Town e West Side Story e ad altre perle di quella irripetibile stagione del musical. Il CD “I love parade” ci ripropone la vocazione del maestro per un repertorio di “pompa e circostanza” ma riletto in una chiave di rigorosa eleganza formale e sapiente contrappuntismo: i modelli rimangono, non a caso, quelli di compositori statunitensi che hanno coniugato tradizione locale e sinfonismo europeo, come Aaron Copland (presente con “Simple gifts” dall’”Appalachian Spring”) e Ferde Grofé (“On the trail” dalla “Grand Canyon suite”), protagonisti del quinto CD. Mentre nel sesto spira aria natalizia con un “medley” che recupera pagine classiche trascritte da Haendel e Mendelssohn accanto a brani tradizionali ed immortali successi come il “White Christmas” di Berlin o “We wish you a Merry Christmas”, insieme però – dello stesso Williams – a estratti da quel gioiello di umorismo musicale che è Mamma ho perso l’aereo.
 Un interessante tributo a Frank Sinatra e ai suoi maggiori successi è “Night and day” (CD 7), che ripercorre alcuni capisaldi del repertorio di “The Voice” enucleandone tutto il potenziale lirico e la complessità di scrittura, come emerge ad esempio – oltre che nel brano di Porter di cui al titolo – in “I have dreamed” di Richard Rodgers, “New York, New York” di Kander e la meravigliosa “The shadow your smile” che Johnny Mandel scrisse per Castelli di sabbia (1965, Vincente Minnelli). Indimenticabili anche, come da titolo, i pezzi del CD 8 “Unforgettable”, tra cinema e palcoscenico, Marvin Hamlisch e Duke Ellington, Jerome Kern e Hoagy Carmichael, George Gershwin e Glenn Miller, quest’ultimo con un’esecuzione conturbante della “Moonlight serenade”. E se il decimo CD è tutto un omaggio allo swing, dove si può apprezzare la versatilità dei Boston Pops in un repertorio di fatto jazzistico, “Music for stage and screen” ha per protagonisti, oltre allo stesso Williams con suite da Nato il 4 luglio e Boon il saccheggiatore, quello che indicavamo appunto come uno dei suoi autori di riferimento: Aaron Copland, di cui si ascolta tra l’altro un’attenta interpretazione della suite da Minuzzolo (“The Red Pony”, 49, Lewis Milestone), intrisa di un americanismo non convenzionale e intimamente naturalistico.
 Se il già citato CD 12 “olimpico”, “Summon the heroes” ci offre anche un’interpretazione formalmente accurata ma poco incisiva del celeberrimo “O fortuna” dai “Camina Burana” di Carl Orff, con il Tanglewood Festival Chorus, particolarmente suggestivo è il CD 14 “The five sacred trees”, che apre uno squarcio sulla musica contemporanea extracinematografica, dove sappiamo Williams essere molto attivo (come ci ribadisce il CD 18 dedicato alla ben nota e diffusa collaborazione tra il maestro e il violoncellista cinese Yo-Yo Ma): qui si può ascoltare infatti il bellissimo, misterioso concerto per fagotto e orchestra che dà il titolo al CD, scritto nel 1995 da Williams per il primo fagotto della New York Philharmonic, Judith LeClair, in occasione del 150esimo anniversario di fondazione dell’orchestra. Ma è anche presente, oltre a due composizioni di Tobias Picker e del maestro giapponese Tōru Takemitsu, la Sinfonia n.2 “Mysterious Mountain” di Alan Hovhaness (1991-2000), compositore americano di radici armene tra i più prolifici del ‘900, la cui opera è intrisa di nostalgie evocative delle proprie origini mescolate alla più schietta tradizione americana; ed infatti la sinfonia, commissionata nel ’55 da Leopold Stokowski per la Houston Symphony Orchestra e già incisa su disco da Fritz Reiner, risulta un crogiuolo affascinante di ventate western, architetture pentatoniche e polifonie rinascimentali. Un brano così popolare che nel ’79 Carlos Santana ne inserì alcuni passaggi del secondo movimento nel suo “Transformation day”,  per l’album “Oneness”.
 Tutto americano è invece il CD 16, “Gershwin Fantasy”, con l’omaggio ad un altro dei numi tutelari di Williams, qui supportato dall’enorme talento del violinista Joshua Bell che si produce nella “Fantasia per violino e orchestra” dal “Porgy and Bess”, nei Tre Preludi trascritti da Jascha Heifetz, e in una serie di canzoni per violino e orchestra.
 E poi c’è naturalmente l’”American Journey” del CD 19, ristampa dell’omonimo album del 2002, con un florilegio di composizioni williamsiane – a partire da quella del titolo in 6 movimenti – che esprimono al meglio l’essenza del compositore e il suo concetto di “patriottismo”. Che è innanzitutto gioia di vivere, aspirazione al bello e, filosoficamente, al “buono” ( il kalòs kai agathòs degli antichi Greci): quindi nulla di più lontano dalla cupa era che l’America sta attualmente vivendo.
 Abbiamo lasciato per ultimi i capitoli dedicati a Williams direttore di musiche per film altrui, perché forse rimane quello a tutt’oggi più stimolante per gli appassionati, e dove è possibile fare interessanti confronti, ribadendo che è ormai possibile, anzi necessario e a volte doveroso, tracciare una storia dell’interpretazione nella musica cinematografica.
 Prendiamo per esempio la suite da quel monumentale capolavoro che è Un posto al sole di Franz Waxman (CD 15): l’incipit notturno, sinistro dei bassi accoglie il lamento straziante del sax alto di Grover Washington jr., preludiando allo “slow” struggente degli archi nel tema principale. Ma l’andatura è un po’ troppo mossa, disinvolta, e si rimpiange l’estenuata, solenne tragicità del fraseggio della National Philharmonic nella celebre versione Gerhardt del ‘74. Impressionanti invece lo stacco dei tempi nel  celeberrimo fugato successivo, che pare abbia ispirato un passaggio nel primo movimento dell’Undicesima Sinfonia di Shostakovich, e la coda sbigottita, quasi spettrale. Anche la “Dream sequence” e “Mountain lodge” da Io ti salverò di Miklós Rózsa ha precedenti esecutivi illustri, ma qui la lettura williamsiana è più ravvicinata, intensa e pastosa, così come la sua versione dello splendido, meditativo tema di Hugo Friedhofer (quando riscopriremo a dovere questo gigantesco maestro?) da I migliori anni della nostra vita. E se nelle pagine di John Barry (La mia Africa e Balla coi lupi) Williams esalta l’incedere maestoso, lirico del maestro britannico, o nel tema dal Padrino parte II di Rota gareggia in calda, verdiana cantabilità con l’esempio di Riccardo Muti, in “Mr.Scratch”, da L’oro del demonio, l’inestricabile complessità della scrittura herrmanniana viene aggredita con sbalorditiva precisione e scultorea ripartizione dei timbri; così come in “Robin Hood and his merry men” da La leggenda di Robin Hood Williams rende il dovuto omaggio scoppiettante e festoso ad un altro dei suoi punti di riferimento, Erich Wolfgang Korngold. Stessa score e stesso autore, con il “Marian & Robin love theme” del CD 17 “Cinema Serenade – The Golden Age”, riedizione dell’album che Williams incise insieme al violinista Itzhak Perlman, indimenticabile protagonista della partitura di Schindler’s list. Tuttavia la formula della trascrizione per questo strumento e orchestra, quantunque affidata all’immensa sensibilità e potenza emozionale dello strumentista israeliano, non funziona con eguale efficacia per tutti i brani: in “Laura” di David Raksin, da Vertigine, ne esalta la limpida e sinuosa linea cromatica, così come il pathos devastante che agita il tema di Max Steiner in Perdutamente tua o la distesa, sorridente ariosità dello “Smile” di Charlie Chaplin da Tempi moderni. Altrove però il ruolo del violino sembra contrarsi in una certa stucchevolezza, accresciuta anche da un gusto per le variazioni che rischia di trasformarsi in esibizione floreale: è il caso di Via col vento, sempre di Steiner, in cui il “Tara’s theme” richiede ben altra maestosità, come del resto dimostrava la versione incisa da Williams nell’82 per l’album Philips “Aisle seat The Great film Music”, sempre su arrangiamento di Angela Morley (autrice di molte delle orchestrazioni), che si snodava con un respiro e un calore grandiosi. Anche il “Love theme” di Rózsa da Giorni perduti o l’”As time goes by” di Hupfeld da Casablanca hanno un profilo più ampio della dimensione di  “song” sentimentaleggianti cui sembra ridurli la pur impeccabile lettura di Perlman.
 Concludendo, un’occasione sprecata? Niente affatto. Preferiamo annoverarlo come il primo necessario passo antologico, auspicandone altri a completamento, nell’ulteriore esplorazione dell’universo interpretativo e cosmopolita di un protagonista assoluto della storia della musica. Anch’essa “Assoluta”.

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