Seventh Son

cover seventh sonMarco Beltrami
Il settimo figlio (Seventh Son, 2015)
Varese Sarabande 302 064 228 2
26 brani – Durata: 73’07’’

Beltrami si cimenta per la prima volta nel genere epico-fantasy-avventuroso ed è davvero un peccato che questo primo incontro avvenga con un film tanto scadente. La pellicola, infatti, nonostante una confezione impeccabile (scenografie di Dante Ferretti), un grande cast (Jeff Bridges, Julianne Moore e una splendida Alicia Vikander) e qualche bella idea di sceneggiatura, non riesce purtroppo a sollevarsi più di tanto dalla monotonia dei peggiori prodotti del filone post-Signore degli Anelli e post-Trono di Spade; gli si può ascrivere comunque il merito di aver permesso a Beltrami di stupire i propri fan con uno score insolitamente ricco e variopinto.

L’ex sodale del compianto Wes Craven ci ha sempre abituato, anche nei contesti più schiettamente fantasy, a sonorità piuttosto scarne e violente che non barocche e rutilanti; raramente la sua tavolozza orchestrale si è accesa di un colorismo così vivace come in questo lavoro, che si presenta subito degno di interesse anche solo per questa sua eccezionalità. Anche qui, sia ben chiaro, Beltrami non dimentica affatto i luoghi comuni della sua musica, mix intossicante di aspre dissonanze e fragori terroristici cui si accompagna perfettamente una dolente vena lirica (basterebbe l’ascolto di Scream per farsi un’idea), ma decide di inserirli in un affresco sonoro per la prima volta insieme sontuoso e fiammeggiante, pieno di rimandi alla musica da film delle diverse epoche.
Il tema per la strega interpretata dalla Moore, esposto per la prima volta dai violini in “Prologue”, ad esempio, riporta alla mente l’Elfman di Darkman, mentre l’avanzare degli ottoni per ritmi puntati ha un sapore vagamente rozsiano; lo stesso carattere esotico dei motivi, tra cui svetta quello del protagonista, esposto per lo più dagli ottoni e dal carattere decisamente eroico, ha molto in comune con le partiture per certi film epico-storici d’altri tempi. Si respira in tutto lo score anche un’aria di fantasy alla John Williams, sia nei virtuosismi spericolati dell’orchestra che nel sapore tardoromantico dei fraseggi degli archi, tanto che a tratti sembra di ascoltare un Harry Potter sporcato dalla spregiudicatezza timbrica beltramiana (“Facing Urag”, “Ghasts and Ghouls”, “The Spook’s Apprentice”). Il “Gregory’s Theme” poi, affidato inizialmente alla sola viola e poi all’intera orchestra, si accende di echi morriconiani non certo nuovi nel corpus del compositore, il quale, va detto, forse darà una prova ancora migliore in questo genere con il successivo Gods of Egypt ma che già qui riesce a condensare tutte le influenze sopracitate in un lavoro che decreta una volta di più l’assoluta modernità del suo comporre.
Le numerose pagine d’azione (“What’s a Boggart”, “Forest Ambush”, “Battle of Pendle Mountain”), infatti, solcate come sempre da incalzanti ostinati e ritmi goldsmithianamente irregolari, pullulano di lancinanti escrescenze timbriche (glissandi di violini, feroci trilli e ribattuti degli ottoni) e degenerano spesso in magmatici deliri di dissonanze degni delle migliori partiture horror del maestro italo-americano. Una scrittura che  non va certo per il sottile ma che non scade mai nel dozzinale grazie al talento di Beltrami nel governare ogni sovraeccitazione sonora all’interno di  un preciso e coerente discorso musicale; così nella splendida “Failed Spook and Half Witch” le scabrose soluzioni terroristiche fanno da ponte fra due sezioni di accorato melodismo, una più trasparente e placida e l’altra più rarefatta e venata di intenso fatalismo, in cui i temi dei due giovani protagonisti (quello del personaggio della Vikander praticamente gemello di quello, già menzionato, della strega-Moore) sono affidati, tra gli altri, anche al timbro malinconico e suggestivo del corno inglese.
 Si fa strada lungo lo score un carattere ironico che aveva faticato ad emergere dagli altri lavori del compositore (tranne che in Hellboy), evidente soprattutto in “Master Sergei”, pirotecnica rielaborazione di coordinate compositive elfmaniane (con tanto di clavicembalo e cascatelle di arpa) e in “A Spook in Training”, piena di sfavillanti acrobazie orchestrali alla Guerre Stellari; ma a prevalere è comunque una cupezza quasi mortuaria, enfatizzata dal ricorso continuo ai registri gravi, dall’utilizzo, discreto ma decisivo, di suoni elettronici e dall’impiego massiccio del coro.
Uno score al solito frastornante e sanguigno, con cui Beltrami si riconferma autore capace di piegare praticamente ogni committenza al suo gusto unico per la violenza sonora.

Stampa