Stephen King Soundtrack Collection

Cover king soundtrack collectionAA.VV.
Stephen King Soundtrack Collection (2017)
Varèse Sarabande VLE-9210
James Newton Howard, L’acchiappasogni (Dreamcatcher, 2003)
CD 1, 18 brani – Durata: 50’04”
CD 2, 18 brani – Durata: 46’21”
Tangerine Dream, Fenomeni paranormali incontrollabili (Firestarter, 1984)
CD 3, 11 brani – Durata: 42ì38”
Nicholas Pike, Stephen King’s The Shining (The Shining, 1997)
CD 4, 19 brani – Durata: 44’18”
CD 5, 14 brani – Durata: 41’09”
CD 6, 24 brani – Durata: 65’39”
W. G. “Snuffy” Walden, L’ombra dello scorpione (The Stand, 1994)
CD 7, 16 brani – Durata: 46’42”
CD 8, 17 brani – Durata: 42’58”

La storia della discografia cinemusicale ci ha insegnato che i criteri-guida con i quali assemblare un’antologia possono essere molteplici, e non semplicemente riconducibili a quello che privilegia le figure dei compositori. Abbiamo visto raccolte compilate per genere cinematografico, aree geografiche, epoche, personaggi, attori (chi non ricorda la memorabile collana della Rca “Classic Film Scores” degli anni ’70 diretta da Charles Gerhardt, con album dedicati a Humphrey Bogart, Bette Davis, Errol Flynn?...).
 Quello che a nostra memoria non si era ancora visto fino a questo momento è un collage dedicato ad uno scrittore. Ma se lo scrittore in questione è Stephen King, la ragione appare subito evidente. Da oltre quarant’anni infatti (per la precisione a partire da Carrie di De Palma, 1976, giù fino ai recentissimi La torre nera e la seconda versione di It) la carriera del “re” dell’horror, best-seller-man da mezzo miliardo di copie vendute e tra i massimi scrittori contemporanei, viaggia in parallelo con quella cinematografica di ispiratore, sceneggiatore e occasionale attore (una sola, dimenticabile sua  regia nell’86: Brivido!): con esiti che vanno dalla più convenzionale routine televisiva a picchi autoriali come lo Shining di Kubrick, transitando per tutte le fasi intermedie e rivelandosi, a volte, fonte di sottovalutati capolavori come L’ultima eclissi di Taylor Hackford (da “Dolores Claiborne”) o Stand by me – Ricordi di un’estate di Rob Reiner, per non citare che due tra i 250 titoli che compongono una possibile filmografia dell’autore del Maine.

 Ora, è del tutto evidente che una simile vastità di titoli pone seri problemi a chi si accinga a stilarne una crestomazia minimamente rappresentativa. Con tale consapevolezza, l’imponente box di 8 CD, prodotto da Cary E. Mansfield, Bryon Davis e Peter Hackman per la Varèse, non manifesta, anzi nemmeno sfiora la minima intenzione di esaurire l’argomento o di offrire una “collection” per tutti i gusti. Il paesaggio musicale costituito dalla filmografia kinghiana, come spiega bene Randall D. Larson nelle ricchissime note di accompagnamento, è tanto ampio quanto variegato, quindi il criterio è per forza selettivo e destinato a scontentare qualcuno. Era per esempio inutile attendersi in questa circostanza la riproposizione delle partiture più recenti, o più note e baciate già da ampia fortuna discografica (da Carrie di Donaggio a Christine di Carpenter, da La zona morta di Kamen a L’allievo di Ottman, e anche qui citiamo pescando nel mucchio). La scelta è invece caduta su due film tra i meno visti tratti da opere di King, Fenomeni paranormali incontrollabili (Firestarter, 1984, di Mark L. Lester, dal romanzo dell’80 “L’incendiaria”, con una giovanissima Drew Barrymore reduce dal successo di E.T.) e L’acchiappasogni (Dreamcatcher, 2003, di Lawrence Kasdan, tratto dall’omonimo romanzo di due anni prima). Accanto a queste,  le score di due miniserie tv tratte da due capolavori dello scrittore, una delle quali ha la particolarità di essere giunta diciassette anni dopo la gemma kubrickiana dell’80: The Shining, e insieme a queste The Stand (1994), ricavato dal colossale “L’ombra dello scorpione”, romanzo-fiume sugli orrori delle paranoie americane, oggi di terribile attualità, ed entrambe per la regia di Mick Garris, un solido habitué di trasposizioni kinghiane. Certo, la scelta poteva cadere anche su La metà oscura di Christopher Young o Le ali della libertà di Thomas Newman, Cujo di Charles Bernstein o Grano rosso sangue di Jonathan Elias, Misery non deve morire di Shaiman o 22.11.63 di Alex Heffes… o su molti altri titoli, recenti e meno, poco noti al grande pubblico anche musicalmente. Ma questo esercizio è individuale, quindi futile e poco interessante, e converrà invece attenersi all’operazione messa in campo dalla Varèse: anche perché nel focalizzarsi su questi quattro titoli è stato compiuto un intervento notevole di approfondimento filologico, che in due di essi ci fa conoscere il lavoro di compositori decisamente poco noti, ma molto attivi sul fronte televisivo e altre volte impegnati in serie tratte dai libri dello scrittore: Nicholas Pike (The Shining) e W. G. “Snuffy” Walden (The Stand): accanto a loro un musicista a noi ben noto ma non frequentemente impegnato sul fronte horror come James Newton Howard (L’acchiappasogni) e un gruppo musicale, formato dai tedeschi Tangerine Dream (Firestarter), che ha goduto di grande fortuna negli anni ’80, alfieri del cosiddetto “krautrock” o – più nobilmente – della “kosmische musik” e autori, insieme ai compatrioti Popol Vuh (collaboratori di Werner Herzog), di parecchie partiture filmiche del periodo. Tre di queste firme (Howard, Pike e Walden) sono qui presenti con le proprie score in versione estesa in doppio e triplo CD, onore generalmente riservato a titoli molto più “altolocati” ma, in questo caso, riprova dell’impegno e della serietà che l’etichetta ha voluto mettere nell’iniziativa.
 La partitura di Dreamcatcher, uscita a suo tempo sempre per Varèse, è come si diceva una prova abbastanza anomala per Howard, compositore arioso e descrittivo, che accostandosi all’horror e/o in generale al fantastico ama farlo privilegiandone gli aspetti più problematici e filosofici (Linea mortale, E venne il giorno, After Earth…). Qui invece l’opzione è radicalmente (e comprensibilmente, visto l’argomento) “aliena”, anche perché l’input del regista era inequivocabile: una partitura che si fondesse completamente con il suono complessivo del film. Di qui, come confessò lo stesso compositore, il più massiccio utilizzo dell’elettronica cui egli abbia mai fatto ricorso in un proprio lavoro. Il risultato è spiazzante e inquietante. Il “tappeto” della score è uniforme, pacatamente opprimente: pedali gravi sostengono frammenti di melodia affidati, per contrasto, a strumenti nel registro acuto come violini (“Main titles”, “Finding Rick”) o lamentosi legni (“Saving Duddits”). La disarticolazione tonale è assoluta (“The bathroom”) e si rivolge a moduli dichiaratamente di avanguardia, ma spessissimo la musica retrocede sino ai confini con il silenzio, lasciando emergere qua e là spettrali filamenti melodici affidati esclusivamente agli elementi orchestrali. Pressoché assenti accelerazioni o impennate ritmiche, tranne qualche motivata eccezione (“Military moves in”, “I’m that monster”), anche se il secondo CD di questa edizione deluxe raccoglie pagine più scolpite e aggressive (“Soldiers find Henry”), con sforzandi degli ottoni e agghiaccianti glissandi degli archi, o di imperioso dinamismo (“Owen rescues Henry”, il violento e caotico “Duddits and Mr. Gray”), aggirandosi intorno a quello che faticosamente abbiamo imparato a riconoscere come tema principale (“It’s over”) e quasi rassegnandosi negli “End Credits” ad una discorsività quasi “dance” e ad una ricapitolazione melodica più convenzionale.
  Quello dei Tangerine Dream è il soundtrack che risulta forse oggi più nostalgicamente ma anche fascinosamente datato (uscì a suo tempo in un vinile MCA poi ristampato in CD e oggi piazzato sul mercato a 200 euro!!); la band fondata dal berlinese Edgard Froese nel ’67, sulle ceneri dei precedenti Ones, ha sempre inseguito un sogno non solo ”tangerino” ma artistico, ossia quello di coniugare le conquiste della musica elettronica, praticata in quegli anni da un nume della musica contemporanea come Karlheinz Stockhausen, al suono e gli stilemi della musica pop e psichedelica. Il cinema, in particolare quello fantastico o “noir”, sembrò al gruppo un terreno fertile per questo tipo di sperimentazione, di qui la loro fortuna in questo settore (Strade violente, Il salario della paura, Legend nella versione alternativa a quella di Goldsmith).
 Il film di Lester tratto dal bel racconto di King che darà anche corso ad un sequel nella miniserie nel 2002, per la regia di Robert Iscove e con le musiche di Randy Miller, rappresenta in tal senso un manifesto della loro poetica. L’utilizzo delle tastiere, dei riverberi, soprattutto negli accompagnamenti, ambisce ad una chiara dimensione onirica, trascendentale, “cosmica” appunto. Le armonie sono molto tradizionali e le melodie copiose, tenere, quasi cullanti (”Charly the kid”), i registri timbrici brillanti e trasparenti (“Crystal voice”), e la tendenza a ripetere ossessivamente cellule motrici fisse (“The run”, “Escaping point”) non ha nulla di pre-minimalista ma si propone piuttosto di mantenere un ordine interno rigoroso, quasi “bachiano” e sempre molto elegante (“Flash final”, “Out of the heat”), nella costruzione dei brani. Nulla viene concesso a facili effettacci o scossoni rumoristici, ma tutto è contenuto in un alveo formale nitido e severo, che ricorre molto più spesso nei compositori affezionati all’elettronica come medium esclusivo (da Vangelis a John Carpenter ai nostri Goblin) che non in tanti mestieranti dalle orchestrazioni ululanti.
 Il 63enne inglese Nicholas Pike, attivo già da un trentennio soprattutto in TV, è insieme al regista Mick Garris una sorta di figura di elezione per Stephen King, che non gli ha mai nascosto la propria ammirazione, e per il quale ha musicato diversi titoli come I sonnambuli, Riding the Bullet, Desperation, Mucchio d’ossa. La score per questa miniserie, che seguì di 17 anni lo Shining di Kubrick (sempre detestato dallo scrittore, che accusò il regista di manifesta infedeltà al romanzo, e arredato dal celebre collage  musicale Ligeti-Penderecki-Bartok-Wendy Carlos), è di fatto un inedito, essendo uscita solo in un introvabile bootleg ormai molti anni or sono, e la sontuosa versione in ben 3 CD costituisce un’autentica miniera d’oro. A differenza che nei due titoli precedenti, qui la scrittura è prevalentemente orchestrale, sinfonica, ma a parte questo l’elemento dominante non sembra essere la semplice, elementare paura ma piuttosto una sottile, pervasiva angoscia, ottenuta nell’accostare molto attentamente pochi e significativi materiali elettronici ai timbri scuri e di tromboni, legni, celli e bassi, mentre ai violini divisi è delegato il compito di un metodizzare sidereo e malinconico (”Main titles-Night #1”, “Flashback”). Disinteressato a competere anche lontanamente con il raffinato pastiche kubrickiano, Pike individua un “motto” - più che un vero e proprio tema – ricorrente all’inizio di ogni capitolo, affidandolo ad un celestiale quanto sinistro coro femminile e lo distribuisce parsimoniosamente ma strategicamente nei momenti topici: soprattutto nella prima parte della score, nel primo CD, il livello sonoro è sommesso, strisciante, delicatamente terrificante, forgiato su episodi solistici anche struggenti (“Memory of dad”, con il canto dell’oboe, o il piano di “A scary view”), su dissonanze spigolose dei legni (“A near fall”) coniugate con accordi morti o rassegnati dei violini (“Safe as safe can be”), su rari e quindi molto efficaci soprassalti elettronici ma soprattutto su un sapiente utilizzo del silenzio e delle pause tra un episodio e l’altro. Nel prosieguo della lunga partitura, questi elementi si fondono in maniera più movimentata, anche se Pike sembra volerci ipnotizzare con interminabili fissità di archi o legni, trafitte da agghiaccianti formicolii dei violini o brutali interventi di piano, percussioni e ottoni (“The usual suspects”, “Behind the door”). L’atmosfera si incupisce poi ulteriormente (“Are you gonna hurt me?”), tromboni e tuba ringhiano minacciosamente (“A key is missing”) e l’orchestra viene piegata a virtuosismi tecnici spericolati – soprattutto negli archi – per raggiungere, con mezzi acustici e manuali, il massimo effetto di terrore. Alcuni interventi infatti (gli strumentini in “Someone got their fuse blown”) richiamano esplicitamente procedure delle avanguardie novecentesche (le stesse evocate direttamente da Kubrick nell’80), mentre fanno capolino astutamente i classici stereotipi dell’horror music, come tremolii, “stonature”, glissandi (“Dad in the window”) sempre accompagnati però da un elemento tematico forte, quello iniziale, ripreso ora dagli archi ora dalle voci.
 Continua a sorprendere tuttavia la coerenza con cui, in una partitura continuamente cangiante e imprevedibile, il musicista britannico si mantiene al di qua della barricata che divide una ragionata distribuzione della tensione, anche con scoppi improvvisi di violenza, dal “rumore bianco” indifferenziato che affligge oggi tanta musica di genere. Pagine come “Girl with a knife” o “It’s a drag”, per esempio, basate su una scrittura geometrica, dove si allineano ostinati ritmici alternati a giochi di  crescendi e diminuendi, assemblando incessantemente in pochi secondi episodi e sensazioni sonore diversissime, dimostrano come Pike applichi concretamente il teorema secondo cui per creare tensione non c’è miglior modo che sussurrare, anziché gridare.
 L’americano William Garrett “Snuffy” Walden, compositore prevalentemente televisivo (West Wing, e sempre per restare su King l’avvincente serie Under the Dome) aveva forse il compito più arduo: musicare la miniserie ricavata dal romanzo-fiume L’ombra dello scorpione, colossale metafora dei terrori americani collettivi incarnati dal personaggio affascinante e demoniaco di Randall Flagg, “Colui che cammina”. Trovandoci qui dentro una storia molto “yankee”, con spiccate caratteristiche del road movie, Walden attinge copiosamente ad elementi country, chiamando in causa chitarra e pianoforte (“Project Blue”, “On the road to Kansas”) ma immergendoli in un clima post-apocalittico e onirico che a tratti (“Larry & Nadine-The rejection”) ricorda quasi certi passaggi dei Pink Floyd. Ne consegue che almeno nella prima parte (a suo tempo uscì in un CD singolo sempre Varèse) si fa piuttosto fatica a considerare questa una score horror: il tono colloquiale, distensivo, bucolico (“Mother Abigail”, “Beginning of the end”) le conferisce piuttosto i colori di una ballata crepuscolare, con la chitarra sempre in primo piano (“Tom & Stu go home”, “Ain’t she beautiful”) .
 Nella seconda parte il paesaggio muta sensibilmente: “Escaping” aggroviglia chitarre, elettronica e orchestra (la dirige, tra l’altro, nientemeno che Don Davis) in un nucleo sonoro complesso e “dark”, e gli echi country finiscono con l’assumere il ruolo di “presenza” umana resistente e combattiva dinanzi al dilagare del Male. Sicuramente è in agguato una certa deriva pop, su ritmi disinvolti e sbrigativi (“Locked up”) ma l’aspetto soprannaturale e “biblico” è ben restituito in pagine di sapiente astrattismo sonoro come “New York no more”, e un lirismo dolente, accasciato si fa largo in “The funeral” o “Nadine seduction”, dove l’assolo di chitarra si fa particolarmente straziante. Il pianoforte spettrale, così lontano e così vicino, di “Table talk”  e le sospensioni armoniche di “Nadine’s dream” convogliano definitivamente la score verso il lato più oscuro e angoscioso, aprendo la strada al finale  di “War preparations”, lugubre e militaresca marcia scandita dai tamburi e incamminata verso una fosca predestinazione, espressa dai rapidi disegni e dalle drammatiche inserzioni degli archi.
 Al termine di oltre sei ore di ascolto, non prive di molte sorprese, resta solo da augurarsi che questo non sia che il primo capitolo di un’esplorazione discografica nell’universo filmico ispirato a Stephen King; la varietà e vastità di talenti che vi concorrono lo giustificherebbe ampiamente.

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