The Snowman

cover snowmanMarco Beltrami
L’uomo di neve (The Snowman, 2017)
Backlot Music BLM-709
25 brani – Durata: 49’41”

Pur avendo costruito la propria carriera soprattutto nel genere fanta-thriller-horror (fondamentale il suo sodalizio con Wes Craven), Marco Beltrami non si è mai accontentato di attingere ad un banale armamentario di effetti ma ha sempre cercato, all’interno di quelle coordinate, di costruire una forma, un’estetica, uno stile personale, rivelandosi spesso più un musicista di atmosfere e allusioni che un mero arredatore sonoro della paura. E quando queste atmosfere si fanno particolarmente raffinate e sottili, evocative, egli sembra ancora più a proprio agio.

 Accade in questo thriller “glaciale” tratto dal bestseller di Jo Nesbø e interpretato da Michael Fassbender, dove il paesaggio imbiancato contrasta con il rosso del sangue in un gioco di specchi e di memorie nel quale l’indagine – come spesso avviene alle latitudini più nordiche – diventa anche impietoso scavo tra i propri fantasmi. Siamo in un clima sospeso, incerto, eticamente prima ancora che meteorologicamente gelido. E raggelati, prosciugati sembrano anche essere i colori sonori della partitura, da quell’incipit quasi country, ma filiforme e vagamente ostile, dei “Main titles”, all’impronta goticheggiante e misteriosa, ovattata di “Building the snowman” sino all’inquieto agitarsi ritmico e urticante degli archi di “Down the Harry hole”, su cui sempre gli archi tessono un intricato reticolo di interventi suddivisi per sezioni, rinforzati dal pianoforte e sovrastati da un unico, elementare e lamentoso tema principale, di influenza alquanto morriconiana, sino a sviluppare una costruzione sinfonica di grande drammaticità.
 Puntando su una calcolata alternanza tra elementi lirici, intimi e melodici da un lato, ed elementi di pura suspense musicale dall’altro, Beltrami crea in qualche modo due universi paralleli che interagiscono continuamente fra loro, ottenendo così un doppio registro emotivo di effetto coinvolgente. All’interno di questa architettura, il compositore si ritaglia alcuni spazi creativi notevoli, come “Snow stalking” e soprattutto il bellissimo “Studying source”  per pianoforte solista, un’autentica sonata in miniatura dai risvolti quasi salottieri. Sono tonalità espressive che tendono a costruire tensione attraverso procedimenti di elaborazione del suono rarefatta, abrasiva, di elegante ma estrema asciuttezza: lo testimoniano i flautandi dei violini in “Harry leaves for Bergen” e “Finding Katrine” (qui  insieme agli sforzandi degli ottoni) o la palpabile tensione di “Dr. Red Herring”  o ancora i colori smorti, inerti di “Sylvia’s death”: il tutto mentre quel tema principale oscuro e insinuante continua a percorrere lo score, non senza alcune interessanti variazioni (si ascolti la sua rapida e convulsa esposizione in “Searching for Katrine”). La predilezione per una dinamica sottomessa, raramente spinta verso il “forte”, si rivela alla lunga vincente rispetto alle possibilità – che Beltrami ben conosce ed altre volte ha ampiamente esperito – di scatenare l’inferno in orchestra: unendo parsimoniosi effetti elettronici, utilizzo sapiente delle tessiture orchestrali e uno spiccato cromatismo melodico, egli riesce ad instillare un’inquietudine che nessun facile fracasso avrebbe potuto eguagliare. Inoltre, i momenti di pura azione, come “Car chase”, sono fondati su una ritmica stringente e brutale, più che su un aumento dei volumi di suono; e la scrittura armonica, divisa com’è tra squarci tematici e dissonanze spinte ben oltre i confini tonali (“In search of”), contribuisce al disturbante effetto complessivo. Il tema conciliante, dolente di “Barn find”, ripreso poi dal piano in  “The hole family”, ci riporta in conclusione a quella desolata tristezza di fondo che permea tutto il film e la sua partitura, mentre il carillon finale di “My Wayward son” sigilla in chiave trasognata, vagamente ultraterrena un lavoro che ci comunica, con massima economia di mezzi, un forte disagio esistenziale.

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