The Mountain Between Us

cover mountain between usRamin Djawadi
Il domani tra di noi (The Mountain Between Us, 2017)
Lakeshore Records LKS35079
20 brani – Durata: 49’11”

Vale in parte per questa score quanto osservato per il Gregson-Williams di La signora dello zoo di Varsavia. Ossia, è sempre una piacevole sorpresa constatare come compositori ritenuti (con buone ragioni) appiattiti sui canoni muscolar-techno-ripetitivi di area pseudozimmeriana si dimostrino in realtà capaci anche di ripiegamenti più intimi, tonalità più soffuse e in generale un linguaggio più sobrio e contenuto.

 In questo senso, ritrovare il compositore tedesco-iraniano noto soprattutto per il colossale affresco epico de Il trono di spade alle prese con questo melò interrazziale di sopravvivenza che ha per protagonisti Idris Elba e Kate Winslet, è una sorpresa nella sorpresa. Innanzitutto colpisce la trasparenza della scrittura orchestrale: archi in primo piano, spesso come solisti, poca e motivata elettronica, un gusto del fraseggio delicato e penetrante, un’attenzione costante a calibrare il suono astenendosi dagli eccessi stravaganti che altre volte gli sono stati imputati. Oltre a questo, la tinteggiatura tonale della partitura gravita quasi interamente verso il minore, conferendole un colore triste e pensoso: ben espresso in brani come “The mountain between us” e “Don’t say anything”, con gli archi in funzione concertante (notevole un assolo di violoncello) o “I’m sorry”, scandito con misteriosa, affaticata lentezza. La rarefazione timbrica, che chiama in causa alcuni effetti synt utili a rendere la vicenda qualcosa di estraneo ad un tempo e un luogo precisi, si accentua in “Rule of three” e sembra movimentarsi solo nella seconda parte di “Finding the cabin”, utilizzando un ritmo ossessivo di bassi su accordi lunghi degli archi; così anche “I’m scared” punta su un’inesorabile ma sommessa scansione ritmica sopra la quale fraseggiano i celli, e “They can’t hear you” richiama in causa il pianoforte in un dolce dialogo con gli archi. Una formula, questa, di sapore squisitamente classico e che sembra qui attrarre particolarmente il compositore, quasi per disintossicarsi da tanto fracasso kolossal firmato nella sua promettente carriera. Anche “The photograph” prosegue lungo questo crinale dolente, in un’evidente accentuazione romantica, mentre a contrasto il sound, sempre trattenuto ma qui tesissimo e quasi orrorifico, di “Flare gun” è forse la sola concessione della partitura al “lato oscuro”.
 Progressivamente poi il paesaggio sonoro si fa sempre più desolato e suggestivo, restituendo perfettamente la sensazione di un ambiente tanto affascinante quanto ostile: così gli effetti di riverbero innestati su lunghi pedali elettronici come “The mountains” sortiscono un effetto spaesante e inquietante, e la ripresa del tema conduttore nello struggente dialogo tra pianoforte e violoncello in “Separation” tocca corde emotive finora sconosciute in questo compositore.
 Certo, manca a Djawadi il guizzo leitmotivico memorabile, l’idea forte, l’impronta fortemente personalizzata. Ma questo è un appunto che si può muovere alla grande maggioranza dei musicisti oggi operanti; soltanto che qui appare evidente almeno lo sforzo di accompagnare con discrezione e partecipazione affettuosa una vicenda sospesa tra natura e sentimento, e di farlo con encomiabile economia di mezzi. Lo si evince anche nel tenero “I feel alive”, nella quieta ballata chitarristica di “Where is the dog?” e nel nuovo adagio per archi di “Just me and you”. A “Moaning of life” spetta infine un congedo in linea con tutto quanto precedentemente ascoltato: un duetto pianoforte-violoncello all’unisono arricchito dall’ingresso dell’orchestra d’archi e da altri solisti, e svolto secondo il dettato di una serena contemplazione interiore: la stessa che permea questa partitura, lasciando forse scorgere in Ramin Djawadi molte più potenzialità di quanto egli abbia sinora espresso.

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