Star Wars: Episode VIII - The Last Jedi & Star Wars: Episode IV – A New Hope - 40th anniversary edition

John Williams
Star Wars: Gli ultimi Jedi (Star Wars: Episode VIII - The Last Jedi, 2017)
Walt Disney Records - D002714602
20 brani – Durata: 77’25”

John Williams
Star Wars: Episodio IV – Una nuova speranza (Star Wars: Episode IV – A New Hope, 1977)
Walt Disney Records - D00262480.1; 40th anniversary edition, 2 vinili + 3° Lp con ologramma in 3D + libro di 48 pagg.
Lp 1: 8 brani, Lp 2: 7 brani, Lp 3: 1 brano – Durata totale: 73’54”

Notizia di questi giorni: la Walt Disney si è comprata, per la modica cifra di oltre 52 miliardi di dollari, la 20th Century Fox. Dal punto di vista della saga di Star Wars, è una cannibalizzazione di forte valenza simbolica: un po’ come se il figlio divorasse il padre, in un rovesciamento del mito di Kronos che mangia i propri figli. Che tutto questo avvenga a quarant’anni esatti dall’avvio dell’epopea di Lucas, appunto sotto l’egida della Fox, e della conseguente impresa musicale williamsiana non è, forse, casuale: e ci permette di valutarne meglio l’incredibile spessore, anche e soprattutto dinanzi al penultimo capitolo (per la conclusione dell’ennealogia occorrerà attendere l’Episodio IX nel 2019).

C’è innanzitutto da registrare il ripetersi, ma qui più evidente e sbalorditivo che altrove (ad esempio in Il risveglio della Forza), del principale miracolo di questo grandioso, epocale ciclo musicale: ossia l’assoluta, intatta, incandescente coerenza di stile, materiali, idee, messaggi che rinsalda fra di loro tutti i capitoli facendone un unicum senza precedenti né possibili eredi, e stabilendo definitivamente nel compositore la presenza autoriale e artistica più forte dell’intero ciclo: tale, quindi, da scavalcare e annullare in un batter di ciglia le differenze qualitative, di ispirazione e di resa, spesso esistenti fra una tappa e l’altra dal punto di vista prettamente cinematografico e narrativo. Su questo oggi occorre essere chiari: al di là della formidabile carica mitopoietica che Star Wars ha innescato in due generazioni di pubblico e che sembra tuttora resistere senza scalfitture, la monumentale Cappella Sistina musicale che Williams ha creato rimarrà nel tempo forse come l’aspetto più forte, decisivo e straordinariamente complesso del ciclo: non foss’altro per lo spirito unitario che la pervade e la coesione stilistica che ne tiene insieme le componenti strutturali. Da quel 1977 ad oggi, insomma, per il compositore il tempo sembra essersi arrestato, talmente assolute sono la coerenza e la continuità con cui egli padroneggia i materiali. E che un artista avviato agli 86 anni sia capace ancora di scrivere con tanta freschezza, vigore e complessità sinfoniche (per inciso, esce a giorni anche l’op. 28 della sua collaborazione con Spielberg, The Post) è un altro miracolo da ascrivere al fenomeno Star Wars: né stupisce, a questo punto, che per l’Episodio VIII il giovane regista Rian Johnson abbia deciso di montare il film a partire dalle musiche, anziché viceversa come di solito avviene. Segno tangibile e riconoscimento di un primato della musica come sorgente e motore anche dell’elemento prettamente visuale.
Notiamo semmai che con il passare degli anni il sound williamsiano della saga si è fatto sempre più trasparente, luminoso, brillante. Persino la fanfara-logo iniziale dei “Main title”, comune a tutti gli episodi sino alla battuta 72 della partitura, suona più levigata, “leggera” e penetrante, con gli ottoni che scintillano più che mai nitidi e abbaglianti. Ma è già con il successivo “The escape”, lungo e poderoso movimento sinfonico “action”, che Williams si riporta all’altezza di pagine come la celebre “Asteroid field”, in una scrittura implacabilmente stratificata e contrappuntistica, dove l’orchestrazione lussureggiante e i frenetici cambi di passo ritmici creano un’ansia dinamica e un incalzare psicologico insostenibili: in coda, poi, sgorga naturale un primo sommesso accenno al tema della Forza, con la naturalezza che si deve a qualcosa che ci è ormai familiare. E poco alla volta i materiali nuovi si srotolano accanto a quelli noti, passando per una pagina di intenso romanticismo come “Ahch-To Island”, dove ricompare lo splendido tema di Rey, e approdando al cupo “Revisiting Snoke”, che poggia sulla riaffermazione di quella che è l’idea musicale più imperiosa e potente di questa terza trilogia, ossia il terribile, primordiale tema di Kylo Ren, altisonante negli otto corni in Fa e poi sotterraneamente distribuito nel furibondo, tellurico “The supremacy”. Dove tuttavia riappare anche, dapprima appena sussurrato nell’arpa poi dispiegato dal “tutti”, il tema di Leia, che la scomparsa di Carrie Fisher trasforma in un commosso omaggio alla memoria dell’attrice: impressione accentuata dalla larga diffusione di questo tema nella partitura, come in “Fun with Finn and Rose” e “Old friends”, quasi che tutto dovesse davvero ricominciare da lì. Ma il dato saliente è la fluidità, la consapevole spontaneità con cui temi vecchi e nuovi si intrecciano e interagiscono in una scrittura sempre mobile, in progress, irrequieta; tema di Rey, di Leia, della Forza si fondono in un unico paesaggio senza tempo né età, fitto di invenzioni (il disegno staccato dei legni…) e di collegamenti interni (il tema di Rey con quello della Forza, il tema di Kylo Ren e quello Imperiale, ecc.): così sfilano pagine magiche come “Lesson one”, di  un pathos ciaikovskiano, o “Who are you?” e “The cave”, intarsiati di sinistre dissonanze, glissandi dei violini e minacciosi disegni dei bassi sino alla fulminea riaffermazione del tema di Luke.
Ma è nei momenti action che la vera supremazia di Williams si dimostra ancora una volta irraggiungibile: come il konzertstück “The Fathiers”, per esempio, nemmeno tre minuti di tellurica tempesta sinfonica scanditi da possenti e rotondi rintocchi dei timpani e da brucianti raffiche di ottoni, oppure la seconda, arroventata parte di “A new alliance”. In una superiore, quasi mistica garanzia della memoria, ecco poi ricomparire in “The sacred Jedi texts” – sia pur brevemente - anche il tema di Yoda, mentre percussioni selvagge e feroci figurazioni degli ottoni trafiggono “Chrome Dome” per arrivare alla poderosa “The  battle of Crait”, nella quale la rielaborazione dei leit-motifs principali vede sancita definitivamente la propria genesi squisitamente wagneriana: nel senso di un loro utilizzo evocativo, psicologico e simbolico, anziché meramente descrittivo. Così Williams riesce a proseguire senza esitazioni la propria opera di riannodamento dei fili tra passato e presente, citando apertamente “The asteroid field”, sgretolando le fragili barriere della tonalità in una scrittura che alterna fiammate politonali o atonali con improvvise e disarmanti aperture liriche, come nel finale dell’ultimo brano citato. E se “The spark” riporta al climax sospeso e notturno di “Who are you?” o “The cave”, salvo una chiosa di impressionante brutalità,  è ancora la solenne nobiltà dei corni a riappropriarsi del tema della Forza in “The last Jedi” e “Peace and purpose”.
La conclusione di “Finale”, il brano più lungo dello score, inizia con sonorità tintinnanti quasi alla Harry Potter, prima di riaffermare con perentoria serenità per un’ultima volta il tema della Forza e riallacciarsi poi alla fanfara di apertura/chiusura, ma con tempi lievemente rallentati rispetto al consueto: così da permettere nell’ordine una riesposizione del tema di Rey, una sorprendente versione pianistica del tema di Leia, un acceso interludio di ottoni, un’accorata versione per celli e violini del tema di Yoda, nuovi frammenti action da “Asteroid field” e una coda in controtendenza, sottovoce e di pacata purezza: quasi un modo discreto e fiabesco di darsi appuntamento, fra due anni, per la conclusione di questa titanica impresa.
Con quella che non è affatto una coincidenza, bensì un’intelligente operazione di mercato, la Walt Disney licenzia in contemporanea a The Last Jedi un sontuoso cofanetto deluxe in tre vinili contenente in occasione del quarantennale la versione rimasterizzata e restaurata del primo capitolo in ordine di realizzazione, ossia Star Wars: Episodio  IV – Una nuova speranza. Il lavoro di restauro e reincisione dell’originale, curato da Jeff Sheridan e Paul Tinta sotto la produzione di Randy Thornton, è stato semplicemente mostruoso, dimostrando come un vinile di ultima generazione letteralmente polverizzi, per qualità, presenza, calore e spessore di suono, qualunque supporto digitale. Il confronto diretto tra questo primo capitolo e l’Episodio VIII serve inoltre a confermare quanto accennavamo all’inizio: chi non sapesse nulla della cronologia dell’opera e ascoltasse a distanza ravvicinata queste due partiture faticherebbe non poco a credere che tra esse intercorrono quattro decenni! In più va annotato che il cofanetto contiene un prezioso, grande volume rilegato di grande formato e 48 pagine, con testi analitici di Jeff Bond e Jeff Eldridge, ma soprattutto un mare di illustrazioni e fotografie a colori, anche relative al backstage musicale.
Ciliegina sulla torta, il terzo vinile. Si tratta di un disco inciso solo su una facciata con la pirotecnica “The last battle”: ma se, mentre siete in riproduzione, ne illuminate la seconda metà con la torcia dello smartphone, esso produce un ologramma tridimensionale della Morte Nera! Certo, è solo un gadget per fan, ma la memoria e la nostalgia tornano ancora una volta a quel 1977, alla principessa Leia Organa, e al suo ologramma che quarant’anni fa invocava “Aiutami Obi-Wan Kenobi, sei la mia unica speranza”…

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