Spellbinder

cover spellbinderBasil Poledouris
Spellbinder (Inedito, 1988)
La-La Land Records LLLCD 1177
15 brani – durata 56’13”

Basil Poledouris non è certo un compositore che ha bisogno di presentazioni, ma per il neofita delle colonne sonore occorrerà ricordare alcune sue composizioni per film che sono diventate pietre miliari della cinematografia statunitense e non solo. A partire da metà anni ‘60, il compositore di origine greca scomparso nel 2006, ha scritto oltre cento musiche per film, collaborando con numerosi registi tra i quali, per essere vergognosamente concisi, Paul Verhoeven per la score di Robocop (1987) e John Milius per la OST di Conan il barbaro (1982). Bastino questi esempi per comprendere la tipologia di scrittura di Poledouris in cui sono predominanti azione e atmosfera epica dalle sonorità sinfoniche. Ciononostante, accanto alla pressione dei fiati, alla incisività delle percussioni, alla pienezza vocale dei cori e alle dinamiche fortissimo, non mancano in generale nelle sue composizioni suggestioni di passaggi morbidi e leggeri che fanno entrare l’ascoltatore (e lo spettatore) in ambienti sonori sognanti e rarefatti.

Spellbinder, del 1988 diretto da Janet Greek (regista anche per la televisione di note serie tv degli anni ‘90 come Melrose Place, Xena e Renegade), è un film horror che, pur legato a certi stilemi cinematografici tipici di quegli anni, risulta ben curato, ben recitato, con un’efficace costruzione della suspense, che ricorda qualcosa del più recente e fortunato L’avvocato del diavolo (di Taylor Hackford del 1997). La sua appartenenza agli anni ‘80 è evidente anche nella colonna sonora che, di tutt’altra natura rispetto ai lavori di Poledouris già citati, è interamente orchestrata con strumenti elettronici e sintetici di generazione tipicamente FM.
La partitura è chiaramente scritta visionando le immagini, appoggiandosi all’azione, alle battute e alla sceneggiatura, tanto da risultare quasi un manualetto super didascalico della scrittura per genere thriller e horror. Ostinati, colpi di scena, trilli, lunghi pad, ci fanno sentir passare qualche spettro durante l’ascolto; si percepisce tutta la padronanza artigiana di questo mestiere, la sua capacità di adattarsi velocemente alle situazioni, pur conservandosi qua e la qualche punto in cui la personalità musicale di Poledouris viene fuori. Colpisce fin dalla prima traccia la presenza di profondi tamburi; nella sala del 1988, pur con impianti di amplificazione meno performanti di quelli attuali, saranno stati percepiti come colpi allo stomaco, il cui disturbo doveva essere funzionale alla suspense, e alla necessità di tenere lo spettatore dentro la scena con la giusta tensione.
Parecchie tracce svolgono una funzione di semplice “servizio”, di movimento, di attesa, di contrappunto a battute e colpi di scena, che rendono questa colonna sonora quasi inascoltabile separatamente dal film; eppure in brani come “Aldys Follows/Phone Search” non solo sentiamo accadere molte cose, ma si avverte la presenza di un Poledouris anche sound designer in cui la parte musicale è messa in disparte per far emergere una suggestione sonora che intende dare introspettivamente voce a ciò che accade sullo schermo, e che non sia direttamente legato a battute o a suoni di scena. Proprio questa traccia contiene nel suo finale un unico elemento estraneo alle sonorità sintetiche, ovvero un vera voce, dal sapore gregoriano, che arriva e svanisce nell’arco di 5 secondi.
Viene da chiedersi se non ci fossero ragioni di natura economica che avessero costretto Poledouris a limitare la strumentazione alla sola elettronica governata dal protocollo midi. Ma questa ipotesi non è del tutto convincente: data la realizzazione comunque hollywoodiana, dato anche il “nome” del compositore tutto suggerirebbe una precisa scelta stilistica, più probabilmente dovuta al fatto che in quegli anni il compositore scriveva moltissima musica, quindi il lavoro da velocizzare e le scadenze da rispettare dovevano essere le regole del professionista. Una scrittura così asciutta da un punto di vista strumentale suggerisce il fatto che Poledouris abbia potuto occuparsi interamente e di persona di tutte le fasi produttive che, nel caso della musica fatta con sintetizzatori, si limita a comporla sullo strumento stesso e sulle immagini, registrarla nel proprio home studio, e consegnarla; diversamente, la scrittura per orchestra richiede ben altri sforzi, ovvero pensare tutto il suono sinfonicamente, scrivere per sezioni, affittare orchestra, sala di incisione, delegare i trascrittori e così via, giusto per ricordare qualche passaggio.
Una OST non sorprendente in sè ma che contiene comunque sia un tema riconoscibile (poche note a distanza di semitono, quasi una melodia cluster distesa su quattro note, e altre quattro note discendenti ripetute come un mantra; si ascolti l’incipit della prima traccia “The Witching Hour”) insieme a passaggi interessanti, i quali avrebbero potuto meritare una strumentazione orchestrale che avrebbe svincolato questa colonna sonora dagli anni della sua nascita, e l’avrebbe avvicinata alle composizioni di Poledouris immediatamente precedenti (Robocop, 1987) e successive (Addio al re, 1988) immerse nella pienezza del suono orchestrale. Ciononostante la strumentazione sintetica rende facilmente riconoscibile questa soundtrack nella filmografia del compositore, suggerendo un’ambientazione dai sapori horror e thriller urbana. Una riflessione: l’ambiente urbano di Robocop era sinfonicamente ed epicamente proiettato al futuro avendo come protagonista un “eroe” completamente diverso dall’avvocato rampante raggirato dalla bella strega di Spellbinder. E, a voler completare il quadro, lo stesso sinfonismo è applicato anche all’eroe del passato, Conan. Probabilmente è questione di “eroismo”: Spellbinder non ha un eroe se non un protagonista perdente, e questo trova il suo riflesso nella colonna sonora, il cui protagonista è invece l’antieroe per eccellenza: il male.
Due parole sulla splendida edizione limitata in 1200 copie di questo CD della La-La Land. Il booklet al suo interno è ricco di informazioni sulla sceneggiatura, sulla regia e sulla colonna sonora. E qui la sorpresa che smentisce quanto scritto su: la strumentazione strettamente elettronica era effettivamente motivata da restrizioni del budget, e tutta la colonna sonora fu registrata, quasi a costo zero, nello studio semi casalingo di Poledouris, senza per questo lesinare sulla cura verso una creatura “figlia” come una score. Le note interne scorrono l’intera composizione traccia per traccia e scena per scena confermando quanto si era ipotizzato, ovvero che la musica è uno speculare contrappunto al fotografico, che aggiunge una profonda tridimensionalità alle immagini. L’edizione contiene anche tracce composte appositamente per il film ma poi non incluse nel montaggio finale, e la sua uscita è stata possibile grazie al recupero dell’unica copia conosciuta della partitura, conservata negli archivi della University of Southern California.

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