Arcana/L’uomo del tesoro di Priamo

cover arcanaRomolo Grano
Arcana/L’uomo del tesoro di Priamo (1972/1977)
Digitmovies SPDM 012
17 brani (7+10) – durata: 65’ 06’’



Dopo Ho incontrato un’ombra (1974) e Lo strano caso della baronessa di Carini (1975), la Digitmovies dedica a Romolo Grano (1929) un’altra uscita comprensiva di due colonne sonore in singolo CD: Arcana, film di Giulio Questi, e L’uomo del tesoro di Priamo, miniserie TV di Paolo Gazzara.
Compositore appassionato di musica elettronica e collaboratore presso lo Studio di Fonologia Musicale della RAI fondato a Milano da Luciano Berio e Bruno Maderna, Grano ha il merito, insieme a Mario Migliardi e a Berio stesso, di aver condotto una campagna di divulgazione della musica dodecafonica, avendola impiegata, nell’arco dei decenni ’60 e ’70, per trasmissioni radiofoniche e televisive (soprattutto per quelli che allora venivano chiamati «sceneggiati»).

Proprio in virtù di tale fama di esperto di musica astratta e d’avanguardia, Grano venne incaricato, con l’apporto di Berto Pisano per gli arrangiamenti e la direzione d’orchestra, di sonorizzare Arcana, raro film etnografico che molti dizionari specializzati catalogano impropriamente come horror. In realtà esso inquadra alcuni aspetti della società italiana nel passaggio cruciale dagli anni ’60 ai ’70, periodo in cui il nostro paese era scosso da forti tensioni dovute alle difficoltà di inserimento dei migranti meridionali nel ricco e spesso ostile nord, ed era lacerato da insanabili contraddizioni: sebbene ormai fosse votato al progresso e all’industrializzazione, era ancora profondamente intriso di cultura popolare e ancestrali superstizioni. Su questo sfondo si staglia la storia di una vedova pugliese (interpretata da Lucia Bosé) trapiantata in un quartiere popolare di Milano, dove, per sbarcare il lunario, si dedica a pratiche di spiritismo per una vasta clientela di creduloni. Il figlio, veramente dotato di poteri paranormali e morbosamente legato alla madre, si fa rivelare da lei i segreti del mestiere per poi scatenare incontrollabili forze occulte fino al tragico finale.
Il compositore, in bilico tra le esigenze dettate dalla tematica antropologica e da quella metapsichica, si muove con particolare agilità in quest’ultima, scendendo per circa metà della partitura negli abissi sonori della sperimentazione. Non mancano però richiami alla musica leggera del tempo e, in misura minore, al patrimonio colto.
La title track “Arcana” si sviluppa in tre movimenti orchestrali, il primo e il terzo di matrice pop con i fiati, l’organo Hammond e la voce di Edda Dell’Orso in piena luce; il secondo, per archi, di ispirazione classica ma con ritmica moderna.  
Le due versioni de “L’uomo con se stesso” sono anch’esse di natura melodica: la prima è un’ombrosa romanza per chitarra classica sola con rapidi cenni d’archi nel finale; la seconda una rielaborazione della medesima per grosso organico e vocalizzi. I brani atmosferici sono fortemente connotati in senso onirico e disturbante: alle dissonanze lontane di “Introversione” (per percussioni, archi ed effetti elettronici con interventi psichedelici di chitarra elettrica), si appaiono gli intrecci di “Sacro e profano” (per archi, fiati, vibrafono, tastiere, percussioni e chitarra elettrica distorta) e del suo naturale prosieguo “Percezioni extra sensoriale”, rinvigorito anche dai preziosismi vocali della Dell’Orso.
La scena più impressionante del film, quella con la Bosè in trance che vomita delle rane vive, si muove in sintonia con “Taranta”, un’estenuante danza mediterranea per violino e percussioni dalla genesi insolita. Intorno al 1965, Giulio Questi si trovava in Macedonia per girare dal vero alcuni rituali folk per conto di un film documentaristico, mai completato, di Gillo Pontecorvo. Durante i sopralluoghi nelle campagne locali, si imbatté in un anonimo violinista impegnato nell’esecuzione di una nenia popolaresca che lo colpì molto. Anni dopo, pianificando insieme a Grano la colonna sonora di Arcana, si ricordò di quel tema che aveva registrato su audiocassetta. Lo fece sentire al musicista che ne fu entusiasta a tal punto da accettare di curarne un arrangiamento.
Lo sceneggiato RAI L’uomo del tesoro di Priamo illustra invece la biografia di Heinrich Schliemann (1822-1890), imprenditore tedesco e cultore di antichità classiche, nonché pioniere dell’archeologia moderna. Le sue intuizioni lo portarono a non trascurare, nella pianificazione delle ricerche sul campo, le fonti letterarie antiche (soprattutto i poemi epici), ritenendole ricchissime di indicazioni topografiche ma spesso liquidate dagli accademici come favole senza alcun fondamento storico. Scoprì così le vestigia della città di Troia e ivi un tesoro da lui attribuito al re Priamo, che però studi successivi retrodatarono rispetto alle vicende narrate nell’Iliade.
Per questo sceneggiato, Grano, con il contributo di Gianni Oddi negli arrangiamenti e nella direzione d’orchestra, sceglie un profilo più commerciale, sciorinando una teoria di sapori armonici e timbrici (in particolare derivanti da cordofoni di area extra colta) tipici del Mediterraneo orientale (Grecia e Turchia).
Ecco allora il bouzouki di “Burnabashi”, inserito in un contesto di pop moderno con assoli di tromba; il sitar, il flauto e i sonagli etnicamente amalgamati in “Danza turca”; il sirtaki trombettistico, poi ripetuto più lentamente per bouzouki ne “Il canto del bouzouki”, di “Tema di Schliemann”, con interventi di tromba ed oboe; il solitario flauto di “Micene”, che sembra aprire un dialogo sommesso con le civiltà passate.
Sono invece tre i brani riferibili al comparto atmosferico: gli sperimentalismi onomatopeici di “Ricerche archeologiche”; le dissonanze misteriose di “Maschera di Agamennone”; i profondi ed ossessivi echeggiamenti di “Mistero di Troia”.
Infine, il valzer orchestrale di “Infanzia di Schliemann” è un richiamo alle origini germaniche dello studioso.
Il disco ripropone, senza aggiunta di inediti, le tracklist di due 33 giri della Pegaso, usciti all’epoca come materiale di repertorio per sonorizzazioni e non destinati alla vendita.

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