Themes and Transcriptions for Piano

Williams Pedroni FrontJohn Williams
Themes and Transcriptions for Piano (2017)
Pianoforte Simone Pedroni
Varèse Sarabande VSD 3020674788
27 brani – Durata: 79’00”

Nella poetica di John Williams, il pianoforte occupa un posto molto particolare. Da un lato si tratta dello strumento attraverso il quale il maestro newyorkese si rivelò, ormai quasi sessant’anni fa, nel corso di un lungo apprendistato come solista in partiture altrui, soprattutto televisive ma non solo. Successivamente lo strumento è sempre stato un protagonista discreto ma costante della sua musica, anche se sinora non ha mai ottenuto l’onore di un concerto dedicato, come avvenuto invece per tutte le altre famiglie di strumenti (violoncello, violino, fiati…); ciò non ha impedito tuttavia a Williams di prodursi in alcune pagine cameristiche di enorme suggestione e moderno lirismo, come le “Conversations” immortalate da Gloria Cheng.

 Considerando che la tavolozza, gli impasti orchestrali della musica williamsiana sono parte costitutiva e fondante della sua grandezza, un’operazione di trascrizione pianistica di alcune delle sue pagine strumentali può sembrare ardita e suscitare diffidenza; già alcuni tentativi passati – come quello recente di Dan Redfield nell’album “Across the stars”, etichetta BSX Records – hanno però dimostrato che nel nucleo del comporre williamsiano pulsano un’incandescente inquietudine armonica, una sobria severità di scrittura, un amore per la costruzione e lo sviluppo contrappuntistici che la trasposizione su tastiera, lungi dall’occultare, esalta. Ed è ciò di cui ci si rende ulteriormente conto ascoltando ora questo prezioso album che la Varèse ha consacrato al maestro attraverso il contributo di uno dei nostri più squillanti e illuminati talenti musicali.
 Il novarese Simone Pedroni, non ancora cinquantenne, già Premio Van Cliburn nel ’93, non è infatti soltanto il direttore d’orchestra italiano che più si sta spendendo, in assoluto, per la diffusione e la divulgazione concertistiche della musica cinematografica (williamsiana e non), ma è anche un raffinato pianista e musicista la cui consuetudine con l’universo dell’autore di Star Wars si è perfezionata e consolidata negli anni attraverso concerti, studi, riesecuzioni, approfondimenti, sorretti da una consuetudine amicale con il maestro ma soprattutto dalla certezza di trovarsi dinanzi ad un protagonista della storia della musica tra i due millenni.
 Nella fattispecie, il Williams pianistico era già stato oggetto di un concerto milanese di Pedroni tre anni or sono, ma trova ora in questo album un “focus” straordinario e per molti aspetti stupefacente; perché, in ognuna delle pagine affrontate, l’esecutore sembra operare un lavoro d’introspezione strutturale, si direbbe architettonica, che estrae l’anima profonda della scrittura williamsiana, enucleandone l’immenso potenziale lirico e drammatico. Sarà appena il caso di ricordare che tutti i brani si basano su trascrizioni dello stesso Williams, in taluni casi (Lincoln, Presunto innocente) ampliate da Pedroni; e che comunque, anche nel caso di trascrizioni opera del solista (gli Harry Potter) non una nota è stata aggiunta o modificata rispetto all’originale. Questo a dimostrazione di uno scrupolo filologico che non è mera pignoleria ma rispetto profondo per una scrittura che contiene già in sé ogni possibile sviluppo o elaborazione, e che porta alla superficie come immediata conseguenza il proprio nesso fortissimo con la scrittura orchestrale di partenza, senza peraltro che quest’ultima venga – in questo caso – minimamente rimpianta.
 La lunga suite da Lincoln è srotolata da Pedroni all’insegna di una castità del suono quasi francescana, di straordinario pudore espressivo; il pianista escogita infatti un tocco solenne e nel contempo austero, privo di enfasi (si ascolti l’iniziale “The people house”), conferendo ad alcuni momenti (“Elegy”) un’impalpabile, soave mestizia. Ne esce una sorta di “Americana” contemporanea depurata di qualsiasi orpello ornamentale, dal sottofondo ineluttabilmente funebre. Nulla potrebbe contrastare di più con la fluttuante, leggera, sorridente nostalgia che promana dal tema di Sabrina, arricchito da una varietà di fraseggio e da un arco dinamico di travolgente comunicatività; così come il “Remembering Carolyn” da Presunto innocente illumina il contrappuntismo williamsiano per confrontare le due idee tematiche tra mano sinistra e mano destra, ancora una volta sottolineandone la profonda malinconia, ma in una scrittura di rigore bachiano.
 “The asteroid field” da Star Wars V L’impero colpisce ancora è senza dubbio il brano più sbalorditivo dell’album, e per un semplice motivo. Se c’è una pagina di Williams che si fatica a concepire sottratta all’orchestra, è questa. Tale è il vulcanico, arroventato virtuosismo strumentale richiesto, l’incalzare ritmico, l’intrecciarsi delle sezioni, la furibonda, eppure sorvegliatissima violenza con cui si scontrano le infinite idee tematiche in un’intelaiatura armonica che ricorda da vicino il Prokofiev o il Bartòk del periodo “barbaro”. Ebbene, il virtuosismo trascendentale e soffocante di Pedroni trasforma questo brano in una specie di “konzertstück” lisztiano, tra un profluvio di scalette rapinose, staccati martellanti e accelerazioni forsennate, rispettando sino all’estremo l’originale ma rivivendolo in un delirante esercizio di bravura. Anche qui, quale maggior contrasto poteva esserci con il successivo tema di Luke & Leia da Star Wars VI Il ritorno dello Jedi, che di tutti i love themes “stellari” di Williams è forse il più incantatorio e insieme il più pensoso; la lettura di Pedroni ne accende tutto l’incandescente pathos romantico, con impeto rachmaninoviano ma anche consapevole, rassegnato fatalismo e con un sentimento tragico abilmente tenuto in sottotraccia (tra l’altro Pedroni appare perfetto conoscitore delle ambiguità e delle risorse contenute nel “rubato” di matrice chopiniana).
 Un’altra partitura williamsiana che nella trascrizione pianistica non solo non perde nulla ma forse addirittura guadagna è Storia di una ladra di libri. Come molte altre score della parte meno appariscente e fortunata della sua opera, anche questa vibra di emozioni sottese, di disegni melodici rapidi ed evanescenti, di continue alternanze tra una lievità neoclassica e quasi umoristica e una drammaticità sconsolata quanto sobria. Per l’occasione poi – altro pregio dell’album – Pedroni propone alcune pagine precedentemente inedite, come la saltellante, stravinskyana “The snow fight” e la composta “Learning to road” (anche in Lincoln figurano due inediti, “The peace delegation” e “The meeting with Grant”).
 Chiunque pensasse poi che il tema di Schindler’s list, divenuto ormai simbolo ed epitome musicale della Shoah, sia inscindibile dal violino di Itzakh Perlman, avrà modo di ricredersi nell’esecuzione di Pedroni, di un’intensità e partecipazione strazianti; a dimostrazione ulteriore che nel dettato intimo del “mèlos” williamsiano pulsa e vive qualcosa di universale, senza tempo né confini.
 Le suite dai due Harry Potter (La pietra filosofale e Il prigioniero di Azkaban) confermano che il funambolismo e il fantasismo orchestrali tipici della scrittura di Williams possono trovare benissimo un corrispettivo solistico, a patto che alla tastiera vi sia un virtuoso del calibro del pianista piemontese. Le cascatelle scintillanti di “”Hedwig’s flight” o le ondate cromatiche di “Buckbeak’s flight” (introdotta da un inatteso rullare di percussioni) si contrappongono allo stupore sospeso ed etereo di momenti come “A window to the past”; mentre il lato oscuro delle partiture (“Voldemort”) trasportato su tastiera enfatizza opportunamente la cupa, respingente ostilità di una scrittura dissonante e aggressivamente politonale.
 Personalmente abbiamo sempre detestato la parola “arrangiamento”, per quel tanto di pressapochismo e dilettantismo che essa sembra contenere, preferendole di gran lunga termini come “orchestrazione” o “trascrizione”. Orbene se c’è un’occasione in cui va ribadita questa convinzione, è il disco di Simone Pedroni: omaggio a un gigante, senz’altro, ma anche testimonianza limpida dell’intelligenza e sensibilità di un grande interprete.

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