Demain

cover demainFredrika Stahl
Domani (Demain, 2015)
Boriginal 0888751790629  
17 brani – Durata: 40’00”

Svedese di Stoccolma, la 32enne Fredrika Stahl è una figura di primo piano nel mondo del jazz-pop europeo, ma è da considerarsi un’outsider per quanto riguarda il suo apporto al cinema. E senz’altro il suo contributo al documentario ambientalista di Cyril Dion e Mélanie Laurent (la protagonista di Bastardi senza gloria e Il concerto) avviene all’insegna di una piena condivisione di quelle tematiche: rispetto dell’ambiente, sviluppo sostenibile, modelli alternativi di progresso sociale… Anche i testi delle canzoni qui incluse vanno in questa direzione (“È sempre dura rendersi conto di come le cose potrebbero cambiare, ma adesso siamo nei guai, siamo davanti a un muro…”) e la stessa Stahl racconta di averle scritte di getto, prima ancora di vedere una sola immagine, orientandole verso un ottimismo di fondo che è apparentemente in contrasto con gli allarmanti messaggi provenienti dal film.

 Ma, al di là della nobiltà di contenuti, interessante è registrare la sostanza squisitamente musicale del contributo di questa artista, pressoché sconosciuta da noi. Lo score ha una struttura predefinita, a cominciare dall’organico: la base è fornita dalla Paris Scoring Orchestra sotto la direzione attenta e partecipe di Olivier Holt,  sulla quale si sviluppano i contributi di una formazione che va dal quartetto al settetto (piano, vibrafono, percussione, chitarra, tastiere, flauto, basso, fiati), con l’inclusione di alcune sonorità elettroniche e l’autrice in veste di cantante, oltre che pianista. Ne sortisce un amalgama delicato, intessuto di sonorità gentili e piacevoli, ma non superficiali né di sottofondo. Il breve “Step by step”, ad esempio, esclusivamente strumentale, esibisce un piccolo tema pianistico destinato a rimanere impresso, così come spicca il bizzarro “Planting children”, basato su un meccanismo quasi ad orologeria dove l’intervento del piano fa pensare all’ironia di certe pagine di Erik Satie.
 L’ottimismo cui si riferisce la Stahl si aggancia qui infatti ad un tono lieve, quasi canzonatorio, da un lato volto a sdrammatizzare ma dall’altro pervaso da una specie di umorismo caustico, sia nei testi che nella timbrica aguzza e frammentata: ne sono esempi “Map of the world” e soprattutto “Make a change”, dove l’alternanza tra la voce spigliata e sbarazzina di Fredrika e le evoluzioni jazzistiche del trombone di Fabien Cyprien formano un connubio vivacemente spiritoso. Più meditativa “Water”, dall’andamento di ballata con un tema malinconicamente orecchiabile che rimbalza tra pianoforte e flauto, a precedere l’excursus molto techno di “Machines” e la vocalità sofisticata di “Pulp your sleeves”, tipico scampolo di pop electro-nordico dalla costruzione geometrica. Affiora anche un lato onirico in brani come “Secret garden” che ricorda vagamente “Warm in the winter” dei Glass Candy, il pezzo reso celebre dallo spot pubblicitario Air France; ma la Stahl è efficace anche e forse soprattutto quando semplifica la costruzione dei propri brani, come “More”, semplicemente per piano, voce e tastiere, oppure quando escogita momenti di autentico sarcasmo strumentale come “Kuthambakkam” o “Papers bills”, basati sempre su una ritmica molto elementare e precisa, e sull’effetto creato dall’assemblaggio di sonorità ricercatamente trasparenti. Più significativa, rispetto al contenuto del doc, l’eterea “Everything” (”Ascolto la pioggia, il vento e il mare”…) che profuma abbastanza di New Age, a differenza di “Fields” il cui impianto sonoro tradizionale (chitarra e pianoforte), da carezzevole ballata, sembra quasi una reminiscenza anni ’70. Il conclusivo “Tomorrow”, scopertamente pop senza eccessive complicazioni strutturali o timbriche, consegna un po’ tutta la filosofia del film (“Comincia a guardarti intorno…”) ma riconsegna anche il lavoro di Fredrika Stahl alle sue originarie matrici jazzistiche (formidabile l’assolo trombettistico di Christian Martinez) rivisitate ovviamente in salsa post-moderna ed europea.
 Sarà il tempo a dirci se per l’artista svedese si è trattato di un esperimento isolato o del primo passo in un campo nuovo, che la vedrebbe arruolata nell’ormai sempre più vasta pattuglia dell’”altra metà del cielo” cinemusicale, di cui prima o poi bisognerà tentare un ragionato censimento.

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