Caffè

cover caffeTeho Teardo
Caffè (2016)
Edizioni Curci
10 brani – Durata: 25'02”

Dalle composizioni di Teho Teardo promana sempre un alone di mistero, di malinconia pensosa eppure in qualche modo sorridente, lieve, che conferisce alle storie dei film da lui musicati una valenza simbolica penetrante e di ampio respiro. Il musicista friulano è sempre molto coerente con la propria poetica e il proprio linguaggio, al punto da aver ormai creato un “sound” assolutamente inconfondibile e affascinante, che egli calibra e modula di volta in volta con perspicacia e grande sensibilità timbrica.

Accade puntualmente anche per il nuovo film di Cristiano Bortone (Rosso come il cielo, 10 regole per fare innamorare) presentato alle Giornate degli Autori veneziane 2016 e centrato su tre storie, fra Belgio, Italia e Cina, con il denominatore comune del caffè, bevanda transnazionale e apparentemente unificante, ma anche epicentro drammaturgico imprevedibile di vicende e individui senza confine. Una universalità, pur nella specificità dei singoli vissuti, di cui la musica di Teardo si fa carico con la discrezione sommessa, quasi riluttante che è tipica del suo comporre rarefatto, essenziale, pudico: e irriducibilmente ostile a qualsiasi scorciatoia ad effetto. Questa sorta di castità espressiva, di istintiva riservatezza non va però mai a discapito delle emozioni o dell'espressività. Sono sufficienti un violino, un cello, pochi tocchi riverberati, mormorii della percussione, timidi cenni pianistici per evocare in “Give us a kiss” una tensione subliminale ma palpabile, sciolta poi nel melodizzare più ampio di “The absolutist”, dai contorni quasi patetizzanti, e nell'ostinato ritmico di “Pure enough”, risolto in spettrale, liquescente cantilena.
Atmosfere più sinistre, incombenti, emergono da “The blue of distance” che comunque ripropone la classica costruzione sonora di Teardo per stratificazioni progressive, mentre gli accordi di chitarra di “The unfamiliar” ci rinviano ad un sound più anni '70, insidiato pur sempre però da una ragnatela di sonorità elettroniche con la specifica funzione di sostegno ritmico. Il mesto canto del cello si mescola così in “Disappeared” con un altro suono vintage, quello della spinetta, in un dialogo cameristico che ha il sapore di nostalgie settecentesche. Il tematismo faticoso, dolente degli archi di “Invite the Prophesies” precede un nuovo, complesso reticolato di percorsi tra archi e pianoforte in “La sveglia degli artisti”, continuando a trasmettere quella sensazione di indeterminatezza, di sospensione che è la chiave di tutta la partitura. “The unforseen” appare più sbilanciato sul fronte elettronico (di cui tuttavia mai Teardo abusa) verso sonorità eteree e irreali, mentre “Transformative” ci congeda dalla breve ma intensa partitura con nuove volute degli archi solisti che non rinunciano a levare il proprio canto da una posizione di isolamento timbrico: perché il “sound design” del compositore friulano è, anche e sempre, un “sound of soul”, un suono dell'anima.

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