Nocturnal Animals

cover nocturnal animalsAbel Korzeniowski
Animali notturni (Nocturnal Animals, 2016)
Silva Screen Records SILCD1525
12 brani + 1 bonus track – Durata: 33'55"

Con intelligenza, Abel Korzeniowski va costruendo la propria ormai lanciatissima carriera di musicista per lo schermo selezionando attentamente e autorialmente le offerte, ed affrontando spesso film non facili. Per l'esordio dietro la macchina da presa di Tom Ford, A Single Man, aveva già cesellato in tandem con il giapponese d'avanguardia Shigeru Umebayashi una partitura intessuta di raffinate, delicate sottrazioni; al contrario ora, per il cupo e morboso thriller-opera seconda dello stilista americano, firma da solo uno score che tenta di coniugare una scrittura densamente drammatica, a tratti tragica e davvero "notturna", con i canoni di una modernità tormentata, interiore, talvolta in chiaro odore di postminimalismo.

In un certo senso si tratta per il 44enne compositore di Cracovia, allievo di Krzysztof Penderecki, di un ritorno alle proprie radici: interessante, in tal senso, può essere il confronto comparato con alcune delle sue prime partiture filmiche, scritte in patria all'inizio degli anni 2000 – e disponibili su disco – in particolare per i film di Jerzy Stuhr, come Duze zwierze o Pogoda na jutro, o per Aniol w Krakowie di Artur Wiecek, o con la sua versione musicale del capolavoro di Fritz Lang Metropolis.
Nello specifico, il musicista sembra qui aver ereditato da Penderecki la possente, ipnotizzante stratificazione della scrittura sonora, concepita per fasce (i cosiddetti "cluster"), unitamente ad un lirismo accorato, implorante e fortemente spiritualizzato: accade così che nei suoi score siano rinvenibili contemporaneamente fortissime tensioni postmoderne, spesso risolte nelle ossessive e disturbanti ragnatele del minimalismo, e accensioni romantiche di straziante intensità espressiva. Ne fa fede subito, qui, il tema bipartito e ascendente dei violini di "Wayward sisters", fondato su una tecnica esecutiva degli archi, il tremolo, che si rivela fondativa in tutto il lavoro: essa tornerà infatti, in "Exhibition", come semplice sostegno di un respiro ansimante, e poi nuovamente come intro al piangente tema violinistico in "Restless". Con relativa economia di mezzi, dunque, Korzeniowski crea rapidamente un climax opprimente e ansiogeno, nel quale però l'elemento melodico non è il solo protagonista; in "A solitary woman" per esempio, le terzine iterate e insistenti del pianoforte sullo staccato degli archi svelano in qualche modo un'influenza anche nymaniana, appena addolcita dal territorio armonico, prevalentemente in minore, in cui si muove la partitura.
Ma ecco, nel lungo "Off the road", rivelarsi l'altra faccia dello score; il tremolo che crediamo iniziale e introduttivo si rivela viceversa l'asse implacabile e inesorato che, immobile per quattro minuti e mezzo, sorregge un disegno ostinato degli altri archi e uno strascicato intervento dei bassi, il tutto in un soffocante crescendo dinamico che sembra non avere mai fine. Qui Korzeniowski indica la propria via ad una personalissima suspense musicale, ottenuta con risorse esclusivamente orchestrali ma con un linguaggio al tempo stesso arcaico e innovativo. Ancora un arpeggio ostinato (viole prima, celli poi), accompagna in "Revenge" i deboli interventi del clarinetto e dei fiati in una sorta di nenia rituale e incessante; ma ecco che, in "The field", viene evocato – non è dato sapere quanto consapevolmente – un altro "fantasma" della partitura, quello di Bernard Herrmann. L'accorato lamento del violino solo, ripreso poi da celli e celesta, ricorda infatti i momenti più alti e intimamente coinvolgenti del maestro americano, segnatamente per Vertigo di Hitchcock o Fahrenheit 451 di Truffaut: e a quesato punto la breve ripresa conclusiva e solistica del tema iniziale, sul solito tremolo, ne appare quasi il naturale prosieguo. Con "Crossroads" si torna all'orchestra d'archi pensata e trattata come fonte di suono organizzato non secondo procedure tradizionali ma seguendo tecniche esecutive postseriali (il tremolo del "tutti" si salda qui con un effetto sfarfallante che mette i brividi); poi di nuovo la scelta di brevi disegni dei violini ostinati e ripetuti, ma attutiti dalla sordina e contrappuntati con i celli, agita in "Mothers" lo score in una direzione psicologicamente instabile. Ancora un tremolo, sul ponticello, apre "City lights" e preludia al leit-motif, in una versione brevissima ma particolarmente toccante, mentre "Table for two" si rifugia nel secondo tema (quello di "The field", ma in una tonalità più grave) affidandolo ad un limpido pianoforte adagiato sul tappeto dei violini, precedendo poi un severo e quasi solenne sviluppo. La versione alternativa di "The field" sembra quasi voler riaffermare, ai limiti della citazione, la propria genesi herrmanniana, enfatizzando il cromatismo della scrittura sino a sfiorare le corde di un sentimentalismo perorante e difficilmente resistibile, soprattutto – va detto – quando a incaricarsi della melodia è il canto di una sezione di violoncelli raramente così intensa e partecipativa, sigillata da una transitoria ma luminescente riesposizione del primo tema. Ed è ancora l'ombra del grande Benny a proiettarsi sul conclusivo bonus track "Fairy tale", congedo che riporta la partitura sul fronte intimista: confermando in Korzeniowski un compositore che sembra particolarmente versato nel traghettare l'eredità del linguaggio melodico della "grande scuola" verso gli approdi di una modernità irrequieta e introspettiva.

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