Lettere

cover letterePino Donaggio
Lettere (2016)
Warner Music Italy 5054197269721
9 brani - Durata: 48'44''

Per la prima volta nella discografia di Pino Donaggio, viene stampato un album che non riguarda né la sua stagione cantautorale (1959-76) né quella di compositore per il cinema e la televisione (1973-in corso), ma composizioni di musica cosiddetta “assoluta” che, come lo stesso autore scrive nella presentazione inserita nel booklet del CD Warner Music Italy, fotografa la sua anima adesso, una sintesi dei luoghi in cui Donaggio ha vissuto e ha composto e un ritorno maturo alle sue origini, all'amata Venezia e al suo fascino immortale.

Protagonista dei sette affreschi a firma Donaggio, la celebre orchestra da camera dei Solisti Veneti, fondata e diretta da sempre dal M° Claudio Scimone e che con Donaggio ha molto in comune: la terra di appartenenza, l'anno di formazione artistica (il '59, quando il giovane Donaggio muoveva i suoi primi passi discografici nella scuderia VCM-Columbia), le esecuzioni violinistiche (Donaggio stesso, come ricorda il M° Scimone nella sua prefazione al disco, militò tra le fila dei primi violini della nascente orchestra mentre ancora era studente di Conservatorio e stava per affermarsi nel mondo della musica leggera) e il repertorio barocco come canone stilistico di riferimento per la forma e le architetture compositive. Un ritorno maturo, un siderale e rilevante ricorso artistico che il M° Scimone racconta quale embrionale coraggiosa telefonata di richiesta di un pezzo da dedicare a quei Solisti Veneti in cui il giovane Donaggio vibrò le sue prime corde. Un ritrovo anche fisico nel marzo 2015 a Padova durante la consegna del riconoscimento “Leoni del Veneto” a Donaggio. E il brano commissionato in realtà è diventato un vero e proprio progetto e concept musicale che in un anno ha portato alla realizzazione di cinque nuove composizioni dedicate all'orchestra padovana e, per l'appunto, all'incisione in studio di questo prodotto discografico intitolato “Lettere”. Una luce nuova e nuovi rilievi di zone rimaste in ombra ripropongono all'attenzione e all'interesse di un pubblico da sala (ricordiamo infatti che quattro delle nuove composizioni sono state eseguite dai Solisti Veneti tra l'estate 2015 e l'estate 2016 nel corso del Veneto Festival, in esecuzione a Venezia, Padova e Bolzano) la creatività di un artista eclettico e preparato che ci consegna la chiave di uno scrigno assai prezioso. E se di norma siamo abituati ad ascoltare un Donaggio al seppur spiritualmente servizio di una logica (di mercato nella stagione pop e di commissione nella stagione filmica), questa volta la luce dei riflettori diventa una lanterna e ci guida più in profondità, rivelandoci una quotidianità nella quale ispirazione e tecnica esecutivo-compositiva diventano gli ingredienti esterni e percepibili coi quali si dipana una sorta di piacevole indagine raffinata quanto intensa e autorevole. A dominare l'interezza del progetto c'è sicuramente il file rouge di una mente e di un cuore che fanno tesoro di tutte le esperienze musicali e le esprimono attraverso una riproposta evoluta che tuttavia non tradisce gli elementi cari all'ispirazione incunabola. Il presupposto “visivo” per esempio è una costante anche laddove le composizioni non sono associate a immagini specifiche ma sono comunque in grado, in maniera anche pienamente soggettiva, di evocarle, in parte per una simbiosi ormai imperitura con l'ottava arte che ha maturato un linguaggio nuovo e sublime e che codifica la poetica del musicista veneziano, sempre pronto a nuove sfide e nuove idee senza tuttavia rinunciare alla sua frequentazione storica, sorta di compendio di un'euristica affettiva, ma anche certo marchio di fabbrica che non tradisce una onesta e autentica elargizione espressiva.
A dominare le tracce di questo prodotto artistico è anche un certo minimalismo, una riduzione del materiale che si condensa in una inquieta serialità livellare in cui l'incontro con la compiutezza e la distesa percezione di una tematizzazione è costantemente evitata o comunque promessa e sfuggita in una energica e graffiante rielaborazione di situazioni evocative e di stentoree prestazioni tecnico-organologiche.
Si ascolti la evitata stabilità di “Fotogrammi 55 A” che, come un grande affresco noir, scaturisce dalla proposta iniziale dell’oboe, tra imitazioni e progressioni per gradi congiunti e pennellate modulari e alternanza tra ripieno e momenti di solistico svuotamento che sembrerebbero voler lasciar spazio nella mente dell’ascoltatore a una figurazione interiore, tendenzialmente indirizzata verso un’urgente irrequietudine di fondo dominata dal nervosismo delle ritmiche cellistiche e dal sibilo spiraleggiante degli acuti, ancor più evidente in “Eccesso”, in cui il violino solista si staglia su una base a terrazze con modulazioni a politonalità distanti e destabilizzanti nell’etica di un discorso percettivo ma funzionale e servizievole alla logica compilativa. In “Lettera” la tematizzazione del violoncello solista sembrerebbe guadagnare qualche misura di proposta, pur tuttavia sempre sottesa agli ostinati e ai trilli violinistici, che scandiscono un tempo etereo in cui, sospesa nei palleggi acuti, tenta di farsi strada in estrema rarefazione la tematizzazione di “Io che non vivo”, bella e lamentosa, ma volutamente contenuta e stemperata e proposta invece in versione mandolino e archi in un brano successivo, nel quale quel touch di nebbioso mistero e stenografica inquietudine che aleggia in tutte le partiture si esprime con un’armonizzazione intrisa di sentimentalismo oscuro e minacciato  dalla dinamica reiterata delle quarte in crome che conducono la partitura verso un crescendo intensivo e in cliffhanging. “Controcampo” affida alla tromba solista l’esposizione di un dialogo serrato e claustrofobico con gli archi in cui la traccia minatoria e gli echi di “Io che non vivo” sembrano fugacemente tornare con citazioni di brevi salti, mentre la fase scoperta concede un incaptabile sfogo seriale alla tromba, prima del ritorno alla fase modulare in cui partecipano le corde e un finale ancora volutamente intensivo. Situazionale, frammentata ed evocativa anche l’anima di “Prayer for Paris (a Valeria)”, in cui tornano le insidie acute degli archi, dei tocchi di celesta quasi di reminiscenze a profusione cine-ematica, in un episodio di attesa e di incombente insidia che non riesce a chiudere il conto con la tensione e che si estremizza in espressione timbrica e perizia esecutiva (che ben traduce altresì la conoscenza delle possibilità tecniche dello strumento messe in mostra dal compositore), mentre i trenodici colpi di timpani si insinuano nel “requiem” dedicato alla ragazza veneziana vittima della strage al Bataclan. A completare l’album, una suite che ci ripropone i temi tratti da tre film storici di Brian De Palma musicati da Donaggio, Carrie (1976), Dressed to Kill (1980) e Body Double (1985) e  infine due outsider di altri compositori premi Oscar italiani: i celeberrimi “Gabriel's Oboe” di Ennio Morricone da Mission e il tema de La vita è bella di Nicola Piovani. Il CD è stato presentato al pubblico sabato 15 ottobre presso il Teatro Goldoni di Venezia con un concerto dei Solisti Veneti intitolato “Omaggio a Pino Donaggio” (per il quale rimando al relativo reportage curato da Isabella Turso per questo sito).

Stampa