Independence Day: Resurgence

cover independence day resurgenceHarald Kloser & Thomas Wander
Independence Day: rigenerazione (Independence Day: Resurgence, 2016)
Sony Classical SK 532931
25 Brani – Durata: 51’14’’

Nel 1996 gli alieni furono sconfitti grazie a un banale virus informatico. Sono passati vent’anni e, come negli incubi più oscuri, eccoli di nuovi arrivare su una nave spaziale ancora più grande che, dopo aver annientato la nostre fragili difese, atterra sull’Oceano Atlantico. Stavolta non ci sono navette che oscurano il cielo delle grandi metropoli del mondo per poi ridurle in cenere, ma solo una gigantesca astronave che comincia a trivellare il nostro pianeta per estrarne il nucleo. Independence Day: Resurgence appare tanto visivamente catastrofista (firma inconfondibile di Roland Emmerich, che proprio grazie al primo film lanciò la sua carriera di regista apocalittico) quanto narrativamente caotico.

O meglio. Gli autori di questo sequel ultra costoso della Fox si sono spremuti il cervello per produrre non solo una trama passabile, con qualche colpo di scena ben assestato e che prelude al terzo capitolo della saga (necessario per non lasciare gli eventi a metà), ma addirittura una storia dei fatti accaduti negli ultimi vent’anni, per i quali è stato creato un sito internet apposito, The War of 1996, che racconta appunto le tappe principali seguite alla vittoria epica e inaspettata di vent’anni fa. Nuove tecnologie militari copiate direttamente da quelle aliene (compreso il famoso laser), straordinari cambiamenti geopolitici (l’umanità finalmente in pace e unita per fronteggiare un pericolo incombente), e molto altro. Anche se poi la falsariga è quella di un film che vorrebbe ammiccare allo stereotipato patriottismo panstatunitense degli anni ’90 ma che risulta alla fine freddo e povero di sentimento. Alla fine si rimane con un pungo di mosche in mano, perché la storia si dipana in maniera grossolana e zoppicante. I veri protagonisti del film sono gli interminabili effetti speciali di città che lievitano, attratte dalla forza di gravità della nave spaziale aliena, e che poi precipitano su se stesse, tipo Dubai sopra Londra. Cose del resto già viste negli altri lavori di Emmerich. Se il film nel complesso delude le attese e tradisce lo spirito goliardico, scanzonato, patriottico e ironico della prima pellicola, tanto da apparire semplicemente un pretesto per grandi effetti speciali e dialoghetti inutili, la nota positiva è che la colonna sonora si salva in parte da questo trend e risulta appagante sia in sala cinematografica sia e soprattutto a un ascolto assoluto. Emmerich ha chiamato a sé ancora una volta Harald Kloser e Thomas Wander (entrambi co-autori di The Day after Tomorrow, 10.000 BC e 2012), optando per una OST alla X-files ma con tanta adrenalina, nella quale sono stati inseriti, per la gioia dei nostalgici, alcuni temi del “vecchio” David Arnold (che nel ’96 sfoderò una partitura sognante e visionaria come non mai). Quello del ticket Kloser-Wander è un action score allo stato puro, con una vena sinfonica marcata. Il main theme di sapore pompieristico (“Great Speech”, “Fear”) ben si integra con i temi “riciclati” di David Arnold. Le commistioni con l’elettronica inoltre sono azzeccate. La traccia d’apertura, che accompagna la scena nei meandri di un universo devastato dalla perfida razza aliena che a stento abbiamo respinto, è il momento di maggior cupezza ed ecletticismo musicale (“Traveling Through Space”). Anche l’ambientazione africana, con il vistoso contrasto tra la savana e la nave atterrata nel ’96, ha ispirato una musica potente e allucinata, con gli accordi scolpiti degli ottoni e i pad elettronici sullo sfondo (“How Did They Get the Lights On?”, “Inside the African Ship”). Atmosfere da thriller psicologico suggerite anche dai nefasti residui alieni lasciati nelle menti di alcuni protagonisti. Il divertimento arriva con i brani adrenalinici: “The Friendly Spaceship”, “What Goes Up”, “Flying Inside”, “Whitmore’s Choice” e “Bus Chase”. Immancabili per gli appassionati di action score. Titoli di coda invece all’insegna dell’amarcord. L’intramontabile finale di David Arnold, gioioso e innocente, stona un po’ con l’umore complessivo dell’album e anche del film, andrebbe preso più come una bonus track (anche se rimane, ça va sans dire, un pezzo veramente bello di musica per film).

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