The BFG

cover bfgJohn Williams
Il GGG – Il grande gigante gentile (The BFG, 2016)
Walt Disney Records D002236202
19 brani - durata: 64’37”

Dopo la pausa “forzata” de Il ponte delle spie (Bridge of Spies, 2015), la coppia regista-compositore più celebre e longeva della storia del cinema si riunisce e torna a collaborare per la ventottesima volta: Steven Spielberg e John Williams di nuovo insieme dunque, stavolta per un film tratto da una fiaba dello scrittore inglese Roald Dahl, forse l’autore anglosassone per l’infanzia par excellence e da cui il cinema ha più volte attinto in maniera più o meno esplicita (tra i suoi libri più celebri trasformati in opere per il grande schermo ricordiamo La fabbrica di cioccolato, James e la pesca gigante e Matilda).

Il GGG è tratto dal libro omonimo di Dahl (pubblicato nel 1982) che racconta l’improbabile e tenera amicizia tra una bimba di nome Sophie e un gigante buono (il GGG, appunto) il quale, a differenza degli altri esseri appartenenti alla sua specie, non ama cacciare e divorare gli esseri umani, ma preferisce esserne amico e regalargli letteralmente i sogni. Sophie e il GGG vivono insieme un’avventura che li porterà a escogitare un piano per sconfiggere i giganti cattivi, arrivando addirittura a coinvolgere la Regina d’Inghilterra. La prosa di Dahl è come sempre ricca di affascinanti giochi di parole, di un tono ironico e divertito squisitamente british, ma al contempo capace di esplorare i lati oscuri celati tra le pieghe dell’infanzia. Non stupisce che Spielberg ne sia rimasto affascinato e che da tempo progettasse il film insieme alla sceneggiatrice di E.T. l’extraterrestre, Melissa Mathison (tristemente scomparsa poco dopo la fine delle riprese del film). Se il copione alleggerisce buona parte dei risvolti cupi mettendo l’accento sugli aspetti più bizzarri e stravaganti del racconto, la regia di Spielberg ci riporta (perlomeno in parte) ai toni nostalgici e alle atmosfere fatate del suo cinema per l’infanzia, regalando allo spettatore uno spettacolo visivo raffinato e tecnologicamente prodigioso: il gigante impersonato con grazia e bravura da Mark Rylance (premio Oscar per Il ponte delle spie) prende vita grazie alle più avanzate tecniche di performance capture brevettate dalla WETA Digital, mescolando animazione e interpretazione reale in modo stupefacente, integrandosi alla perfezione con la piccola Sophie (interpretata dalla bravissima debuttante Ruby Barnhill). Ma nonostante tutta questa tecnologia, Spielberg sceglie comunque di mettere in scena – con spregiudicata ed immarcescibile devozione nei riguardi del potere immaginifico del cinema più classico – un film che sembra arrivare da un’altra epoca, in cui le inquadrature si trasformano in tableux vivants dai colori variopinti che non sarebbero affatto dispiaciuti al duo di registi inglesi Micheal Powell & Emeric Pressburger. E dunque non stupisce, ahinoi, che – nonostante il sigillo aggiuntivo del marchio Disney, che ha co-prodotto il film con la Amblin di Spielberg – il pubblico americano abbia decretato il sostanziale insuccesso di questa operazione al contempo retrò e d’avanguardia. Nell’epoca dei cartoon tridimensionali odierni contraddistinti da ritmo rutilante, citazionismo continuo e assalto ai sensi dei bambini, la fiaba semplice di Spielberg si trova a pagare un dazio forse sin troppo ingeneroso: The BFG è ad oggi uno dei flop di botteghino più sonori della carriera di Spielberg. Qualche critico particolarmente severo ha paragonato Spielberg ad un nonno senza più vera capacità affabulatoria che legge le fiabe della buonanotte ai suoi nipotini. Sebbene non sia certamente un film immortale e universale come E.T., The BFG è comunque un formidabile intrattenimento per famiglie, nel senso più nobile del termine.

E’ da interpretare allo stesso modo la prova che l’inseparabile John Williams ha ancora una volta regalato al suo partner artistico prediletto da più di quarant’anni. Come dicevamo in apertura, regista e compositore hanno interrotto la collaborazione l’anno scorso per Il ponte delle spie (musicato con impegno ma senza particolare brillantezza da Thomas Newman) per cause di forza maggiore: un momentaneo problema di salute e soprattutto l’impegnativa stesura della colonna sonora dell’ultimo capitolo della saga di Star Wars, Il risveglio della Forza, hanno costretto Williams a rinunciare alla composizione della partitura di Bridge of Spies. E’ dunque con una gioia particolare che si attendeva questa nuova collaborazione Spielberg/Williams, i quali non sembrano dare alcun segno di affaticamento o perdita d’intesa. Il compositore ottantaquattrenne infatti dimostra ancora una volta la speciale sintonia con il regista e cattura l’essenza del film e il suo spirito profondo, trasformandosi nell’anima più sincera del racconto. Come ha dichiarato in un’intervista a proposito del film, Williams ha paragonato The BFG ad una piccola “opera per bambini” o a un pezzo di teatro musicale più che a un tradizionale fantasy cinematografico (“Potrebbe esserci un sipario rosso a circondare le inquadrature”, ha detto Williams), come a rimarcare una certa qualità astratta che il film emana. Attento come sempre agli aspetti ritmici e dinamici, il compositore coglie nei movimenti e nelle “danze” del gigante interpretato da Rylance (paragonato da Williams a una sorta di Fred Astaire) il perno attorno cui far ruotare gran parte delle idee musicali con cui costruisce la sua ricca e coloratissima partitura, che alterna toni da balletto a momenti quasi “musical” passando per la forma della fiaba musicale alla Pierino e il lupo, accompagnando puntualmente la narrazione e i suoi personaggi. Va detto che, stilisticamente parlando, non ci troviamo di fronte ad un Williams inedito o particolarmente originale: echi e suggestioni (quando non vere e proprie citazioni) dalle colonne sonore del “cinema dell’infanzia” come Hook, Home Alone, Le avventure di Tintin e soprattutto dalle tre partiture per Harry Potter confluiscono in questa colonna sonora sino ad abbondare, ma come vedremo non si tratta affatto di un rifugio in soluzioni familiari o replica di formule collaudate. Come Spielberg, anche Williams sembra non voler affatto rinunciare a tutto il bagaglio (culturale prima che musicale) di tradizioni, stilemi e metodi della scuola classica hollywoodiana, ma anzi cercando sempre di esplorarne sfumature e possibilità. E oggi possiamo tranquillamente affermare senza timore di essere smentiti che Williams ha trovato di tutto ciò la sintesi più raffinata ed eccellente, come testimonia anche questa nuova partitura.

The BFG si apre con una sorta di dichiarazione estetica d’intenti (“Overture”): su una lunga scala discendente ed ascendente di arpa e celesta, ecco entrare in scena un flauto – strumento principe di tutta la composizione – che disegna prima uno staccato cromatico quasi moderno per poi proseguire con una serie di svolazzi virtuosistici, lasciando il passo a corni e violoncelli che intonano il melodioso tema principale, ripreso infine da tutti gli archi; dopo una lunga figura ascendente ritorna nuovamente il flauto che chiude la pagina con un’altra serie di arditi passaggi. In questa miniatura di poco più di un minuto c’è già in nuce lo spirito di tutta la partitura, contraddistinta da una scrittura grandemente virtuosistica (in particolare per legni ed archi), una forte identità melodica e tonale ma traboccante cromatismo e da un’orchestrazione brillante e molto “russa”, come nel caso delle colonne sonore citate poco fa. Williams stabilisce immediatamente il tono del discorso musicale e ci prepara, come un vero compositore d’opera, a ciò che seguirà. “The Witching Hour” è la pagina che accompagna la sequenza iniziale vera e propria del film, ossia il rapimento della piccola Sophie da parte del GGG: i colori si fanno scuri, le atmosfere incerte, gli archi sono spesso in tremolo, dominano legni come controfagotto e clarinetto basso, con un pianoforte che disegna melodie interrogative. Ma è una cupezza molto fiabesca: Williams sceglie la prospettiva del protagonista, in questo caso una bambina, suggerendo la paura del buio e di ciò che la notte nasconde dal punto di vista della piccola Sophie. Con la maestria del narratore di fiabe, Williams ci immerge in una atmosfera fatata che prosegue con un magnifico episodio (“To the Giant Country”) in cui viene presentato un altro bellissimo tema, ossia un valzer di sapore prokofieviano che accompagna il volo del GGG e Sophie verso la Terra dei Giganti. La prospettiva fanciullesca prosegue nell’estratto seguente (“The Dream Country”), una lunghissima pagina di 10 minuti che prende quasi la forma di un piccolo poema sinfonico di luminosa bellezza per accompagnare il sense of wonder di Sophie quando giunge nella Terra dei Sogni. Ed è nuovamente il flauto a tornare protagonista (lode alla bravissima solista Heather Clarke, ma tutta la sezione è da applausi): gli svolazzi accompagnano i buffi tentativi del GGG di catturare i sogni – qui nella veste di lucciole impazzite – con una rete da pesca, ed è qui che Williams mette tutta la sua sapienza di compositore quasi ballettistico, accompagnando i movimenti e le coreografie del GGG con una serie di passaggi di incredibile virtuosismo quasi mickeymousing per tutta la sezione dei flauti. Come ha notato Emilio Audissino nel suo libro John Williams’s Film Music, per Spielberg e Williams il mickeymousing è tutt’altro che una soluzione di comodo, ma una vera e propria cifra stilistica quasi irrinunciabile. Tutta la partitura, da questo momento in poi, diventa una sorta di Sinfonia Concertante per flauto e orchestra, tanto lo strumento è protagonista e al centro dell’attenzione di gran parte delle pagine, fino addirittura a diventare oggetto di un vero e proprio Studio (“Dream Jars”, per 4 flauti) che meriterebbe di entrare di diritto nel repertorio dello strumento. “Sophie’s Nightmare” introduce un altro soggetto tematico, ovvero quello dedicato agli Incubi, un minaccioso inciso per ottoni in sordina accompagnati da un vibrante ostinato degli archi: un altro formidabile esempio della capacità di Williams di entrare nella prospettiva del fanciullo e di restituirla attraverso la musica con pochi ma efficacissimi tocchi. “Building Trust” è invece un momento quasi commovente dove possiamo ammirare la maestria del compositore nel plasmare le sue creazioni tematiche a seconda delle necessità; qui il tema di Sophie viene presentato in una veste affettuosa nel momento in cui si comincia a stabilire un rapporto di amicizia tra lei e il gigante buono. “Fleshlumpeater” è un’ennesima dichiarazione d’amore alla musica di Sergej Prokofiev (il gigante cattivo Inghiotticicciaviva è accompagnato da un tema borbottante per tuba che pare figlio di quello di Jabba the Hutt, nonché del tema dei ladri di Home Alone), mentre in “Frolic” Williams si lancia in una bellissima parafrasi offenbachiana (un galop di forsennata velocità) che richiama nuovamente l’anima da teatro musicale della partitura. Sia “Blowing Dreams” che “Snorting and Sniffing” presentano musica solo apparentemente “cartoonesca” e di raccordo, ma sono un bellissimo esempio dell’abilità di Williams sia nel trattamento pienamente sinfonico dell’orchestra che, come in questo caso, in quello cameristico delle sezioni o dei singoli strumenti (quasi tutte le prime parti dei legni hanno un momento in cui risplendere, messo in risalto dalla splendida ripresa sonora del fido Shawn Murphy). “Sophie’s Future” è una pagina di tenue lirismo in cui Williams regala un’altra lettura affabile del tema di Sophie, a cui si aggiunge un secondo soggetto tematico molto “britannico” ed elgariano, allacciandosi idealmente alla direzione della storia: Sophie e il GGG giungeranno infatti a Buckingham Palace per incontrare la Regina Elisabetta II e convincerla a unirsi a loro per sconfiggere i giganti cattivi. In “Meeting the Queen” Williams presenta infatti un bellissimo e nobile largo affidato a un corale di ottoni in cui riversare il suo mai nascosto amore per la musica inglese. “Giants Netted” accompagna la resa dei conti finale con una pagina movimentata e di grande divertimento per tutta l’orchestra (non dissimile da alcuni momenti di Tintin), dominata dal tema di Sophie e da quello dei giganti cattivi. Williams conserva comunque un’ultima gemma per le battute conclusive del film (“Finale”), come ormai sempre più spesso accade, dove il tema di Sophie è presentato al pianoforte solo (suonato dalla prediletta Gloria Cheng) e trasformandosi in una sorta di commovente ninnananna: a differenza di E.T., stavolta Spielberg, Mathison e Williams scelgono di chiudere il sipario sull’insolita storia di amicizia tra un fanciullo e un essere “speciale” con toni molto tenui e sussurrati, ma altrettanto toccante. E Williams si congeda con una delle sue proverbiali e bellissime Suite che accompagnano i titoli di coda (“Sophie and the BFG”), una meravigliosa ed impeccabile sintesi sinfonica di tutte le idee tematiche principali sentite nel corso della partitura e, nonostante l’insuccesso del film, destinata comunque a entrare nel suo repertorio concertistico abituale.

The BFG non entrerà probabilmente nella top ten dell’accoppiata Spielberg/Williams sia da parte dei critici e tantomeno dai loro fan, ma in una carriera costellata da (numerosi) capolavori e opere memorabili, contrassegnata da un eclettismo e da una versatilità che non hanno precedenti in tutta la storia del cinema, diventa superfluo fare graduatorie e stilare classifiche. The BFG va visto, ascoltato e metabolizzato come un ulteriore stimolante tassello di questa speciale collaborazione artistica tra regista e compositore, nonché la prosecuzione di una vera e propria poetica autoriale che li accomuna, ossia quella dell’infanzia come luogo ideale dello spirito prima che come fase della vita. Come dice lo stesso Spielberg nelle note di copertina del CD, sembra quasi che il suo amico Williams stia segretamente invecchiando al contrario, dimostrando lo spirito e l’entusiasmo di un ragazzino in ogni nota che mette su pentagramma. E noi non possiamo che sottoscrivere questo bellissimo pensiero.

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