Orphans & Kingdoms

cover orphans and kingdomsGiovanni Rotondo
Orphans & Kingdoms (Inedito, 2014)
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12 brani – Durata: 32’00”

Il giovane talentuoso compositore campano Giovanni Rotondo (la fiction Il giudice meschino e il docufilm Ilaria Alpi: L’ultimo viaggio) scrive un impianto sonoro angoscioso e disturbante per questo dramma neozelandese, ancora inedito da noi, Orphans & Kingdoms, diretto da Paolo Rotondo, qui al suo debutto nel lungometraggio. Una storia adolescenziale dalle tinte oscure, un thriller dell’anima che Giovanni Rotondo commenta in maniera raggelante, con suoni sintetici freddi e perturbanti, con uso di vocalizzi fanciulleschi stranianti e una chitarra acustica che suona il leitmotiv principale che tende a rasserenare la vicenda, ma solo parzialmente e quasi timidamente.

Dall’iniziale brano “Alone” si dipana l’ondeggiante tema portante per chitarra acustica su tappeto di suoni penetranti come una lama tagliente, al quale si aggiunge il flauto shakuhachi e una candida voce di fanciulla che canta una nenia straziante. “Scotty” è una traccia atmosferica per shakuhachi iniziale e piano solo che enuncia il tema in modalità malinconicamente agghiacciante su tappeto sintetico continuo, chitarra acustica e mandolino, con la presenza dell’erhu (strumento a corda cinese). Ritmi hard rock e urban dance in “Bad Kids” che a tratti ricordano melodie horror alla Claudio Simonetti (vedi Phenomena o Opera). “Sweet” gioca tenuamente sulle corde della chitarra acustica e del tema dolcemente raffigurato nel suo spirito fanciullesco, con il controcanto vocale morbido ed effetti sonori di onde che si infrangono sulla sabbia. Ritorna il piano solista (suonato dal compositore), sospeso e trattenuto in “Worries” che cerca di liberarsi dalle trame contorte della storia e librarsi sugli archi sottesi e tremebondi che lo insidiano. Ancora il piano la fa da padrone in “Father & Daughter”, contrapposto alla chitarra che girovagante sembra quasi frenata, anche se dopo i due strumenti, su tappeto d’archi, giocano uno con l’altro per esporre il tema mutato nel suo aspetto finora udito. “Dreams” rabbuia ulteriormente le pieghe della trama con archi sospesi su suoni sintetici infastidenti che crescono sino ad un livello rumoristico terroristico, un incubo sonoro da antro della tortura. Perfino i vocalizzi angelici che si palesano assumono tratti demoniaci da pura scary music: il brano più lungo della OST ed il più sconvolgente che si conclude con arpa e una simil celesta che espongono il tema in controcanto! “The House” tratteggia ancora di più, se ve ne fosse ulteriormente bisogno, quanto questo dramma adolescenziale si tinga di rosso e sfoci nell’incubo ad occhi aperti, con sintetismi e rumori inquietanti e alienanti. “Drugs” si affida alla chitarra che col piano spadroneggia nella score, per delineare un paesaggio ambient desolante e desolato colmo di mistero e rabbia, con il suo incedere violento tra vocalizzi, piano e ritmi bassi e lontani. “Danger” è un pezzo tensivo e martellante mentre “Goodnight” su un accordo tirato dell’erhu e continuo della chitarra acustica che suona il tema si dissolve nel finale di “Kingdoms & Orphans”, il quale chiude l’album con una versione del leitmotiv per voce fanciullesca elegiaca, erhu rabbrividito, flauto shakuhachi enfatico e synth angoscianti per riassumere tutti gli elementi sonori della score. Una partitura che entra sottopelle e non ti lascia più respirare, al quale è difficile dire di no anche dopo svariati ascolti, che ti lascia stupefatti per la sua raggelante identità scomodante e fascinosa al contempo.

 

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