Hollywood in Vienna 2013 - The World of James Horner

cover bluray hollywood vienna hornerHollywood in Vienna 2013 - The World of James Horner (2016)
David Newman cond. the Orf Vienna Radio-Symphony Orchestra & Neue Wiener Stimme
Blu-ray Disc - Varèse Sarabande

Esattamente un anno fa, il 22 giugno 2015, il monomotore turboelica Embraer EMB 312 Tucano pilotato da James Horner si schiantava in una zona della Foresta Nazionale di Los Padres, a nordovest di Los Angeles, in un incidente mai del tutto chiarito (Horner era un pilota esperto, e lungo si è sussurrata l’ipotesi di un gesto volontario, forse originato da motivi di salute). Scompariva così tragicamente, a 61 anni, uno dei massimi compositori del cinema contemporaneo, figura cardine nella generazione nata negli anni ’50, vincitore di due Oscar (per canzone e score di Titanic), tre Golden Globe più svariati altri riconoscimenti, autore di quasi 160 partiture per il grande schermo (l’ultima delle quali per il remake de I magnifici sette di Antoine Fuqua e completata poco prima della scomparsa) e svariata musica concertistica.

Due anni prima, il 3 ottobre 2013, si era svolto a Vienna un avvenimento che il disegno del destino ci avrebbe dunque consegnato come un omaggio postumo, carico di un’emozione difficilmente sostenibile, alla memoria del compositore: nella “Großer Saal” da quasi 2000 posti situata nella prestigiosa Konzerthaus della capitale austriaca (edificio costruito un secolo fa con lo scopo di accogliere un pubblico più ampio di quello del tradizionale Musikverein dove si svolgono i concerti di Capodanno) si è tenuto un Gala di musica per film intitolato “Hollywood in Vienna: The World of James Horner”, prodotto da Sandra Tomek, protagonista l’Orchestra Sinfonica e il Coro Neue Wiener Stimme della Radio di Vienna sotto la direzione di David Newman in un ampio programma dedicato nella prima parte a pagine tratte da partiture legate al genere fantascientifico-avventuroso, e nella seconda interamente al compositore di Titanic. L’evento, già di per sé eccezionale nell’accogliere una crestomazia della musica hollywoodiana in quella che da almeno tre secoli è capitale della musica europea, è divenuto storico dopo la morte di Horner, e come tale è ora immortalato da una straordinaria edizione in Blu-ray con la quale la Varèse Sarabande segna il proprio debutto in questo supporto: all’interno del quale si possono trovare il concerto integrale in alta definizione e audio DTS 5.1 surround, un booklet di 32 pagine a colori con reportage fotografico dell’evento, nonché il filmato dell’incontro di oltre un’ora tenuto con Horner da Robert Townson, produttore del Blu-ray e storico produttore esecutivo della Varèse.
Ora, quando diciamo “Hollywood in Vienna” il pensiero va direttamente a quel piccolo grande esercito di maestri che nella prima metà del secolo scorso migrarono dall’Europa verso gli Stati Uniti per sfuggire al mostro nazista, e qui diedero vita alla “scuola” di musica cinematografica più fulgida e influente nella storia di questa disciplina: l’austriaco Max Steiner, il tedesco Franz Waxman, il polacco Bronislau Kaper, il moravo Erich Wolfgang Korngold costituirono – con i loro colleghi americani – la linfa vitale di un linguaggio che avrebbe traghettato l’immenso patrimonio culturale della grande musica europea tra Otto e Novecento da Vienna e Berlino (in quegli stessi anni scosse dai fermenti dell’avanguardia) ai set e alle platee americane, formando una koinè condivisa e dominante che si sarebbe poi estesa oltreoceano quasi restituendo, simbolicamente, anche a molta musica per film europea il lascito delle proprie stesse radici.
In questo immaginario piroscafo Vienna-Hollywood non s’imbarcarono ovviamente solo compositori ma anche registi, sceneggiatori, attori, tecnici: e tra questi uno scenografo che era nato il 24 luglio 1910 a Holitz in Boemia (oggi Repubblica Ceca), si era laureato in architettura proprio a Vienna e aveva mosso i primi passi come attore di teatro nella compagnia del leggendario Max Reinhardt, cui si sarebbe definitivamente aggregato nel ’36 dopo che anche Reinhardt aveva raggiunto gli Stati Uniti. Il suo nome era Heinrich Horner, ed era il futuro padre di James Horner.
Negli States Heinrich, divenuto nel frattempo Harry, è diventato uno degli scenografi più talentuosi e apprezzati di Hollywood, dove ha vinto due Oscar (per L’ereditiera, nel ’50, e Lo spaccone, nel ’62), ma anche sui palcoscenici di Broadway dove ha curato numerose produzioni, caratterizzandosi per lo scrupolo delle sue ricerche preparatorie sui vari ambienti da ricostruire e per il realismo delle messe in scena. Scomparso nel 1994, Horner sr. non ha fatto in tempo a vedere il suo figlio più celebre (un altro figlio, Christopher, è anch’egli scenografo), conquistare fama planetaria con il doppio Oscar di Titanic nel ’97, ma ha senz’altro gioito per la sua irresistibile ascesa nell’Olimpo dei compositori hollywoodiani più richiesti e talentuosi. E il tributo che Vienna ha dedicato al musicista nel 2013 è una specie di abbraccio con cui la città ha voluto riaccogliere un proprio erede, sottolineandone anche con e nella sua musica i legami fortissimi con quella tradizione e quel patrimonio; e qui in questo doppio legame (familiare e artistico) con Vienna, risiede, come spiegherà Sandra Tomek, la motivazione più profonda del Max Steiner Award che alla fine del concerto viene consegnato a Horner dalle mani della vicesindaco Renate Brauner.
Un doppio legame esplicito anche nel programma del concerto, sin dall’incipit che celebra quasi idealmente la saldatura fra i due mondi e i due continenti: sullo sfondo degli effetti di luce e del caleidoscopio di immagini ispirate ai vari film, la “Hollywood in Vienna Fanfare” composta da Bruce Broughton rielabora infatti, con un lussureggiante contrappunto e l’arricchimento cromatico di una luminosa sezione di ottoni, il tema steineriano di Via col vento, che tornerà invece proprio in chiusura ma nella sua versione originale. Steiner è infatti il passeggero forse più celebre e prolifico di quel famoso “piroscafo” immaginario, ma la scaletta da Newman (che di tutti i rampolli della dynasty è quello più dotato dal punto di vista direttoriale) comprende anche opzioni meno scontate e sorprendenti. Ad esempio il Preludio originale composto per Metropolis (1927) da Gottfried Huppertz, storico compositore tedesco del cinema muto espressionista: una pagina aggressiva e rutilante, chiaramente tardostraussiana, riportata recentemente alla luce insieme al resto della partitura dall’esecuzione di Frank Strobel per l’etichetta Capriccio, e sulla quale nei decenni era calato l’oblio specie dopo la nuova versione musicale dell’84 a firma Giorgio Moroder; oppure addirittura “Space mountain” del compositore americano Steve Bramson, che è il soundtrack dell’attrazione “Dalla Terra alla Luna” situata nel parco Disneyland di Parigi, ispirato direttamente a tante scores cinematografiche “stellari”. E proprio per passare direttamente alle fonti, ecco il travolgente “Star Trek medley”, un’antologia che comprende i temi di Courage, Goldsmith, Rosenman e Giacchino per i vari capitoli, fusi insieme in una orchestrazione cangiante e tornita, cui la direzione generosa ma precisa e implacabilmente efficace di Newman fornisce un supplemento di colori squillanti. In netto contrasto ecco una pagina di un compositore che mai ci si aspetterebbe di ascoltare in un’occasione simile: Michael Nyman, l’inglese alfiere di quello che potremmo chiamare un “minimalismo dal volto umano”, qui rappresentato da una lettura vibratile e intensissima del tema da Gattaca, film non caso rappresentativo di una fantascienza “intellettuale” antitetica a quella spielberghiana o lucasiana. Nel frattempo le telecamere hanno iniziato ad inquadrare Horner, seduto a metà sala, magro, sciarpa nera intorno al collo, un sorriso mite e malinconico sul volto, che oggi ci appare ancor più indecifrabile e/o presago; ma ecco farsi avanti la soprano rumena Ildikó Raimondi con una struggente versione vocalizzata di “Where dreams are made” (originariamente “For always”, su testo e per la voce di Lara Fabian, ma qui innalzata di un tono) da A.I. Intelligenza artificiale, una delle più penetranti e irresistibili idee melodiche di John Williams; ed è qui che il concerto inizia a prendere una piega liederistica, intimista, accentuata sapientemente dal fraseggio denso, meditato che Newman ottiene dalla magnifica compagine viennese, e che porterà presto le emozioni al livello di guardia. Prima però c’è tempo per un’esibizione tutta muscolare dell’orchestra grazie allo score di David Arnold per Independence day (a giorni è atteso il sequel vent’anni dopo, con musiche – pare – indifendibili di Thomas Wankler e Harald Kloser), rivelando dietro la timbrica sgargiante e l’incalzare ritmico una fitta ragnatela contrappuntistica.
La nuova, oceanica fanfara Universal scritta da Horner apre l’omaggio, subito seguito da una strepitosa rilettura della suite da L’ira di Khan, suo contributo alla saga di Star Trek; e vien fatto di pensare come la visione del “fantastico” che aveva questo compositore era completamente diversa sia da quella, ottimistica e trasparente, di Williams sia da quella, inquietante e conflittuale, di Goldsmith. Qui davvero si assapora il “classicismo”, tutto viennese appunto, della sua scrittura, costellata di rimandi e riferimenti colti, a cominciare per dirne una dal ricorrere di quel “gruppetto” di note, spesso affidate agli ottoni, che – insieme alle aspre, urticanti dissonanze pianistiche - è un po’ il logo di Horner. Lasciati gli spazi e l’Enterprise si torna sulla terra, e alla Storia, con Braveheart, che nella produzione horneriana a nostro parere è un capolavoro assoluto forse superiore, per concentrazione espressiva e spessore culturale, allo stesso Titanic. L’integrazione della cornamusa nell’orchestrazione idilliaca, luminosa e vibrante aggiunge un tocco tutt’altro che ornamentale o folkloristico, ma intimo e drammatico; ed ecco che in sala il compositore inizia a non poter più trattenere l’emozione, e il suo sorriso già fragile, fanciullesco, è incrinato dalla commozione e dalle lacrime. L’atmosfera si rianima con lo strepitoso medley che Newman ricava, con piglio energico e ricchezza di colori, da un grappolo di partiture come Willow, A Beautiful Mind, Apollo 13, Aliens, The Mask of Zorro e Rocketeer: film e scores che non si saprebbero immaginare più diverse fra loro eppure coese da quell’empito visionario, da quell’aspirazione quasi metafisica che anima tutta la poetica di questo compositore: non senza ricorrere, quando serva (Aliens), a squarci di tensione e angoscia orrorifiche. È poi la volta della grande cantante nera Deborah Cox che duetta con Jeremy Schonfeld (“crooner” e pianista) in “Somewhere out there” da Fievel sbarca in America, ma soprattutto di una funambolica suite da Avatar, dove l’orchestra viennese, sostenuta dal coro femminile, si scatena soprattutto nel settore percussioni in un sinfonismo tribale e primitivistico.
Vento di passioni rappresenta forse uno dei più limpidi esempi della grandezza horneriana ancorché applicata ad un polpettone epico-sentimentale: una partitura ariosa, quasi barryana, fluente ma composta, dove temi e melodie scaturiscono da una visione olimpica, solenne dell’insieme. Ed è qui che qualcosa sembra spezzarsi nell’animo del musicista, che in platea non riesce più a trattenere i singhiozzi; forse non è un caso che la scaletta del concerto preveda come ultima pagina una suite da Titanic, con il nuovo contributo di Ildikó Raimondi, né casuale appare la lettura di Newman, che è sontuosamente plastica nei momenti action ma altrove si raccoglie in un lirismo sottomesso, sussurrato, sino a concludersi in una incredibile coda in pianissimo.
A questo punto segue la cerimonia in onore del compositore, con l’organizzatrice Sandra Tomek che ne ricorda le motivazioni, in un omaggio al padre di Horner, Harry; la consegna del Max Steiner Award da parte del vicesindaco viennese è accompagnata da una trionfale standing ovation dinanzi alla quale il compositore pare quasi incredulo, smarrito. Tenta un iniziale ringraziamento in un tedesco stentato, poi si scusa e prosegue nella propria lingua, commosso, condensando tutti i propri sentimenti in un “thank you” accorato.
Il concerto riserva ancora due bis, con “If we hold together” da Alla ricerca della valle incantata, iniziato tra le file del pubblico dall’affascinante Deborah Cox e poi proseguito in un nuovo duetto con Schonfeld; e infine, simbolicamente, con il Tema di Tara da Via col vento, stavolta in versione originale, dove Newman e la Radio Symphony di Vienna lasciano esplodere in tutta la sua lussureggiante potenza il travolgente epos delle pagine steineriane.
L’evento dunque si conclude così com’era iniziato: all’insegna di un legame strettissimo fra due mondi – quello mitteleuropeo e quello hollywoodiano - che riuscirono a comunicare, nella prima metà del secolo scorso, proprio grazie al cinema. E ci lascia col rimpianto struggente di un compositore andatosene troppo male e troppo presto. Certo, oggi non sappiamo cosa daremmo per riavere tra noi quel sorriso gentile e quelle lacrime irrefrenabili… Ma di James Horner ci resta la musica: la quale – come tutta la musica – è l’argomento più forte spendibile a favore dell’esistenza di Dio.

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