Jack Ryan: Shadow Recruit

cover jack ryanPatrick Doyle
Jack Ryan – L’iniziazione (Jack Ryan: Shadow Recruit, 2014)
Varese Sarabande 302 067 242 8
24 brani – durata: 73’12’’

Ormai da diversi anni Patrick Doyle e Kenneth Branagh hanno instaurato un sodalizio lavorativo che perdura nel tempo e che appare sempre più caratterizzato da una grande varietà di repertori che, nel caso del regista, si palesano sullo schermo mentre, nel caso del compositore si realizzano in partiture sempre diverse tra loro.
La carriera del compositore britannico sembra aver toccato tutti i generi cinematografici; sicuramente nelle sue prime composizione Doyle appare legato al sostrato musicale europeo. Potremmo dire che, alle origini, il suo modo di fare musica era profondamente diverso da quello dei suoi colleghi americani; negli anni 2000 poi ci fu il contatto con Hollywood e sembrava che Doyle resistesse alle sirene zimmeriane, continuando a scrivere una musica delicata, elegante, senza mai far leva sul lato più seducente. Con Nanny Mcphee prima e con Harry Potter e il Calice di Fuoco poi, Doyle aveva mantenuto una sua precisa cifra stilistica facilmente riconoscibile.

Dopo qualcosa è cambiato, Doyle si è consegnato a un modo di far musica che sembra voler gareggiare con i più commerciali autori americani; questo cambiamento lo si può vedere in L’alba del pianeta delle scimmie e in Thor che, non a caso, costituisce anche per Branagh il suo primo approccio al cinecomics.
Con Jack Ryan il compositore prosegue su questa stessa linea, appiattendosi su stilemi cari al pubblico americano. Analogo processo a quello del regista inglese che, proprio con questa pellicola, celebra il suo incontro con un simbolo del cinema di spionaggio americano.
Fin dal primo brano “Flying Over Afghanistan” ci troviamo di fronte a un lavoro musicale in cui i cliché la fanno da padrone; a un esposizione iniziale del tema si innestano archi e percussioni creando un stile «eroico» che rimane un unicum all’interno della partitura. Con il seguente “The United Nations” l’ascoltatore comincia a percepire l’esatta atmosfera musicale che, fino alla fine dell’album, sarà dominante. Momenti di assoluta sospensione si alternano a dinamiche elettroniche che accelerano il ritmo; proprio la velocità sarà elemento distintivo anche di “Window Reflections”. In tale andamento musicale appaiono quasi avulsi i brani “Shadow accounts” e “Fate Of Our Fathers” nei quali Doyle sembra ritrovare la sua vena originaria, inserendo un apparato classico con la presenza di un coro latino che pare stridere con la modernità della partitura di cui esso costituisce sicuramente il momento migliore.
La componente pianistica già vista in “Shadow Accounts” si ritrova in “The Activations” e “The Engagement”; potremmo dire che questi momenti di più disteso lirismo siano come delle pause nel rapido incedere di una partitura che, come detto, riprende tanti stilemi dei classici film d’azione. Atmosfere di attesa, esplosioni elettroniche che creano un frastagliato tessuto come nel caso del brano “Stealing The Data” e “Moscow Car Chase” dove giocano un ruolo determinante anche le percussioni che divengono protagoniste in “The Lightbulb”.
Nonostante tale presunto appiattimento di Doyle, ascoltando con attenzione, si aprono alcuni scorci che sembrano richiamare gli anni di formazione del compositore inglese; in “Unravelling The Data” per esempio, i violini cominciano a suonare creando un gioco di grande efficacia che contrasta con la tetragonia che fino a questo punto aveva caratterizzato la partitura. Su una medesima linea si attesta “Jack And Aleksandr”, brano nel quale si presenta una maggiore distensione lirica e una ripresa del tema che sembrava essersi perduto strada facendo. Gli ultimi tre brani costituiscono un ritratto di ciò che è stata la colonna sonora; dalla ripresa del tema del piano in “Picking This Life” si passa alla proposizione di un andamento tipicamente militaresco in “Ryan, Mr. President” per poi terminare con l’esplosione elettronica di “Shadow Recruit”.
La partitura di Doyle sicuramente non costituisce una novità nel panorama del genere di spionaggio; John Powell probabilmente con le sue score per Bourne è stato un antesignano di un modo di fare musica basato su un uso massiccio dell’elettronica, rapide volute e ritmi sempre cangianti. Il compositore britannico ha continuato su questa strada mettendo da parte le proposte che i suoi predecessori, da James Horner (Sotto il segno del pericolo e Giochi di Potere) a Jerry Goldsmith (Al Vertice della tensione) avevano avanzato basandosi su una musica che, in ogni caso, non rinunciava alla sua componente classica, commentando le avventure spionistiche del medesimo personaggio, interpretato da attori differenti.

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