Little Children

cover_little_children.jpgThomas Newman
Little Children (id., 2006)
Silva Screen Records SILCD1226
19 brani – Durata: 38'06"



Little Children è un interessante film che scava nelle pieghe oscure di due tipiche famiglie middle-class della cosiddetta “suburbia” statunitense, ritraendo con lucidità le disfunzioni e le ambiguità di una classe sociale in piena crisi di identità. Il film, purtroppo passato in sordina nelle nostre sale la scorsa primavera, ha anche ricevuto diverse nomination all'ultimo premio Oscar ed ha confermato il talento registico di Todd Field (già autore del cupo In the Bedroom del 2001). Lo sguardo distaccato ma mai gelido con cui l'autore seziona i personaggi e le loro vicende può richiamare alla memoria quello del celebre e premiatissimo American Beauty e forse non è un caso che Field abbia voluto affidare il commento musicale del suo film proprio al bravo Thomas Newman.
Il compositore si è sempre trovato a suo agio in questo genere di pellicole, che sono diventate per il medesimo un importante strumento attraverso cui veicolare e sviluppare il proprio personalissimo approccio all'arte della musica applicata. E' infatti piuttosto evidente la volontà del musicista di proseguire e ampliare lo spettro stilistico che ormai lo ha reso un vero e proprio nume tutelare tra moltissimi suoi colleghi musicisti (ma purtroppo anche un modello da scopiazzare senza ritegno). Little Children è infatti una partitura che possiamo senza indugio collocare nel filone “minimalista” (ma usiamo questo termine soltanto a causa di una mancanza di aggettivi più idonei) di colonne sonore come appunto American Beauty, ma anche Unstrung Heroes, In the Bedroom, Angels in America e Jarhead. Quindi, anche per questa pellicola, la musica si fa veicolo di emozioni sotterranee ed inespresse, sondando in profondità tra i grumi oscuri dei personaggi e della storia. Newman è diventato un vero “analista” della timbrica e dei suoni, capace di trasformare le sue partiture quasi in una sorta di esperimento psicoacustico. Il talento del compositore è anche quello di saper evitare la trappola del commento musicale “d'atmosfera”, ma anzi di essere brillante nel trovare sempre una perfetta dimensione musicale anche nelle pagine più sperimentali. Così come nelle partiture sopra citate, Newman imposta il discorso mettendo in primo piano un insolito set-up strumentale: domina in primis l'ensemble di solisti molto cari all'autore (Rick Cox, Michael Fisher, George Doering, Steve Tavaglione, Bill Bernstein e Steve Kujala), che formano la particolarissima intelaiatura timbrica newmaniana fatta di suoni acustici processati elettronicamente, tra cui percussioni di ogni guisa e provenienza (marimba e vibrafono su tutti), flauti, chitarre, marranzano, arpa e violino. Sono soprattutto questi timbri e l'incredibile gamma sonora che producono a caratterizzare molte pagine dello score (“Snack Time”, “Late Hit”, “Lucy”, “What's the Hurry?”, “A Sniff or Two”), nelle quali Newman seziona e parcellizza il panorama acustico con la cura del cesellatore. L'insieme viene poi innestato su una tradizionale orchestra d'archi che sovente accompagna ed arricchisce l'impasto timbrico (“Tissue”, “Bandshell”, “Red Bathing Suit”), creando così un tessuto musicale cangiante, imprevedibile ed onirico. E c'è infine il pianoforte, a cui Newman affida, come sempre, l'amato ruolo di cantore di purezza e cristallina semplicità (“2 Hillcrest”, “Be a Good Boy”) attraverso melodie diatoniche capaci di raggiungere vette altissime di lirismo (“Pool Days”). Ma è soprattutto nel lungo brano finale (“End Title”) che possiamo essere testimoni del genio e della personalità unica di questo compositore: un ipnotico caleidoscopio sonoro nel quale Newman ci fa cadere come dentro ad un vortice, al termine di un viaggio musicale spiazzante ed affascinante.


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