The Bourne Ultimatum

cover_bourne_ultimatum.jpgJohn Powell
The Bourne Ultimatum (id., 2007)
Decca Records 174 1038
10 brani (9 di commento + 1 canzone) - Durata: 55’03”



Il temperamento musicale così caratterizzante la convulsa ricerca d’identità dell’assassino scelto Jason Bourne non poteva mancare di definire anche quest’ultimo capitolo della saga action più convincente della moderna Hollywood, e l’uomo dietro il suond inconfondibile dei due precedenti score non poteva esimersi dall’apporre la sua firma a questa nuova avventura, tanto il franchise tratto dalla narrativa spionistica di Robert Ludlum contribuì ad imporre la sua cifra nel gotha della nuova generazione di musicisti per lo schermo.
Ed è motivo di grande piacere ritrovare John Powell nel suo elemento migliore, dopo una dignitosa ma impersonale prova nell’insolito grandeur orchestrale di X-Men – Conflitto finale, nuovamente padrone delle serrate architetture d’archi, di una gestione ritmica tra le più brillanti che si siano ascoltate nell’ultimo decennio, del responsabile tratteggio melodico. Ancora una volta artefice di una partitura di volta in volta capace di addizionarsi alle immagini contornandole, scuotendole dall’interno, dinamizzandole in superficie ma sempre alla larga dalla superficialità di vocazione Media Ventures/Remote Control - la fucina, va ricordato, da cui Powell mosse i primi passi nel cinema per poi distaccarsene forte di una personalità finora non pervenuta tra gli altri protegé di Hans Zimmer.
Stante una saltuaria ovvietà di scrittura che impedisce a quest’ultimo lavoro di eguagliare completamente la freschezza dei passati, l’impianto sonoro mantiene intatta la sua prestanza: il felice impasto di synth e orchestra ancora predominante nella forma, l’impalcatura tematica nuovamente significativa sul versante contenutistico. E già la conferma di queste due componenti indurrebbero a promuovere ipso facto il commento, eclatante in una fase cinematografica in cui lo scoring contemporaneo di più alto impatto è lanciato alla standardizzazione della prima e alla semplice parvenza della seconda. D’altronde Powell resta ancora, a dieci anni dall’esordio nel mainstream, uno dei modelli della nuova estetica, difficilmente corruttibile da involuzioni del suo stesso stile tracimanti dal derivatismo perpetrato da epigoni più o meno valenti. Non bastasse, in un’ulteriore evidenziazione della distanza qualitativa intercorrente da simili approcci, il compositore londinese ha il coraggio di orientare Bourne Ultimatum alla componente meditativa già strisciante nel testo musicale del pregresso dittico, promuovendo il tema del protagonista e la confacente essenzialità armonica ad un ruolo predominante. “Thinking of Marie” - che prende le mosse dalla ricorrente frase per fagotto, stavolta accoppiata alla timbrica di un organo barocco - e “Faces Without Names”, dalle fissità khacaturianiane, sono a tal proposito quanto di meglio sviluppato finora dall’autore sul frangente umano della storia: due frementi adagi per archi dalla profonda valenza drammatica che si emancipano senza conflittualità dal dinamismo rutilante delle pagine action. Queste ultime poi generose di guizzi persino imprevisti, veri dettagli capaci di fare la differenza nell’epoca del deja-entendu monopolizzante: servano da esempio l’accellerando conclusivo degli archi in “Six Weeks Ago” e la progressione orizzontale contrabbassi/drumkit/ottoni nel finale di “Assets And Targets”, dove le due sezioni orchestrali si sovrappongono e si avvicendando con stupefacente discrezione sotto una divampante linea violinistica. Immancabili, i bhangra dhols, le percussioni indiane assorte a cifra distintiva della trilogia (e del compositore), scrosciano su questa terza collaborazione tra Powell e il regista Paul Greengrass, che con all’attivo anche Bourne Supremacy e l’eccezionale United 93 ha tutte le carte in regola per staccarsi come una delle più attraenti del prossimo futuro.


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