Youth Without Youth

cover_un_altra_giovinezza.jpgOsvaldo Golijov
Un'altra giovinezza (Youth Without Youth, 2007)
Deutsche Grammophon 477 6603 GH
21 brani – durata: 60’37”



Il compositore argentino Osvaldo Golijov accetta l’importante commissione di Coppola per Un’altra giovinezza (Youth Without Youth) dopo un’esperienza ibrida e stimolante con i Kronos Quartet per The Man Who Cried di Sally Potter (2000), d’impronta decisamente operistica, e per il corto di Iñàrritu Darkness (2002), ancora con i Kronos Quartet e Gustavo Santaolalla, interessante quantomeno per l’ensemble strumentale utilizzato (il quartetto d’archi Kronos, marimba e roncolo suonato da Santaolalla). Questo è invece un lavoro orchestrale in senso pieno.
La struttura in movimenti trova il suo impianto di riferimento nella sinfonia, pur con innovazioni timbriche rispetto alla strumentazione sinfonica classica – oltre all’esclusione delle trombe, la più evidente è il pianoforte scordato, una costante quasi in ogni brano – ed una variabilità tonale che non si limita ai movimenti centrali coinvolgendo anche i periferici (apertura e chiusura). In realtà il semitematismo e il distacco dalla scansione quadripartita escluderebbe qualsiasi riferimento alla struttura sinfonica, ma lo sforzo comunicativo compiuto dal compositore assegna in modo deciso questa partitura al genere. Sforzo comunicativo non sempre sostenuto dalla regia, questo va detto, che non si fa un tabù del sovraccarico di contenuti e suggestioni che preme sullo spettatore – ragione per cui a questo film sono applicate solo definizioni estreme (ridicolo, sublime).
Se le falle dell’opera di Coppola si individuano facilmente nella debolezza dei dialoghi e nella stentorea attendibilità delle situazioni, Golijov riesce, a parere di chi scrive, a creare un equilibrio pur muovendosi nella rischiosa area dell’obsoleto sonoro ed espressivo. Eppure il sapore di antico, il polveroso, il “vecchio” è la vera forza di queste musiche originali che, risentendo dei trascorsi operistici dell’autore e dei suoi legami con le culture d’origine (ebraica, quindi il klezmer, e il novecento esteuropeo nelle figure di Kodaly e Bartòk, ambedue citate, ad esempio, in "Refugee"), non possono che toccare livelli espressivi alti seppure non innovativi. Anche le scelte di repertorio – "O Alba Tigareta Parfumata", disco malandato suonato da un grammofono, e "Noapte Buna Mimi") – rafforzano una scelta stilistica di coerenza, aderentissima ad immagini in cui si ricostruisce un’Europa alle soglie del secondo conflitto mondiale.
Richiami all’iniziale "Youth Without Youth", ad un tematismo armonico inquietante e disteso, sono presenti in "Farewell", costituendo il primo movimento: quello in cui si allude alla giovinezza ma a quella mostrata sullo schermo, solo esteriore, vissuta con la malizia e la consapevolezza della maturità e quindi privata della sua irrazionalità - anzi pervasa della disillusione dell’età matura.
L’introduzione armonica con modulazione maggiore-minore in "Love Lost: Laura" è riferita alla vicenda amorosa, una storia di perdita che si ripete a distanza di molti anni, incentrata anche musicalmente su un ostinato onirismo ("Powers") e sul mistero scaturito dal concetto di reincarnazione: è il tema di Laura che, anche nella sua ripresa ("Love Lost: Veronica"), rivela la necessità del sacrificio per la sopravvivenza dell’altro e di un’ideale. Microcitazioni armoniche da questo tema si rintracciano in "Malta", costituendo così il secondo movimento, anche se privo di continuità.
Limitarsi ad un’analisi musicale tout-court si rivela però improprio al cospetto di un lavoro sul sonoro che invece merita attenzione nel suo insieme, anche se le parti in questo senso più interessanti non potevano essere inserite nel CD. In "Dominic’s Nightmare", seconda traccia utilizzata nel film per la sequenza iniziale dell’incubo di Dominic, sul ticchettio di un orologio dalla cadenza lievemente irregolare è innestato un campionario di effetti e suoni che evocano la tradizione musicale orientale (il kamanchen) ed alludono non soltanto all’elemento temporale come fondamento del racconto ma anche a quello spaziale, attraverso una mappatura sonora che unisce musica balcanica e indiana, condensando così in un unico brano i contenuti essenziali del film – il viaggio, lo scorrere del tempo, la caducità della vita, l’incompiutezza dell’opera dell’uomo. Esemplare quindi la traccia per l’inserimento dei rumori in partitura.
L’idea di tempo è ripresa concettualmente ma non musicalmente in "Time" e "Death Of The Trouble", terzo movimento, prendendo l’avvio dal suono di un pendolo sul quale si imperniano le parti degli archi, con sezioni raramente sovrapposte e anzi più spesso in alternanza: l’effetto è quello del totale smarrimento tonale e, conseguentemente, emozionale.
Nel film, lo sforzo di mettere in comunicazione tra loro linguaggi appartenenti ad epoche ed aree geografiche distanti fallisce; la musica apre invece un canale attraverso il quale soluzioni timbriche di tradizione europea colta e fraseggi distesi incontrano le sonorità avulse degli strumenti tradizionali e convivono con un modo di straziare gli strumenti ad arco che è tipico della tradizione balcanica ("Rupini’s Cave", "Veronica’s Nightmare"). Comunicazione aperta, dunque; quarto movimento.
Una cosa può essere riconosciuta al regista: l’aver espresso, in maniera confusa ma partecipe, il dolore del constatare la finitezza dell’esistenza umana e del trovarsi al termine della propria vita senza aver portato a termine un’opera di valore – letteraria, scientifica, artistica, umana. È la tensione che ha dato impulso a questo progetto, in realtà espressa con più commozione ("The Third Rose" e il nucleo tematico armonico del finale) e compiutezza dal sinfonismo di Golijov che dallo stesso Coppola.




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