Hyde’s Secret Nightmare

cover_hyde.jpgKristian Sensini
Hyde’s Secret Nightmare (Id. - 2011)
Kronos Records KRONCD011  - Edizione limitata 250 copie
20 brani + 3 bonus tracks – Durata: 59’14”



Anche se esibisce titoli anglosassoni, parla inglese e sfoggia nei suoi protagonisti nomi esotici, l’horror indipendente italiano segna una fortissima discontinuità con l’analoga produzione d’oltreoceano e sembra piuttosto avere come modello quella stagione tra gli anni ’60 e ’70 in cui il genere conobbe un autentico rinascimento stilistico grazie soprattutto a Dario Argento, ma visse anche una fase di popolarità molto “pulp” con autori quali Lucio Fulci, Mario Bava, Ruggero Deodato, Umberto Lenzi, Antonio Margheriti e altri: artigiani – chi più chi meno talentuoso – dello splatter e del gore, immediatamente e imprudentemente assurti al rango di “maestri” da stuoli di fan ma, al di là dei giudizi di valore, in ogni caso fautori di una “laicizzazione” e legittimazione del genere in senso gioiosamente e anarchicamente libertario, senza cascami spiritualistici o misticheggianti, retroterra simbolisti o religiosi, alibi esistenziali o filosofici.

Un tripudio di sangue, di finzione, di incubi, di suggestioni letterarie e non, di estremismo linguistico e di efferatezze scenografiche che – per una breve stagione – restituirono il genere al suo aspetto ludico, infantile, crudele, senza preoccuparsi troppo né dei “messaggi” né del “buon gusto”.
Acqua – e sangue – sotto i ponti ne è passata tanta da allora, e da allora l’horror con le sue varianti è divenuto una pratica  geneticamente modificata, mutante, estensiva, che ha conosciuto sviluppi imprevedibili sia grazie al progresso delle tecnologie (il digitale) sia a causa dell’irruzione sulla scena di altre “scuole” oltre a quella statunitense, in particolare da Oriente e dalla Spagna. In Italia, come fa osservare spesso Argento, l’horror non si fa per due motivi molto semplici: perché costa, e perché servono idee.
Al primo problema si può rimediare, al secondo no. Per “idee” ovviamente non s’intende la pretesa d’inventarsi in materia  ogni volta qualcosa di nuovo, di inedito, impresa francamente ardua, ma la capacità di innovare con fantasia, coraggio, originalità il linguaggio, i temi, le ossessioni che hanno fatto la storia e la leggenda del genere nel corso di un secolo di cinema. Dall’Estremo Oriente alla Spagna, passando per la Francia e la “scuola” tarantiniana negli States, questa ventata di rinnovamento ha spazzato negli ultimi dieci-quindici anni l’horror & dintorni, spesso e volentieri verso direzioni estreme, ultimative in termini di indipendenza produttiva, radicalità splatter, strategie e tattiche della paura. In Italia, più che nella produzione “mainstream”, ancora vincolata a impossibili eredità argentiane o fulciane, va segnalata la volenterosa ostinazione di alcuni giovani cineasti superindipendenti, spesso autoprodottisi nei propri territori (in particolare tra Veneto e Friuli), che si sono rivolti al genere con sguardo per nulla abbassato riprendendone situazioni e “tòpoi” con veemenza espressiva e dovizia di citazioni, ma facendo spesso tesoro di una politica del “basso costo” che ne ha, non a caso, moltiplicato la fantasia e le risorse narrative.
Artista multimediale, scenografo, attore, poeta e “performer”, Domiziano Cristopharo è senz’altro una delle rivelazioni più recenti su questo fronte, già premiato e salito alla ribalta di numerosi festival specializzati, divenuto oggetto di culto per i fan grazie ai suoi film “low budget” sanguinosissimi ma estremamente stilizzati, rituali, straripanti sangue e sesso e tuttavia per nulla caratterizzati da quella artificiosa adrenalina di montaggio cui molti neofiti pensano di potersi impunemente rivolgere per cavarsela in ogni situazione… Da parte sua Kristian Sensini, classe 1976, studi classici al Conservatorio di Pesaro, una formazione di pianista e flautista classico e jazz, è sin da The Museum of Wonders (2010) l’alter ego musicale di Cristopharo: con una passione parallela per il jazz, la musica sperimentale e l’elettronica, alle spalle numerosi workshop interdisciplinari con personalità quali  Ennio Morricone, Salvatore Sciarrino, Michael Giacchino, Goran Bregovic, Dave Grusin, ed  ulteriori studi con Paolo Buonvino, Carlo Siliotto e Carlo Crivelli, Sensini è per sua stessa ammissione un fan dei soundtrack “classici” di Herrmann, Goldsmith e North, ma anche (e segnatamente al genere in questione) di Morricone e dei Goblin, mentre contemporaneamente coltiva una vena laboratoriale e “alternativa” molto in linea con lo stile di Cristopharo, che lo conduce ad un utilizzo del tutto particolare della cosiddetta “tavolozza digitale”, tentando di andare oltre la semplice mimesi dell’orchestra tradizionale e inseguendo invece un suono creativo più eterodosso, che a precisi riferimenti acustici, timbrici e realistici alterna paesaggi sonori onirici, astratti, inafferrabili.
In questo quadro di riferimento, una nuove versione di quell’autentico ipertesto del gotico e dell’horror che è il racconto di Robert Louis Stevenson “Strange case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde”, pubblicato la prima volta nel 1886, non può che costituire una sfida temeraria ma entusiasmante sul piano del linguaggio, inserendosi in una filmografia che sull’argomento conta almeno un’ottantina di titoli dai primi del ‘900 a oggi (senza considerare le variazioni, le citazioni, le allusioni, le parodie ecc.ecc.). Oltretutto la sceneggiatura di Cristopharo e Andrea Cavaletto, riproponendo la variante grazie alla quale il dottor Jekyll si trasforma in un Hyde-donna, non fa che riagganciarsi ad un’idea già percorsa nel 1971 da Roy Ward Baker e dallo sceneggiatore Brian Clemens in Dr. Jekyll and Sister Hyde, prodotto in Gran Bretagna dalla leggendaria Hammer, interpretato da Ralph Bates e Martine Beswick con musiche di uno dei grandi specialisti all’epoca sotto contratto per quella casa, David Whitaker.
In questo caso però Cristopharo, che ha iniziato come aiuto sul set di Umberto Lenzi, “maestro” dello sfruttamento a basso costo di qualsiasi genere (porno, horror, western, poliziesco…), e che dedica esplicitamente il suo film a Joe D’Amato (al secolo Aristide Massaccesi, 1936-1999), indiscusso e oggi idolatrato re del “porno-horror-trash” italiano, non ha esitazioni nel definire il proprio lavoro, anche per spiegarne le comprensibili difficoltà di distribuzione, «un porno-horror estremo e grandguignolesco», nel quale il protagonista di nome Chagall (Cristopharo è, come dicevamo, anche artista figurativo) sta cercando un siero contro l’impotenza e nello sperimentarlo si trova trasformato in una bellissima fanciulla ninfomane (la interpreta la pornostar Roberta Gemma), con le conseguenze facilmente immaginabili…
Negli oscuri e sovente deliranti labirinti dell’erotic-horror di serie B (e lettere anche successive…) sappiamo che il ruolo dei musicisti è spesso stato storicamente decisivo in termini di originalità, innovazione e spesso riscatto qualitativo: si veda, a tale proposito, il recente e imprescindibile libro “Così nuda così violenta” di Alessandro Tordini (Arcana, 2012) di cui ci occupammo qui tempo addietro. Sappiamo anche che la produzione del film si era bizzarramente assicurata per il soundtrack i diritti di alcune partiture di Nino Rota per i film di Fellini!...: con un esito a contrasto che sarebbe forse stato divertente, ma che francamente non sapremmo immaginarci.
Chiuso nei suoi KeyeStudioS di Porto Potenza Picena, provincia di Macerata, Sensini – che è attivo tra cinema e tv dalla metà degli anni 2000 - ha viceversa provveduto ad una partitura decisamente lussuosa e ambiziosa, molto ispirata agli score anni ’70 del “giallo all’italiana” (Goblin in primis), e decisamente la più elaborata tra quelle sinora prodotte per il cinema di Cristopharo (il cui cantiere, peraltro, è in fervente attività…). Ora, pur rispondendo a verità che Sensini non ha inseguito semplici procedimenti “imitativi” dell’orchestra, non è men vero che l’imponente spessore delle sonorità evocate punta a precisi riferimenti timbrici. Lo schiacciante, perentorio incipit di “Bad dreams”, fondato sull’unico leitmotiv della partitura, una elementare figura discendente di quattro note, evoca tube wagneriane e percussioni violente (usiamo i riferimenti strumentistici per semplicità…), così come “Hyde’s nightmare” sostiene la cantilena iniziale di tipo vibrafonico con un effetto-archi poderoso che sfocia in un tipico stacco rock-sinfonico con tanto di coro. Quanto dire che Sensini si pone come uomo-orchestra (o uomo-synt), non diversamente da quanto fecero a suo tempo John Carpenter o Vangelis, ma alternando percorsi sonori più “tradizionali” e chiaramente debitori ai grandi modelli del soundtrack (da Goldsmith a Goldenthal) a excursus più liberi di sperimentazione (“Bed of horrors”).  E qui annotiamo che oltre a indubbi riferimenti al Goblin-sound appaiono anche elaborazioni “astratte”, esplorazioni nei territori dell’avanguardia e della contemporaneità (la ragnatela percussiva che avvolge “Vintage tension”) che sembrano guardare a quanto faceva negli anni ’60 e ’70 Morricone alle prese con film e generi analoghi.
Pertanto lo score assume tre aspetti fondamentali: uno spiccatamente, aggressivamente e magistralmente “sinfonico” (“Transformation ok” ripropone il leitmotiv principale scandendolo con brutalità su “ottoni” e “timpani”), un secondo politonale e vitreo, molto inquietante e allusivo, intessuto di timbri più morbidi, pianistici, chitarristici  o addirittura settecentesci (“Truth or dare”, la spinetta di ”Seduction”), un terzo dichiaratamente proiettato nelle spire dell’avanguardia, atonale o anti-tonale, a tratti addirittura omaggiante i decorsi dodecafonici (il pianoforte iniziale di “Death lover”) e basato sulla commistione di elementi a conflitto e sull’instabilità assoluta degli orizzonti sonori. Se tutto questo può sembrare un lusso, o financo uno spreco, per un film aureolato di “maledettismo” e definito porno-horror dal suo stesso regista, non va dimenticato che analogo discorso fu fatto a suo tempo per i tanti B-movie morriconiani, o i numerosi horror-thriller indipendenti e low budget musicati da Pino Donaggio o – ancora più indietro – per analoghi prodotti a firma di Bernard Herrmann. Parafrasando Pascal verrebbe da dire che “la musica per film conosce ragioni che il cinema non conosce”.
Fatto sta che l’assetto della partitura di Sensini finisce con assumere un profilo incredibilmente “alto”, complesso e strutturalmente articolato nelle sue diverse componenti: gli accordi pianistici di “Mother” offrono una solennità quasi chiesastica, il techno-rock di “Electro dark” ha una funzione che si direbbe liberatoria, “Twinge of love” si immobilizza in pedali degli archi, rintocchi lontani, dissonanze spettrali e fatate e “Love you madly”, brano altrettanto misterioso e notturno, chiama una “voce” femminile a sfidare percussioni e ottoni gravi mentre “Beyond the mirror” è una mesta ballata pianistica fondata su un bel tema iterato e armonicamente dolcissimo. Molto “morriconiano” nella parte centrale appare “Serial Killer”, laddove quella finale ricorda piuttosto certi effetti alla Marco Beltrami. Se “Love bites” e “Original sin” si muovono ancora nei territori sommessi della suspence lirica, cantilenando fra scampanìi, rintocchi e ricercate indeterminatezze tonali, “Revelation” è ancora un brano molto vintage e debitore a “mastro Ennio”, soprattutto nella sapiente apocalisse rock-sinfonica che ne domina lo sviluppo e nel rallentando carillonistico del finale; e gli “Hyde’s end titles” sfoggiano la ricostruzione di tecniche strumentali dell’avanguardia storica (negli effetti degli archi e delle percussioni) in un tripudio conclusivo di apparentemente caotico, in realtà sorvegliatissimo e catartico, rumorismo.
I tre bonus tracks di questo pregevole album riguardano innanzitutto il pezzo scritto da Sensini per il trailer del film, e nominato ai “Jerry Goldsmith Awards”, scampolo di rock progressive con batteria, organo e quant’altro serva a ribadire l’omaggio al gruppo di Simonetti, Morante & Co. Gli altri due cut invece provengono da POE Poetry Of Eerie, un film collettivo che tredici giovani registi emergenti e indipendenti italiani hanno realizzato nel 2011 basandosi sulla libera (molto libera…) reinterpretazione di altrettanti racconti di Edgar Allan Poe, quindi ancora una volta avventurandosi con piglio per nulla assoggettato o intimidito su un terreno molto battuto: a questo film tra l’altro è seguito nel 2012 POE Project Of Evil, altro lavoro collettivo di otto cineasti…. Da parte sua Cristopharo si è accostato a “Il giocatore di scacchi di Maelzel”, sorta di racconto-saggio breve che Poe pubblicò nell’aprile del 1836 sulla rivista Southern Literary Messenger e Sensini, che ha scritto la musica insieme ad altri, offre in “Poe short titles” un altro brevissimo, icastico saggio della propria maestria assemblativa, con quarantasette secondi di effetti brucianti e progressione dinamica soffocante. Più sviluppato “Poetry of  Eerie”, basato su un incipit ossessivamente ritmato su una nota sola da un basso e una chitarra indie riverberata, sul quale un effetto piano-spinetta manipolati ripropone il semplice (Sensini non si complica la vita con inutili labirintismi leitmotivici) tema di tre note già udito nel fulmineo brano precedente. La ripetizione quasi meccanica di questo schema è assediata da tremoli, vibrazioni, brividi sonori e rimbombi assortiti, finché il tema non viene “abbreviato” e accelerato in coda, spegnendosi sull’inamovibile ritmo di accompagnamento, simile sin dall’inizio ad un battico cardiaco…
Consapevoli di evocare un luogo comune, saremmo ovviamente incuriositi dall’ascoltare questo dotatissimo compositore in prove di maggior impegno produttivo e dal punto di vista del “testo” filmico, anche per comprenderne meglio la capacità di farsi trasmettitore sonoro delle immagini rimanendo fedele alla propria onnivora curiosità linguistica. Ma la libertà espressiva e comunicativa di cui Sensini, tecnicamente prodigioso, ha qui goduto non gli sarebbe probabilmente altrettanto garantita. Vecchia storia, anche questa, lo sappiamo: da sempre i generi “forti”, anzi fortissimi, e i linguaggi “estremi” stimolano l’autonomia e l’inventiva dei compositori. Quindi per il momento accontentiamoci. Anzi, congratuliamoci con un talento di prim’ordine.

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