Atonement

cover_espiazione.jpgDario Marianelli
Espiazione (Atonement, 2007)
Universal Music Classics & Jazz 4766195
15 brani – durata: 50’31”

 

La delega alla strumentazione, segnatamente ad una timbrica particolareggiata, nell’approcciare e narrare un carattere cinematografico chiave è sempre stata una prassi di scoring capace di importanti significazioni, oltreché di notevole fascinazione fruitiva (quando oculatamente dosata e bilanciata nell’economia complessiva del commento) e di eleganza compositiva. Quando poi un tale procedimento scaturisce da un compositore dotato di una chiara e avvincente competenza del mezzo cine-musicale gli esiti possono essere altissimi, sicuramente ascrivibili tra i più nobilitanti della musicazione applicata. Nel caso delle musiche di Espiazione, la riuscita altamente soddisfacente dello score come veicolazione personalizzata della giovane protagonista Briony e allo stesso tempo l’apprezzabilissima dignità autonoma della partitura preposta alle immagini, sanciscono il diritto al lavoro di entrare nella lista di esiti eccellenti e includono definitivamente Dario Marianelli in quella risma di autori musicali per il grande schermo latori di sensibilità sempre meno ravvisabili nel panorama internazionale.
Il suono che il musicista pisano delega alla centralità, non solo dello score ma anche del nodo interpretativo del lungometraggio, è quello di un macchina da scrivere d’antan. Il suo campionamento ne fa uno strumento insignito alternativamente di propositivi armonici (in funzione di contrappunto), ritmici (l’apertura in “Briony”, con emanazioni quasi melodiche della timbrica dattilografica al pianoforte) e orchestrativi (la veemenza percussionistica in “Cee, You and Tea”) nel dimensionamento prettamente musicale. Anche più interessante e oneroso il suo ruolo all’interno del progetto narrativo dello score: prendendo le mosse dalla sua duplicazione descrittiva più palese – il prologo del film, con la macchina da scrivere ricalcante le sedute di componimento della giovane Briony – la molteplice validità di questa scelta strumentale s’incarna in un posizionamento di evidente asincronia fotografia ma di fondamentale validità metaforica; il tamburellare ostinato dei tasti non corrisposti all’immagine della bambina intenta alla creazione letteraria informa che la traguardazione del suo talento immaginifico e mistificante non si limita alla carta ma permea il testo dischiudendo i confini della diegesi in un rapporto di permeabilità dei livelli, attraverso la mediazione di un narratore progressivamente inattendibile (“With My Own Eyes”). Altrettanto meritoria, dunque, deve essere giudicata, in una considerazione prettamente concettuale dello score, l’inclusione da parte del compositore del suono concreto in partitura, che lungi dall’attestarsi come primato (è lo stesso Marianelli ad aver citato i precedenti del Zbigniew Preisner di Kieslowski – ed è d’obbligo aggiungere, nello specifico della macchina da scrivere in colonna musica, il Mario Nascimbene di Roma ore 11) risulta certo un’indiscutibile valore aggiunto se considerato all’interno di una pellicola riconducibile alla produzione mainstream. In più la contaminazione e l’ingerenza reciproca tra i livelli acquista maggior rilievo in quanto strutturale allo spartito e non limitata all’intuizione dei rumori dattilografici: a conclusione del primo atto del film, ad esempio, Marianelli mutua dalla colonna rumori il suono sordo di un ombrello percosso sul cofano di un’automobile e lo ingloba come dorsale ritmica, interiorizzato e amplificato da quella cassa di risonanza che è la coscienza di Briony; e anche in “Elegy For Dunkirk” gli scampoli di coro dei soldati sembrano attraversare una zona franca dei codici sonori.
Quest’ultimo brano, rappresentativo del sommesso lirismo che attraversa in più parti il commento, ha guadagnato i maggiori riconoscimenti e ben rappresenta anche l’impalcatura tematica che definisce la composizione, pur tratteggiata con discrezione e mai tendente all’impostazione strettamente leitmotivica. In queste pagine Marianelli dipinge con i colori del classicismo orchestrale, tra romanticismo e pianismo solistico (Jean-Yves Thibaudet è di nuovo coinvolto dopo l’eccellente prima collaborazione con il compositore in Orgoglio e pregiudizio). Piace sperare che questo estetismo più immediato non sia stato l’unico motivo di plauso dello score e che la scelta praticamente unanime dei fronti critici più disparati (Oscar, Golden Globe, International Film Music Critics Association) abbia tenuto in giusta considerazione il lavoro non comune di compenetrazione organica al testo filmico dello spartito. Comunque sia andata, il meritato tributo basta di per sé a sperare in un accostamento (e una valutazione) cine-musicale sempre più concentrata alle funzioni primarie della disciplina e al loro non scontato adempimento.

 

 

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