The Kite Runner

cover_the_kite_runner.jpgAlberto Iglesias
Il cacciatore di aquiloni (The Kite Runner, 2008)
Deutsche Grammophon/Edge Music 477-7333
21 brani - durata: 1h 02’ 45’’

 

Il bel libro di Khaled Hosseini è stato ben interpretato dalla direzione di Marc Forster che ha mantenuto il sapore della scrittura di Hosseini, nelle ambientazioni, nei dialoghi, nel racconto epico, che scioglie l’intreccio della propria storia, ambientato in una terra affascinante e difficile, tra tradizione e modernità. Il regista ha trattato la propria opera con la coscienza di realizzare un testo sincretico, come sempre accade quando si realizza un film, ancor più se questo prende vita da un romanzo di successo, in cui i diversi piani di significato si intersecano rimandando l’uno all’altro: musica, immagine, testo scritto, testo filmico inteso come unità nuova. Per questa sua operazione Forster si è affidato alle musiche di un artista che negli ultimi anni ha dato più volte prova della sua competenza, delle sue qualità di artigiano dei suoni, e del suo talento nel “vedere” i suoni, e i luoghi dei suoni, con immediatezza e ricchezza, timbrica e melodica. Alberto Iglesias, autore delle colonne sonore degli ultimi film di Almodovar (Tutto su mia madre, Parla con lei, La mala educación, Volver), ha di recente avuto due nomination al premio Oscar per la Miglior Colonna Sonora: nel 2006 per le musiche del film The Constant Gardener - La cospirazione e nel 2008 proprio per le musiche del film Il cacciatore di aquiloni. Le due partiture tra l’altro hanno una caratteristica in comune: la ricerca da parte dell’autore di un incontro tra il proprio mondo sonoro, quello della pellicola, e quello dei luoghi in cui il film è ambientato, un processo di avvicinamento e di mimesi storica e musicale realizzato attraverso un esercizio di contaminazione culturale e sonora, che si apre all’utilizzo di strumenti tipici di quell’area, come la lira popolare cretese, il santur, il duduk o il rubab, e alla scelta e all’inserimento di brani preesistenti legati alla tradizione musicale del luogo in cui il film è ambientato. All’interno dello score originale infatti sono stati inseriti dei brani scritti e interpretati da due artisti afgani, Ahmad Zahir (la bizzarra “Tanha Shudam Tanha” che utilizza anche strumenti elettronici e la splendida e melanconica “Az Man Begurezed” ) e Ehsan Aman (“Omaid Man”, “Dukhtare Darya”), e dal cantante iraniano Sami Yusuf (che interpreta il brano che chiude il disco “Supplication”). Ciò che più  colpisce all’ascolto della OST è la sua compiuta unità timbrica, sonora e formale, anche in relazione alla presenza di questi brani non originali che, realizzati in anni diversi e da artisti diversi, perfettamente si inseriscono all’interno della partitura originale.  La sensazione che si ha è di ascoltare un lavoro circolare che accompagna chi guarda il film e chi ascolta il disco in un viaggio che mai si interrompe e che attraversa luoghi e incontri differenti ma tutti uniti da un sottile filo rosso, come se si muovesse al di là del tempo e dello spazio. Tra le cose più belle del disco certamente il pezzo scritto per i titoli di testa in cui tutti gli elementi distintivi dello score convivono e sono già ben chiari; molto bello, nella sua semplicità ad esempio, il modo in cui il brano termina con un ponte modulante affidato alla chitarra che risolve di fatto nel pezzo successivo "The Call, Kabul 1978" in cui la voce di Sussan Deyhim introduce e prepara il tutti dell’orchestra, che non lascia alcun dubbio a chi ascolta. Siamo a Kabul, in Afghanistan, e quei due bambini che corrono poco lontano sono Hassan, e il suo amico Amir, e stanno andando a caccia di aquiloni.


 

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