There Will Be Blood

cover_there_will_be_blood.jpgJonny Greenwood
Il Petroliere (There Will Be Blood, 2007)
Elektra / Nonesuch 369020-2
11 brani – durata: 33’04’’

 

Ciò che si imprime maggiormente nella memoria dello spettatore dopo la visione di There Will Be Blood non è, dal punto di vista sonoro, tanto la musica quanto il silenzio. Un silenzio assordante, totalizzante, carico. A volte sembra quasi che lo score composto da Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead, voglia riprodurre proprio il suono del silenzio, quel rombo sommesso e ossessivo che si ode nelle orecchie quando l’assenza di suoni esterni, o l’impossibilità di udirli, si fa opprimente (ed è significativo che il piccolo H.W. perda l’udito in conseguenza di un’esplosione). La partitura di Greenwood è molto omogenea nella sua asprezza scarna e dissonante tanto che potrebbe essere pensata come un unico, lungo tema musicale del protagonista Daniel Plainview, come la minacciosa impronta sonora della sua anima: un suono che viene da dentro, ma non come espressione dei pensieri e dei sentimenti di Daniel, che restano imperscrutabili, bensì come incarnazione delle sue percezioni, anche in senso puramente fisico, ed infatti la musica si mescola spesso al silenzio, al rumore, alle esplosioni: si pensi al momento, spaventoso e impressionante, dell’esplosione del pozzo di petrolio in cui rimane ferito H.W. (il brano è “Convergence”, non inserito nell’album in commercio).
Note concrete, fatte di terra, polvere, sangue, tensione muscolare, rabbia. Greenwood usa prevalentemente gli archi, ma in alcuni brani si affaccia anche il pianoforte (“Prospectors Arrives”, “Eat Him By His Own Light”): nel complesso si tratta di tracce poco melodiche, dai ritmi dilatati, spesso ipnotici e ossessivi ma anche spiccatamente lirici, espressivi, ricchi.
Il brano di apertura, “Open Spaces” (il cui tema torna in parte anche in “Hope of New Fields”) è fatto di suoni aspri che si spengono e danno un’idea di “orizzontalità”, di infinito, qualità presenti anche nei paesaggi che dominano tutto il film, e in particolare le primissime scene.
La musica si fa rumore che stordisce (“Henry Plainview”), cascata di suoni violenti (“There Will Be Blood”), si distende su ritmi più vivaci (“Future Markets”, “Proven Lands”) per poi tornare alla tensione, al senso di minaccia che caratterizza l’intera partitura.
Merita di essere citato il brano di Brahms usato dal regista Paul Thomas Anderson sull’ultima inquadratura del film e sui titoli di coda; si tratta del terzo movimento del concerto per violino in re maggiore op. 77 (anche questo non inserito nella tracklist), un pezzo di una bellezza spietata e violenta che ricorda l’uso crudele dei pezzi classici nei film di Kubrick nei quali la perfezione musicale non è in grado di veicolare alcun sentimento positivo, ma solo gelo e malessere acuiti paradossalmente dalla bellezza delle note che si ascoltano.
Una colonna sonora potentissima, di ascolto non facile ma integrata in maniera perfetta alle immagini del film come raramente capita di vedere.

 

 

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