Aliens Vs Predator: Requiem

cover_aliens_predator_requiem.jpgBrian Tyler
Aliens Vs Predator 2 (Aliens Vs Predator: Requiem, 2008)
Varèse Sarabande – VSD 6865
21 brani – durata: 77’20”

 

Nel registrare il secondo tonfo artistico dell’ingestibile (almeno secondo le apprarenze) cross-over cinematografico dei fantascientifici Alien e Predator, è impossibile non annotare anche un certo disappunto nei confronti di una leggerezza realizzativa capace di risolvere imbarazzantemente uno spunto che rivendica invece potenzialità non indifferenti. Se già il primo, inefficace tentativo di Paul W.S. Anderson aveva segnalato un incapacità di affrontare frontalmente i caratteri eponimi, quest’ultimo incrocio dei franchise sdoganati da Ridley Scott e John McTiernan si appresta al grado zero del discorso narrativo, squalificato – ancor prima che da una regia scolastica e da una fotografia dove la saturazione dei neri e l’estremo contrasto arrivano ad ostacolare la fruizione minima – da una negligenza di sceneggiatura che ancora una volta preferisce evitare l’atteso confronto autonomo dei due alieni inscritto nel titolo, propinando escamotage da teen-horror di pessima fattura e strutture retoriche tanto logore quanto innocue. E il disappunto è alimentato anche dall’occasione mancata di valorizzare maggiormente quella che è forse, finora, la prova più convincete del derivativo Brian Tyler fuori dalle esperienze friedkiniane. Paradossalmente, infatti, l’inveterata aspirazione emulativa del compositore di Constantine e The Final Cut trova qui un dimensionamento quantomai idoneo e una ragion d’essere indiscutibile. Al punto da rovesciare le inevitabili critiche solitamente indirizzate all’abbandono citazionistico dell’artista in motivi di plauso per uno score che tematizza il cliché cinemusicale di genere. D’altronde, Tyler aveva la possibilità “autorizzata” di attingere a due dei lessici sci-fi/action più seminali della modernità di scoring: il caposaldo di Jerry Goldsmith per Alien e l’epocale contributo di Alan Silvestri al dittico di Predator (tra l’altro tornato assai in voga in tempi recenti, come certificano gli eclatanti saccheggi del Tyler Bates di Slither e 300). Lungi dal fuggire i materiali portanti delle due serie, come nell’approccio anodino di Harald Kloser per la precedente installazione datata 2004, Tyler procede in una direzione diametralmente opposta, immergendosi completamente negli archetipi delle partiture di riferimento, facendone sostanza fondativa di un commento che si articola a colpi di giustapposizioni discorsive tra temi portanti, passaggi motivici, cellule tematiche, alludendo perfino agli stinger esclusivi alle due sintassi. Dalla citazione spuria, l’uso delle appropriazioni si allarga inevitabilmente al doppio rimando intertestuale (in fondo, come discernere una semplice emulazione goldsmithiana del fluttuante pattern di due note coniato per Alien dalla citazione dello stesso nella partitura di Silvestri per Predator?) in un caleidoscopio di riferimenti e richiami che definisce un lavoro quasi teorico sui topoi musicali del filone, un thesaurus di soluzioni stilistiche specifiche - stante inoltre la non circoscrizione del musicista al primo capitolo della saga di Alien, interrogata all’occorrenza anche nei contenuti poi espressi da Horner e Goldenthal.
Se a questo lavoro di referenzialità si aggiunge un impasto sinfonico compatto e non scevro di punte fragorose, seppur non proprio brillante e sostanzialmente votato all’inarticolato sviluppo di marca Remote Control, il rammarico per l’esito complessivo del progetto filmico aumenta. Tyler ne esce in tutti casi dignitosamente e più che in altre sedi l’edizione discografica diviene strumento fondamentale nella valutazione della lavoro musicale, peraltro resocontista delle soluzioni orchestrali e dei giochi citazionistici più sottili persi nel mix finale del lungometraggio. Di certo, poi, la comprensione e l’approdo ai materiali goldsmithiani promuove a pieni voti Tyler se paragonato all’inerme confronto successivo per John Rambo, dove l’adozione del malinconico stendardo melodico forgiato dal compianto compositore è relegata alla stregua di una pallida figurazione in un tracimare di tribalismi ad alto (e facile) impatto, inarginabili perché sottratti all’equilibrio sorvegliato di stilistiche derivative e modus contemporaneo nobilitante la prova per i due “mostri” sacri della science-fiction.


 

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