Changeling

cover_changeling.jpgClint Eastwood
Changeling  (id. - 2008)
Varese Sarabande 03020669342
16 brani – Durata: 41’ 40’’

 

Con Changeling Clint Eastwood guarda in faccia l’orrore, un orrore che assume forme diverse e terribili: lo strazio per la perdita di un figlio, l’omicidio nella sua forma più efferata e insopportabile, la violenza, le ingiustizie, gli abusi, la morte. Lo fa con una semplicità estrema, pulita, senza eccessi lacrimosi né macabri che risulta però incredibilmente dolorosa, ed essendo non solo regista ma anche autore della colonna sonora, Eastwood ha applicato questo principio di limpidezza pura anche alla musica; il “Main Title” introduce da subito il tema principale, una melodia semplicissima, poche note malinconiche, contemplative, calme: c’è una tranquillità nello score di Changeling, così come nel film e nella protagonista Christine Collins, che colpisce e strazia.
La partitura è molto presente nel film, affianca con discrezione e delicatezza le immagini facendosi più marcatamente drammatica e cupa in certi punti (“Looking for Walter/Waiting for Police”; “Arrive at Ranch/Looking for Sanford”, molto teso; “I Won’t Sign”, vibrante di forza e passione) ma mai rabbiosa, e senza perdere quella compostezza quieta che è la cifra distintiva dell’intera pellicola. Non c’è disperazione sconvolta nei brani composti da Clint Eastwood bensì una sofferenza silenziosa, piena di dignità: “I Want My Son Back” non urla il dolore di Christine, e al contempo non lo trattiene, semplicemente lo lascia fluire, consapevole che il dolore non si sconfigge ma nemmeno lo si lascia vincere, semplicemente lo si guarda negli occhi, e lo si accoglie in casa.
Il brano più spaventoso e oscuro è “We Killed Some Kids” che, attraverso l’uso particolare degli strumenti e delle voci, dà l’impressione di condurre chi lo ascolta in un girone infernale, e si precisa in questo senso l’idea di male e di orrore che il film veicola: la disperazione vera non risiede in chi il male lo subisce (come Christine, che sul finale rivendicherà infatti il suo diritto alla speranza eterna) ma in chi lo compie e lo vive in pieno, anche se costretto come il giovanissimo Sanford; sonorità simili tornano anche in “Davey Tells Story” in cui di nuovo si pone l’accento sulle atrocità commesse da Gordon Northcott, benché filtrate dal racconto del ragazzino fuggito che però ha assorbito la follia violenta del killer, maturando paura e sensi di colpa dopo essere riuscito a scappare.
Gli “End Titles” sono invece pacificati, pur non essendo né lieti né rassegnati, e ripropongono di nuovo il tema principale, introdotto da subito nei titoli di testa e presente lungo tutto il film, associato sotto diverse forme ai vari personaggi e alle situazioni che essi si trovano ad affrontare: quelle poche, essenziali note veicolano un senso di tristezza intollerabile pur non recando traccia di rabbia, o di odio. Senza grandiosità, senza bizzarrie, coerente con la ormai proverbiale classicità del suo stile, Clint Eastwood ha dato forma ad uno score di notevole valore, non solo musicale, ma anche umano e morale.


 

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