Grazie Maestro! Ennio Morricone vince l'Oscar per The Hateful Eight

“Mission” compiuta, stavolta sì. A trent’anni dal mancato riconoscimento per la partitura del film di Roland Joffé e a quasi dieci dal premio alla carriera, l’Oscar con cui Ennio Morricone ha trionfato per la partitura di The Hateful Eight fa tutt’uno con la stella n° 2574 a lui dedicata pochi giorni fa sulla leggendaria Walk of Fame di Los Angeles: due eventi che sanciscono il riconoscimento (tardivo) dell’establishment hollywoodiano nei confronti di uno dei massimi artisti del nostro tempo, colmando una lacuna che lo rendeva il solo dei tre “grandi vecchi” della musica per film mondiale (insieme a John Williams, che lo ha applaudito, sostenuto e quasi coccolato per tutta la durata della cerimonia, e al francese Michel Legrand) a non aver ricevuto l’ambìta statuetta.

Ennio Morricone con l'OscarParticolarmente significativo appare poi che il premio sia giunto per uno score come quello per il western postmoderno, estremista e sontuosamente violento di Quentin Tarantino. Si tratta infatti della prima volta in cui il vulcanico regista di Pulp Fiction ha commissionato una partitura originale ad un compositore specializzato, invece di ricorrere al proprio abituale saccheggio di brani (cinemusicali ma non solo) preesistenti, a cominciare da quelli dello stesso Morricone. Ma non solo per questo. Delle tre partiture che caratterizzano quasi simultaneamente la straordinaria terza giovinezza del maestro romano, The Hateful Eight è senza dubbio la più coraggiosa, sperimentale, anticonvenzionale; infatti, se En mai, fais ce qu’il te plaît di Christian Carion e La corrispondenza di Giuseppe Tornatore vibrano – con modalità diverse – di un lirismo estenuato, struggente e crepuscolare, quella per Tarantino è una spavalda, aggressiva (diciamolo: giovanile) dimostrazione di anticonformismo creativo e di attrazione verso l’universo dark, grottesco e borderline del regista: cioè non esattamente quello che ci si aspetterebbe da un compositore di quasi 88 anni. Quasi riallacciandosi allo sperimentalismo d’avanguardia dei propri inizi sotto l’egida del gruppo di improvvisazione Nuova Consonanza, o più probabilmente alle partiture laboratoriali per alcuni B-movies anni ’60 (si pensi a titoli come La corta notte delle bambole di vetro o Gli occhi freddi della paura, per fare solo due esempi), Morricone esplora qui un “lato oscuro” della propria ispirazione che si traduce in sonorità spettrali, in soluzioni ritmiche ipnotiche e ossessive, in un’orchestrazione misteriosa e distorsioni timbriche programmate, tra autocitazioni e quasi sinistre autoparodie, all’insegna di una scrittura prevalentemente atonale e poco conciliante all’ascolto, sottolineando dunque ed anzi enfatizzando l’aspetto horror della storia e della rappresentazione con un ricorso programmato e ragionato ai dettami della più pura avanguardia musicale.
In questo senso l’Oscar conferitogli la notte scorsa è anche interpretabile come un Oscar alla cultura europea in senso lato, ossia a quelle spinte ed a quel linguaggio innovativi e rivoluzionari che anche sul piano musicale hanno caratterizzato tutto il secolo scorso, faticando non poco peraltro a trovare cittadinanza oltreoceano e specialmente nella musica per il cinema: un rinnovamento del quale peraltro – guarda caso – proprio il collega quasi coetaneo e ieri notte suo accanito fan John Williams è stato, anche sotto questo aspetto, uno straordinario testimone e artefice. Se ora Morricone ha raggiunto finalmente anche nel Gotha hollywoodiano il posto che gli spettava con un coronamento che, oltre a premiare il merito specifico, ha anche il valore di una necessaria e non più procrastinabile “riparazione”, non si poteva non pensare la scorsa notte, osservando questi due artisti insieme, alla straordinaria testimonianza di vita e arte che essi rappresentano. Come ai grandi del passato, così oggi a loro va il merito di aver trasformato una pratica, un mestiere nati come supporto ancillare al linguaggio filmico, in una forma d’arte sublime e assoluta, destinata a permanere nel tempo spesso molto oltre l’oggetto di applicazione. Se oggi qui parliamo di “Ottava Arte” è per merito anche loro; ed anche se non si vedono al momento all’orizzonte eredi degni, la loro lezione è ben viva e presente in moltissimi compositori del cinema odierni, che non cercano tanto di imitare quei modelli (inimitabili) quanto di tramandarne il rigore, l’inesauribile curiosità e creatività, la professionalità, in una parola l’etica.
Anche per questo caro Maestro la Sua felicità oggi è anche la nostra. Insieme alla nostra gratitudine.

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