Addio John Barry

foto_john_barry_premiato.jpgAddio John Barry

A 77 anni, stroncato da un infarto e dopo dieci anni di incomprensibile inattività (l’ultimo score fu Enigma, nel 2001)  della quale non si colpevolizzeranno mai abbastanza produttori e registi, si spegne un faro, ci lascia un maestro assoluto della musica per il cinema, e non solo: l’inglese John Barry. L’uomo che inventò il “James Bond sound” (ma non, secondo la ben nota querelle, il “James Bond theme” di Dr.No, 1962, la cui scrittura appartiene a Monty Norman ma la cui sostanza strumentale è tutta di Barry…), e che regalò ai migliori film – undici in tutto - dell’agente 007 alcune situazioni e temi musicali che sono una lezione assoluta di perfezione, stile e intensità (penso a Si vive solo due volte, la scena della morte di Aki, o a Goldfinger, la sequenza dell’avvelenamento di massa dei boss: e cito solo due minuscoli dettagli). Ma Barry è stato anche il compositore che, partendo da una formazione jazzistica e tipicamente pop (si ascoltino le sue primissime partiture “swinging London”), ha sviluppato negli anni una concezione strumentale di straordinaria ariosità, dalle tessiture quasi bruckneriane e tardo romantiche (Nata libera, La mia Africa, entrambi Oscar), i cui temi si caratterizzavano per il decorso amplissimo, e spesso iterato in forma binaria, per il ruolo assegnato in genere a fiati e ottoni, e per l’accorata capacità di creare un “melodismo armonico”, modulato, dall’effetto avvolgente e travolgente.
Musicista d’azione e di riflessione, ha accompagnato spy-stories malinconiche e crepuscolari (il suono metallico e secco di Ipcress, lo struggente valzerino da strada di Quiller Memorandum), saghe western “politiche” e antiretoriche (Balla coi lupi, altro Oscar),  ha giocato con gli stereotipi pop della miglior stagione “free” (Non tutti ce l’hanno), ha creato dal nulla situazioni ossessive quanto semplici (l’ostinato di quattro note e gli arpeggi di Seance on a wet afternoon – Ventimila sterline per Amanda, o tutto il soundtrack di Qualcuno da odiare), è entrato nel cuore della più pura filologia musicale d’epoca (Un leone d’inverno, ennesimo Oscar,  o Maria Stuarda regina di Scozia) o del cinema letterario (La lettera scarlatta), così come del sound metropolitano newyorkese (chi dimenticherà mai il tema triste e discendente di Un uomo da marciapiede?); ha toccato toni di un lirismo leggero e nello stesso tempo drammatico per Il giorno della locusta, Peggy Sue si è sposata,  gli splendidi – musicalmente – Ovunque nel tempo, Fino a settembre e Scherzi del cuore, dimostrandosi come pochi altri compositore della memoria e del disincanto, del sentimento ma non della stucchevolezza.
Fluido, ariosissimo nell’orchestrazione e nella direzione, che amava molto curare di persona (di qui anche alcuni suoi album di musica “pura” come l’indimenticabile e magistrale “Beyondness of things”, registrato per la London nel ’99 con la English Chamber Orchestra), Barry è stato anche attento e raffinato musicista d’azione (lo stacco di accordi tech quasi belluino di Doppio taglio) persino in circostanze imbarazzanti come il meeting Sharon Stone-Stallone di Lo specialista, tra le sue fatiche più recenti e più originali per fecondità leitmotivica e pathos interiore.
Se gli anni ’60 inglesi rimangono, grazie anche al feeling con alcuni registi (si pensi a Bryan Forbes, il suo The ghost whisperer contiene pagine barryane da brividi, come un misterioso adagio per arpa e archi dalle armonie imprendibili), la firma più autentica del suo operato, John Barry è stato nondimeno per quarant’anni un compositore fondamentale della scena europea, un formidabile miscelatore di generi, un malinconico e signorile evocatore di paesaggi sonori, un esploratore di territori orchestrali, un brillante e inesauribile alchimista di temi. Un genio, diciamolo senza timori. E consapevoli di quanto ci mancherà!   

 

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