La corrispondenza

cover la corrispondenza newEnnio Morricone
La corrispondenza (2016)
Warner Chappell 0825646485338
16 brani – Durata: 65’14”


 
Con La corrispondenza la collaborazione tra Ennio Morricone e Giuseppe Tornatore tocca quota undici, per limitarsi ai soli lungometraggi; se poi si prendessero in considerazione gli spot girati dal regista di Bagheria (per Sky Cinema, Dolce & Gabbana, San Pellegrino Calze, Mulino Bianco etc.), spesso accompagnati da musica originale, il numero raddoppierebbe tranquillamente. Un sodalizio iniziato nel 1988 con Nuovo Cinema Paradiso (il precedente Il camorrista era stato musicato da Nicola Piovani) su proposta di Franco Cristaldi, come il compositore ricorda nella sua autobiografia (Inseguendo quel suono, Milano, Mondadori 2016, pp. 124-125) e che si affianca ad altre collaborazioni continuative e prestigiose con Leone, Bolognini, Montaldo, Pasolini, Petri, Faenza (quest’ultima interrotta purtroppo nel 1995 dopo Sostiene Pereira).

Un rapporto di grande consonanza professionale non meno che di amicizia ed empatia (si legga la testimonianza del regista nella succitata autobiografia alle pp. 427-444), consacrato da un documentario che Tornatore sta girando proprio sul suo alter ego musicale e che dovrebbe essere pronto entro novembre 2018 in concomitanza con i 90 anni del compositore (https://www.screendaily.com/news/more-details-revealed-for-tornatores-ennio-morricone-doc-exclusive/5123482.article).
Il cinema del regista siciliano ha sviluppato e alternato nel tempo due direttive: quella isolana, mediterranea e solare (Nuovo Cinema Paradiso, L’uomo delle stelle, Malena, Baaria); l’altra più europea anzi mitteleuropea (rimandi a Kafka, location a Trieste, a Praga) iniziata con Una pura formalità, proseguita con La sconosciuta e La migliore offerta. La prima pennellata di cromatismi accesi, emotiva e passionale; la seconda tinta appena di algidi lucori, penombre inquiete, oscurità perturbanti corrispettivo di solitudini e crudeltà variamente perpetrate. La musica ha assecondato nel tempo le due tendenze: l’intimismo nostalgico e “caldo” di Nuovo Cinema Paradiso, il lirismo sospeso de L’uomo delle stelle (voce di una Sicilia arcana ed arcaica, estranea a tempi e spazi definiti), l’iperbole grottesca ma anche l’estasi contemplativa in Malena, l’epica rovesciata di Baaria; per contro, la musica ansiogena di Una pura formalità, i cupi “esercizi di stile” de La sconosciuta, le rarefazioni melodico-timbriche de La migliore offerta; ma anche, ad articolare il quadro, certa enfasi magniloquente ne La leggenda del pianista sull’oceano, nonché gli arrangiamenti di musica pregressa ancora ne La leggenda e in Malena (autentiche ri-appropriazioni d’autore). Il tutto sempre all’insegna di quella “evoluzione dei processi” della quale parla il regista nella ricordata testimonianza.
Ne La corrispondenza Tornatore prosegue la poliedrica esplorazione delle tortuose strade del sentimento amoroso. Il suo è da sempre un discorrere di sentimenti, di amori (uomo/donna, madre/figlia, compreso quello per il cinema, metafora peraltro dell’eros e sintesi di ogni altro amore: la sequenza dei baci in Nuovo Cinema Paradiso). Amore come attesa, contemplazione, rinuncia, scacco; amore come dolore (riprendendo il titolo di una composizione morriconiana degli anni Settanta). Anche quest’ultima opera è, a suo modo, un “film d’amore” nella forma di una “corrispondenza” postuma ed unilaterale, versione aggiornata dei settecenteschi romans épistolaires ad un presente ipertecnologico ritratto con geometrico rigore. Sms, e-mail e filmati pervengono alla protagonista femminile da un Altrove remoto come quello delle stelle morte da milioni di anni e che pure continuano ad inviarci la loro immutata luce.
Regista e compositore evitano nella narrazione filmica e nella metanarrazione musicale le trappole del mélo. Dunque niente saccarina e nessuna accentuazione patetica. La partitura si segnala in primis per la sua sobrietà (anche se a qualcuno ha parlato di “implacabile musica straziante di sottofondo”: Paola Casella, http://www.mymovies.it/film/2015/lacorrispondenza/), ovvero perfetto esempio di “espressione implicita” (per riprendere la dizione di Massimo Mila). Altro aspetto notabile, la policromia sonora che si traduce in uno spartito eclettico: minimalismo, cantabilità, momenti tesi e di azione, pagine pianistiche, suoni sintetici mescolati all’orchestra, impiego (insolito in Morricone) della chitarra elettrica. In definitiva, una score pluritematica ed anche eterogenea, apparentemente priva di un baricentro definito, in realtà fedele interprete dei diversi momenti e toni della vicenda.
Il brano d’apertura, “La casa sul lago”, è una composizione minimalista di circa 7’, per pianoforte ed archi. Usiamo il termine con una certa libertà, Morricone non può essere definito compositore minimalista (né, aggiungiamo, incasellato in qualsivoglia etichetta); nondimeno taluni suoi lavori possono parzialmente rientrare nella categoria. Qui abbiamo un organico ridotto ed un fraseggio indefinito del pianoforte, dapprima solo, in seguito accompagnato da archi intermittenti. Il tutto produce un effetto di evanescenza e volatilità, la musica non si lascia afferrare, resta perennemente sospesa. Invero Morricone è riconosciuto maestro di climi malcerti ed atmosfere irrisolte e ciò spiega il fascino di tante sue pagine, perenne imminenza d’una rivelazione che non si produce. Nel caso specifico, siamo di fronte ad una epoché del suono che va oltre l’occasione contingente (la “casa sul lago” è nel film il buen retiro lacustre del professor Ed Phoerum, un lago d’Orta spennellato da infinite sfumature grigioazzurre): il brano gioca sulla “durata”, il tempo interiore del riposo scorre come un eterno ritorno dell’uguale, il giro delle note si itera all’infinito, l’ascoltatore è avvolto (ed ammaliato) da placide onde di suono appena increspate da un segreto impalpabile pathos: i replicati segmenti melodici, dapprima neutri, approdano ad una provvisoria conclusione velatamente malinconica – a conferma che la musica di Morricone non è mai asettica, la volontà comunicativa risulta presente anche là dove il suono si asciuga ed assottiglia.
Il secondo pezzo impegna per 13 minuti abbondanti, una provocazione nell’era dell’ascolto frettoloso e disattento. Anche in questo caso si potrebbe scomodare il minimalismo, giacché trattasi ancora di una linea ripresa sostanzialmente identica nell’inventio melodica, invece sottoposta ad aumentazioni ed arricchimenti timbrici e strumentali. Il titolo (“Una stella, miliardi di stelle”) trae in inganno, ci si attenderebbe una musica esteriormente “stellare”. Siamo per contro dinanzi ad una composizione intimistica, raccolta e pudica; una nenia avvolgente, ammantata di sobria nostalgia ed insieme un poco ossessiva come sanno essere i ricordi, interprete della valenza metaforico-esistenziale assunta dalla luce siderea nella vicenda. I ricordi, appunto. Mantenuti “in vita” tramite una geniale programmazione di filmati e messaggi da inviare a scadenze prefissate e puntualmente ricevuti dall’amata/amante che ha appreso la notizia del decesso del professore e tuttavia continua a ricevere da lui segnali provenienti da un misterioso Aldilà. Il pianoforte solo introduce una sorta di cantilena, note sospese al grado zero, significanti autonomi; la chitarra elettrica subentra inattesa in controcanto, dapprima intermittente in seguito continua. Abbiamo qui l’anticipo e la sintesi della cifra timbrica e dell’organico dell’intera partitura, che vede dominanti pianoforte, chitarra elettrica ed orchestra d’archi, ovvero tradizione e modernità, suono naturale e suono acusticamente manipolato. Da sempre a proprio agio nel far coesistere i contrari (rubiamo l’espressione a Sergio Miceli, il più acuto esegeta dell’opera del nostro), Morricone propone qui un nuovo accostamento, una convivenza tra il più canonico degli strumenti e sonorità rock – certamente reinterpretate e magari addomesticate. Tale prossimità di suono naturale ed elettronico ritroviamo nell’eponimo “La corrispondenza” (apertura sospesa affidata al synt, sezione centrale con trilli del pianoforte su sfondo d’archi, ripresa dell’inizio a saldare il circolo), in “Il ritorno di una stella” (chitarra elettrica, synt e pianoforte a segnare un clima soffusamente lirico), nella breve traccia “Il cane simpatico”, momento di sospensione affettiva delegato al synt e al pianoforte. Accostamenti di per sé non così insoliti, infrequenti in Morricone. Destano stupore poi due composizioni ove l’organico è tutto sintetizzatori e chitarra elettrica. Alludiamo a “Improvvisazione in sol” e alla traccia “Disperata chitarra” che conclude il CD. Nella prima gli arpeggi della chitarra distesi su di una base compatta e levigata fornita dal sintetizzatore che mima l’orchestra d’archi richiamano sonorità pinkfloydiane, nello specifico l’incipit di “I Wish You Were Here” (1975) che nondimeno allora apparve morriconiano (se non nelle scelte timbriche, di sicuro nella melodia e nella protratta sospensione): parafrasando Borges, si potrebbe dire che un musicista crea i suoi precursori. Al rock (?) sognante e siderale di “Improvvisazione” subentra quello disturbante di “Disperata chitarra”: brano quest’ultimo che spiazza già nel titolo le attese, assolutamente antiromantico, di sconcertante desolazione, affidato ad accordi un poco anodini della chitarra elettrica ondeggianti su un tappeto sintetico, uniforme ed incolore. Una scelta, a ben udire, assai poco morriconiana e che potrebbe risultare indigesta agli estimatori più ortodossi; indizio peraltro di una costante volontà di reinventarsi e rimettersi in gioco (magari in seguito a proposte del regista, a stimoli offerti dalla vicenda, da elementi del contesto che fungono da “occasioni” – in senso montaliano - per nuovi centrifughi percorsi).
La sezione “moderna” della partitura è specularmente controbilanciata da due pezzi per pianoforte solo eseguiti con la consueta perizia e finezza da Gilda Buttà (da tempo “la pianista di Morricone”, Musa che disvela imprevedute significazioni da quella musica indefinita nella quale le note perdono sovente i loro precisi contorni e si dilatano oltre i limiti del pentagramma). “Una storia nella storia” è pagina pianistica di classico nitore e rigore, evocatrice di salotti buoni gozzaniani, solo in apparenza accademica. “Invenzione breve”, meno legato alla tradizione, abbozza attacchi melodici di subito troncati ed origina una cantabilità franta e instabile. Due splendidi pezzi davvero, che si affiancano a tante precedenti scritture per piano solo, per il cinema e non (a partire dal lontano “Invenzione, canone e ricercare” per pianoforte del 1956).    
Non mancano in tanta cornucopia i momenti più espressamente morriconiani. “Due camere in hotel” è un’elegia stemperata di archi estenuati su nostalgici accordi. “L’infinito spazio” apre una parentesi di intenso lirismo frammentato dalle pause degli archi (Morricone è da sempre poeta dei silenzi) le cui note protratte e monche evocano insondabili vuoti interiori, remote distanze amplificate dai pizzicati dei contrabbassi che intervengono in funzione drammaturgica. “Parabola astratta” offre suoni ancora una volta sfuggenti, sempre affidati agli archi ed arricchiti dall’apporto del pianoforte. In “Calco” troviamo violino e piano in dialogo, poi cessa il violino e il piano domina con i suoi arpeggi che distillano gocce d’impalpabile serenità. Pur sperimentando ed innovando, il maestro non tradisce la sua vena lirica autentica e regala squarci intensamente cantabili.
Completano la score due momenti tensivi. In “Veloce corsa” un fraseggio replicato degli archi induce una suspense statica, un’atmosfera preparatoria snervante. Con “Stuntgirl” (suggerito dalla professione di stuntwoman della protagonista femminile) il compositore si concede il lusso dell’action music e concepisce due minuti di superbo crescendo. All’esordio degli archi sospesi in progressiva intensificazione succede una fase dinamica, poi cambia ancora (martellato del pianoforte e concitati glissandi) per concludere bruscamente con gli archi tesi allo spasimo. In neppure tre minuti un caleidoscopio di invenzioni, di trapassi agili, rapidi, improvvisi e spiazzanti. Dispiace appunto solo la brevità, ché v’era materiale per una composizione estesa, mentre ne abbiamo solo l’abbozzo. Rimane il fatto che, pur maestro di lirismo, Morricone offre di sé la miglior parte quando il dramma si fa movimento, l’adrenalina s’innalza, azione e tensione sfiorano il parossismo.
Recensendo La corrispondenza proprio su queste colonne nel gennaio 2016 (http://www.colonnesonore.net/recensioni/cinema/4183-la-corrispondenza.html) il sempre acuto Roberto Pugliese riteneva la partitura scritta per il film di Tornatore meno inventiva rispetto a The Hateful Eight e a En mai, fais ce qu’il te plaît all’incirca dello stesso periodo 2015-2016: meno sperimentale e non pervasa da un’idea melodica forte. Di sicuro è un lavoro meno radicale e disturbante della musica scritta per Tarantino, e meno caratterizzato in senso melodico rispetto a En mai… (non per niente si è parlato di minimalismo, da intendersi anche come smorzamento dei toni). Tuttavia possiede una cifra identitaria a suo modo forte: la pluralità tematica e timbrica, gli accostamenti d’organico insoliti e arditi (quasi un laboratorio sperimentale) fanno de La corrispondenza un’opera che non passa inosservata, un poco eccentrica e che coglie talora di sorpresa l’ascoltatore, per lo più inteso a ciò che già conosce. Invece - a quasi novant’anni - Morricone non cessa di stupire ed ogni volta si riepiloga, rielabora e rinnova: continua ad inseguire quel suono.

Stampa