Italiafilmfest - prima edizione

Dal 12 al 17 gennaio, la prima edizione dell'ItaliaFilmFest
Per una settimana, Bari “capitale” del cinema italiano
Film e seminari di grande prestigio aperti al pubblico

sala conferenze del Festival
Difficile fare già delle valutazioni obiettive, l’esperienza è ancora calda, ma di sicuro si sta parlando di un grande successo, e non solo di pubblico; la mia città, per quanto attiva nell'organizzazione e ricezione di grandi eventi, non è affatto abituata a sentirsi, anche solo per una settimana, “capitale” del cinema italiano. Invece è stato proprio così. Una settimana indimenticabile per un festival che nasce “adulto”; niente di tutto ciò era mai stato organizzato nel capoluogo pugliese, se non un’altra manifestazione di successo, vent’anni fa, ovvero l’edizione 1988 di “Europacinema”. Guarda caso, entrambe sotto la meticolosa direzione del barese Felice Laudadio, che, tra le altre cose, è direttore artistico e ideatore della Casa del Cinema di Villa Borghese a Roma; questa volta, per la prima edizione di “ItaliaFilmFest - Per il cinema italiano” è stato fondamentale il contributo organizzativo della Apulia Film Commission, organismo che in due anni di vita si è imposto come realtà che sta facendo la differenza in una regione dalle grandi ambizioni cinematografiche. I numerosi seminari proposti nel calendario degli eventi sono stati tenuti da professionisti del settore cinematografico, che si sono messi a disposizione del pubblico per l’intera settimana. Purtroppo nessuno di questi workshop è stato dedicato alle colonne sonore. Ciononostante, questo non mi ha impedito di tracciare una linea “musicale” del festival, che, in merito, ha riservato non poche sorprese. Ho scelto così di seguire il seminario di sceneggiatura “Scrivere il cinema” tenuto da Giorgio Arlorio, la cui filmografia conta collaborazioni che vanno da Bolognini a Lizzani, da Corbucci a Pontecorvo (e vale la pena di citare il film Queimada).Ivan Iusco, Giorgio Arlorio,  Ugo Gregoretti Arlorio è un convinto sostenitore di un semplice ed efficace metodo di lavoro, non sempre applicato, che prevede che un film, a partire dal soggetto, venga cresciuto contemporaneamente da tutti i collaboratori, i quali devono da subito contribuire ad esso ognuno con la propria competenza; è in questo modo che sceneggiatori, costumisti, scenografi, direttori della fotografia e non ultimi i musicisti possono aiutarsi a vicenda, anzichè lavorare uno dopo l’altro e a compartimenti stagni. In tal senso Arlorio ha portato ad esempio le parole del compositore Gabriele Rampino, autore delle musiche dell’ultimo film di Edoardo Winspeare Galantuomini in concorso al festival, parole pronunziate in sala in occasione della prima proiezione. Infatti il musicista, alla domanda su come si fosse comportato dopo la commissione di questa partitura, ha affermato che egli aveva scritto e registrato tutte le musiche ben prima dell’inizio delle riprese, avvalendosi, da un lato, delle suggestioni della sceneggiatura ancora in corso di completamento, dall’altro, delle continue conversazioni con il regista. Diversamente, la sceneggiatura “impone” la partitura, nel senso che il contributo del compositore viene richiesto “a conti fatti”, senza possibilità di revisione, ma “a partire da” quanto scritto. Iusco,Tuzza, Arlorio, Gregoretti A ulteriore riprova di tale convinzione, nell’ultimo giorno del suo seminario Arlorio ha invitato il compositore barese Ivan Iusco, (tra gli altri, Lacapagira e Mio cognato di Piva, Ho voglia di te di Prieto, L’amore ritorna di Rubini). Anche il musicista ha potuto confermare la bontà del metodo del “far nascere tutto insieme”, e di quanto siano importanti e proficui i suggerimenti reciproci di musicista e sceneggiatore, tanto da arrivare a mettere a confronto partitura e sceneggiatura. Non è importante che il musicista presenti subito un’opera completa, anche semplici note, piccole frasi, cambi di accordi, possono essere altamente evocativi, e costituire preziosi suggerimenti per sceneggiatori, costumisti, scenografi e così via. Ci sono stati casi, come nel rapporto tra Pontecorvo e Morricone proprio per il film Queimada, in cui la musica ha guidato la sceneggiatura, casi in cui la sceneggiatura è nata dalla suggestione di alcune note musicali, o brani nati da elementi di sceneggiatura. Conferma il tutto Iusco, il quale dall’evoluzione delle pagine scritte trae sempre armonie e colori che finiscono nella sua musica, tanto da autodefinirsi un “trascrittore” della sceneggiatura. C’è ancora da considerare un ultimo aspetto che ha a che fare con quella ulteriore scrittura di un film che è il montaggio, fase in cui la musica ha un ruolo determinante nel dare coerenza, respiro e ritmo alla lineare giustapposizione di scene. Arlorio cita un grande montatore del passato, Mario Serandrei (maestro dello stesso Arlorio all’epoca della sua esperienza come assistente montatore), che aveva l’abitudine di montare a stretto e continuo contatto con un suo amico musicista, chiamato come consulente. Ma, avverte Iusco, questa metodologia di lavoro, così proficua e divertente, non viene quasi mai applicata; fatte salve le sue esperienze di assoluta libertà compositiva per i film di Piva, e di grande minuziosità per quello di Rubini, l’abitudine della macchina produttiva di altri film in cui Iusco ha lavorato, ha imposto metodi più seriali, nette divisioni di competenze fino allo studio a tavolino delle classifiche discografiche per la scelta del brano che maggiormente potesse “tirare” e “attirare” gli spettatori al botteghino; in qualche modo il “già sentito” rassicura gli animi, e protegge i fruitori delle sale (chiamiamoli anche consumatori) dall’inutile rischio di imparare qualcosa di nuovo. Tra le numorose proiezioni di anteprime, retrospettive e film in concorso, ce ne è stata una che era imperdibile: Il cappello di paglia di Firenze, opera di successo del 1955 di Nino Rota, basata su una farsa del 1851 di Eugène Labiche e Marc Michel; la proiezione riguardava la versione televisiva del 1973 diretta da Ugo Gregoretti. Proprio questi, nella presentazione dell’opera prima della proiezione in sala, ha ricordato quanto in quel periodo la Rai fosse attenta a questo genere di produzioni, rese possibili anche dalla possibilità di girare in playback, ovvero senza che gli attori dovessero cantare davanti alla macchina da presa, cosa che li faceva muovere liberamente sul set.  Ospite della presentazione anche il m° Nicola Scardicchio, compositore e direttore d’orchestra, nonchè allievo, discepolo e studioso di Nino Rota. Dopo averne sottolineato la sua straordinaria versatilità, grazie alla quale riusciva a muoversi agevolmente tra i cromatismi wagneriani e la “pappa col pomodoro”, Scardicchio ha ricordato un simpatico aneddoto: quando il compositore romano vinse l’Oscar nel 1975, egli dovette indicare un indirizzo cui far spedire la statuetta; non fidandosi del custode del conservatorio, la fece spedire all’indirizzo di casa di Scardicchio, dove vi rimase impacchettata per settimane. Quando finalmente fu portata in conservatorio, Rota, impegnato com’era, non l’apri nemmeno e soggiornò sulla sua scrivania per altro tempo, ma sempre chiusa nel suo cartone. Dopo una velocissima, a tratti faticosa ma sempre eccitante settimana, vissuta nella comoda e nuovissima multisala “Galleria” di Bari che ospitva tutti film in concorso (visionati anche dal sottoscritto come facente orgogliosamente parte della giuria lungometraggi), si è giunti alla serata conclusiva dell’evento, ricca di musica, mondanità, premi e tributi a grandi cineasti del passato. La fa da padrone il film Il divo, che vince numerosi premi tra cui quello per la migliore colonna sonora, composta da Teho Teardo, che riceve il “Ramoscello d’Ulivo” di argento direttamente dalle mani del maestro Ennio Morricone; questi si è complimentato con il giovane collega, sottolineando la difficoltà di musicare un film di quel tipo, difficoltà che si scioglie sì grazie ai suggerimenti registici, ma che alla fine lascia sempre e comunque al compositore il solitario compito di grattare in se stesso per trovare quegli elementi preziosi che ad un certo punto saltano alle orecchie, e che diventano la guida per la composizione della partitura. L’intera serata, presentata simpaticamente da Veronica Pivetti e Ugo Gregoretti, è stata incorniciata dalla musica di Nino Rota. Davanti ad una platea che contava ospiti come Michele Placido (presidente della giuria lungometraggi), Mario Monicelli, Domenico Procacci, il già citato Ennio Morricone e consorte, Daniele Vicari, Luca Lucini, Gianrico Carofiglio, Paolo Sorrentino (solo per citarne alcuni), l’orchestra del Collegium Musicum diretta dal maestro Rino Marrone ha eseguito le pagine più emozionanti delle partiture del compositore romano, ma barese di adozione, in quanto direttore per tanti anni del conservatorio di Bari “Niccolò Piccinni”. Dalla suite di La strada, al tema de I Vitelloni, da 8 e ½ ad Amarcord, dai valzer de Il gattopardo fino al tributo al maestro Morricone, visibilmente commosso in sala, al quale è stato dedicato il tema di Deborah da C’era una volta in America. Una serata indimenticabile nella quale già si è affermata la volontà di replicare il prossimo anno per l’edizione n° 2, tra il 23 e il 30 gennaio 2010; una magia conclusasi con un grande buffet in cui mondanità e ospiti si sono armoniosamente mescolati in quadretti surreali, come quando tra una tartina e l’altra, tra un bicchiere e l’altro, ti passa accanto un pezzo del cinema italiano o un premio Oscar che ti chiede “mi scusi, dove ha preso il prosecco?”.  Una nota personale che non riesco a trattenere: è la prima volta, da quando frequento assiduamente Roma per i miei impegni professionali in questo settore, che anzichè tornare a Bari arricchito, riparto già arricchito, ma stavolta dalla mia città verso la Capitale.



Per informazioni più esaustive, e per un bello e ampio reportage fotografico segnalo il sito ufficiale della manifestazione:
www.perilcinemaitaliano.it

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