Berlinale 2009: Alcune considerazioni a latere!

REPORTAGE DALLA BERLINALE 2009: alcune considerazioni a latere.berlinale 2009
Vedremo mai tutti i film che passano al Festival?

Aspettando l’imminente Festival di Cannes, mi sembra opportuno fare una riflessione a partire dalla scorsa edizione della Berlinale. Si tratta di un fenomeno che coinvolge un numero sempre più nutrito di film, figlio diretto dei festival, strettamente imparentato con la distribuzione e palesemente intessuto di mistero, che fa sì che all’effetto stupore derivante dalla loro visione, vale a dire il positivo riscontro di critica e pubblico, segua un inesorabile effetto triangolo delle Bermude.

Il punto è che il futuro del cinema è legato con le nuove tecnologie distributive che stanno trasformando sia il formato sia le modalità di fruizione. Che si tratti di internet, home video, pay-tv, iniziative quali SelfCinema-Adopt-a-movie e affini (Movielink, Cinemanow, Transmission Films), le frontiere distributive si spostano, eludono la sala e arrivano direttamente in home video, passando, magari, per l’edicola (Alex Infascelli col suo H2Odio docet) e ottenendo comunque il primo e più importante scopo di una pellicola, la sua visione. Tutto ha inizio con i festival, la cui raison d'être è quella di fare da rampa di lancio ai film presentati. Che si parli di Cannes, Venezia, Torino, San Sebastián, Sundance o London Film Festival, o, appunto, Berlino non importa. Anzi, ci sono film che paiono aver vita solo all’interno del circuito festivaliero. Il fenomeno colpisce tanto il talentuoso regista esordiente, quanto i grandi metteur en scène.. Nemmeno i premi accumulati, o il tema talvolta scottante della pellicola, valgono per evitare tale effetto: è il caso di Hunger dell’esordiente Steve McQueen, film incentrato sulle ultime sei settimane di vita di Bobby Sands, attivista nordirlandese che morì nel 1981, in seguito ad uno sciopero della fame, che dopo aver vinto il premio Caméra d'Or al Cannes Film Festival 2008, ha percorso la via dei festival più noti compreso il nostrano Torino Film Festival, e ad oggi non ancora uscito in sala. Anche il talento o la notorietà degli interpreti sono impotenti di fronte al fenomeno desaparecidos; a John Maybury e al suo The Edge Of Love (anch’esso giunto a Torino dopo il consueto tour di festival) avere due it-girl come Keira Knightley e Sienna Miller (nominata come miglior attrice non protagonista per questa interpretazione al BFI 2008) non ne ha cambiato la sorte. Nemmeno il pregio dello stesso produttore fa la differenza (come dimostra Johnny Mad Dog di Jean-Stéphane Sauvaire prodotto da Mathieu Kassovitz, Premio della Speranza della sezione Un certain regard al Festival di Cannes 2008). I documentari? Da Roman Polanski: Wanted and Desired di Marina Zenovich (vincitore del National Board of Review of Motion Pictures Awards 2008, presentato a Cannes e poi a Torino), a Derek di Isaac Julien (Berlinale 2008), passando per Patti Smith: Dream of Life di Steven Sebring (Berlinale 2008, vincitore del Best Documentary al Durban e al Sundance Film Festival), e Man on Wire di James Marsh (Oscar 2009 come miglior documentario per cui si vocifera di una uscita in autunno DVD), sono in standby anche loro. A questo punto viene da chiedersi: quando vedremo, se mai li vedremo, i film presentati a Berlino, e come arriveranno a noi?  Nell’attesa di scoprire il futuro, diamo una piccola infarinatura di ciò che si è visto lungo la nutrita e sempre ottima kermesse tedesca.the internationalFilm di apertura, The International, che per fortuna è arrivato in fretta nelle nostre sale, ma si sa, si tratta di una pellicola americana dal successo annunciato. Grazie ai due interpreti, Clive Owen e Naomi Watts, alle sue location, (The International parte a Berlino, si sposta in Francia e Italia, poi in Lussemburgo, poi negli Stati Uniti e infine in Turchia) e al suo ritmo serrato. E’ stata poi la volta di Nord, direttamente dalla Norvegia, un esempio di puro cinema. Il film diretto da Rune Denstad Langlo - esordiente nel lungometraggio di finzione – è in sostanza un road movie sui generis che segue il protagonista Jomar da una sperduta stazione sciistica nei pressi di Trondheim fino ad un’isolata valle nei pressi di Narvik, dove deve ritrovare un figlio mai conosciuto e una donna che l’aveva lasciato. Se mai arriverà, sono sicura che i cinema d’essai faranno il possibile per proiettarlo. Parliamo ora di Human Zoo, film diretto da Rie Rasmussen (lo so, il nome è davvero difficile da tenere a mente, ma i maschietti la ricorderanno come donna con cui amoreggia Rebecca Romijn nelle prime scene di Femme Fatale). Rie passa dietro la macchina da presa grazie a Besson, dopo alcune esperienze come regista di corti e come fotografa. Human Zoo è in tutto e per tutto un film di Rie Rasmussen: che non solo l’ha diretto e interpretato, ma anche sceneggiato e montato. I temi del film della Rasmussen sono accattivanti e forse troppi. Il risultato? Un film certo interessante ma pretenzioso. Anche in questo caso, chissà se mai arriverà sui nostri schermi. E’ arrivato e ha trionfato , grazie soprattutto alla sua protagonista, Kate Winslet, premio Oscar proprio per questa interpretazione. Sto parlando di The Reader, sostanzialmente si tratta di una relazione sessuale (quella della protagonista con un amante piuttosto giovane), della conseguente separazione, e poi del colpo di scena. Il tutto sullo sfondo della Berlino del  dopoguerra. Passiamo a Lille Soldat film dagli interessanti snodi narrativi, figlio diretto della scuola di cinema scandinava, spesso incentrati su drammi socio-familiari. Anche in questo caso se mai arriverà, passerà, si spera, nei cineclub. E’ ora il turno di In the Electric Mist, film su un poliziotto “orso” che, come spesso accade, nasconde un animo gentile, e che indaga sui sadici omicidi di alcune giovani prostitute. Un’indagine che coinvolge un suo amico d’infanzia diventato boss della malavita e un giovane divo. Si tratta di un film davvero interessante, merito del regista, Bertrand Tavernier, che muove sapientemente il suo interprete, Tommy Lee Jones. Un piccolo gioiello che vedremo mai? Abbiamo invece qualche speranza di vedere Pedro diretto dal giovane Nick Oceano e sceneggiato da quel Dustin Lance Black (autore dello script di Milk), magari grazie ad un circuito alternativo. Pedro prende le mosse dal 1994, quando MTV sceglieva come protagonista di The Real World, un 22enne non solo omosessuale, ma malato di AIDS, tale Pedro Zamora, giovane attivista che sfruttò la partecipazione allo show per sensibilizzare il pubblico sulle tematiche che gli stavano a cuore. Durante e dopo le riprese dello show, le condizioni di Pedro si aggravarono, e morì l’11 novembre del 1994, proprio il giorno dopo la messa in onda dell’ultima puntata dello show di cui era stato protagonista. Protagonista della pellicola è dunque la vera storia di Pedro. Poche parole invece per Mammoth, diretto dallo svedese Lukas Moodysson, pellicola farcita di temi triti e ritriti (famiglia, figli, realtà diversa) che non fanno altro che annoiare. In questo caso, quindi, che arrivi o no sui nostri schermi poco importa. Ben diversa la sorte di Rage, film di Sally Potter, che si snoda tutto attraverso le interviste (ad una stilista, un modella, una top model ma transessuale interpretata da Jude Law, e ancora ad una critica di moda, ad un pr, un fotografo, la direttrice della maison di un teenager, etc). In una parola si tratta di un’opera sperimentale, che ha a come soggetto il mondo della moda. Davvero indovinato lo stile, e la scelta di far procedere il film per monologhi che si reggono tutti su interpretazioni eccezionali: Judi Dench, Jude Law/Minx (che utilizza un accento russo), Steve Buscemi, Simon Abkarian. Cosa dire…bisogna solo sperare che passi nelle nostre sale o che arrivi in DVD. Interessante anche The Private Lives of Pippa Lee, un film semplice che racconta di una donna, Pippa Lee, moglie e casalinga (semi) perfetta, sonnambula e attratta dal figlio 35enne di una amica. Alla regia c’è un’altra donna, Rebecca Miller, dalla scrittura e dalla regia impeccabili, ma forse, nulla più.
cheriPassiamo a The Messenger film di Oren Moverman; protagonisti due militari ambasciatori di “cattive notizie” per le persone alla cui porta bussano. Uno è Will (Ben Foster), un giovane appena tornato dall’Iraq dopo un’azione eroica che gli ha causato ferite e regalato la fama di eroe. L’altro è Tony (Woody Harrelson), più anziano, apparentemente cinico smaliziato. Will e Tony sono diversi, ma entrambi duri per deformazione professionale, giacché il prontuario militare vuole che la notizia del decesso di un militare sia data nella maniera più fredda possibile. Di fronte alle reazioni di mogli, padri, madri, la scorza di Will inizia rapidamente ad intaccarsi, al punto da stringere un legame particolare con una neo-vedova (Samantha Morton). Davvero interessante il ribaltamento di punto di vista fulcro della trama. Di solito, infatti, non ci si preoccupa della famiglia a cui arriva la fausta notizia e non ci si occupa dei cupi messaggeri? Cosa dire, secondo voi lo vedremo mai? Passiamo oltre, è il turno di Alle Anderen, film di Maren Ade, ambientato in una villa in Sardegna. Al centro della trama troviamo una giovane coppia tedesca in vacanza che mira alla tranquillità ma che invece virerà verso un confronto, che porterà i due a smascherare i punti deboli del carattere e del rapporto. Semplificando potremmo dire che si tratta di uno psicodramma reso attraverso la quotidianità. Il prossimo film, invece, Chéri (che prende il titolo dall’omonimo romanzo di Colette e dal nomignolo del giovane protagonista) di Stephen Frears, ha già una distribuzione italiana. Se amate l’epoca della Belle Epoque (perdonate il gioco di parole) sarete incuriositi da questa storia d’amore “proibita”, tra una cortigiana matura (Michelle Pfeiffer) e un 19enne. Un amore travagliato e dove a farla da padrone sono i dialoghi serrati, le battute ironiche e taglienti, certe concessioni ai sentimenti e al sentimentalismo. E’ ora la volta di Happy Tears, film di Mitchell Lichtenstein. La trama: Jayne (Parker) si trova costretta, per andare avanti, a riconsiderare un passato idealizzato nel corso di un ritorno a casa dal padre affetto da demenza, nel quale ritroverà anche la sorella che per anni gli aveva indorato la pillola sulle verità della sua famiglia. In una parola, un film non del tutto riuscito, forse per colpa degli stereotipi a cui Frears ha fatto ricorso. Proseguiamo con My One and Only di Richard Loncraine, film che si basa su eventi realmente avvenuti all’allora adolescente George Hamilton (qui interpretato da Logan Lerman) nel corso dell’estate del 1952. Quando sua madre (Renée Zellweger), una donna capricciosa e distratta, scoprì il marito a letto con un’altra e prese armi, figli e bagagli e lasciò New York: fu l’inizio di una piccola Odissea che portò George, sua madre e suo fratello attraverso gli States, fino ad approdare a Los Angeles dove, quasi per caso, Hamilton diede il via alla sua carriera cinematografica.
il canto di palomaPurtroppo però My One and Only ha un andamento piuttosto monotonale, nonostante il cast che sulla carta prometteva di funzionare. Bello invece An Education, film incentrato sulla sua giovane protagonista, la 17enne Jenny e il 30enne David. Il merito della riuscita risiede senza dubbio nella sceneggiatura di Nick Horby, che racconta di questioni delicate ed importanti utilizzando un tono lieve che gioca a favore dell’umanità dei protagonisti. Buona l’interpretazione della protagonista Carey Mullingan, ben supportata da Alfred Molina, Rosamund Pike e il David di Peter Sarsgaard. Un cenno alla regia a cura di Lone Scherfig, che non sembra in grado di valorizzare lo script. Ci avviciniamo alla conclusione, e lo facciamo accennando a due film che sono già passati nei nostri cinema. Si tratta de La Pantera Rosa 2, retto come sempre sulle gaffes dell’Ispettore Clouseau, e dell’intelligente Verso l'Eden di Costa-Gavras (nel quale il protagonista assoluto Riccardo Scamarcio non delude).

I Premi del 59mo Festival Internazionale del Film di Berlino
Orso d'Oro per il miglior film: La Teta Asustada di Claudia Llosa
Gran Premio della Giuria, Orso d'Argento: ex aequo Gigante e Alle Anderen
Miglior Regista, Orso d'Argento: Asghar Farhadi per Darbareye Elly
Miglior Attore, Orso d'Argento: Sotigui Kouyaté in London River
Miglior Attrice, Orso d'Argento: Birgit Minichmayr in Alle Anderen
Miglior Sceneggiatura, Orso d'Argento: The Messenger di Oren Moverman
Premio per il miglior contributo artistico, Orso d'Argento: Gábor Erdély per il sonoro di Katalin Varga
Premio Alfred Bauer: Gigante di Adrián Biniez e Tatarak di Andrzej Wajda
Premio per l'Opera Prima: Gigante di Adrián Biniez
Orso d'Oro miglior cortometraggio: Please Say Something di David OReilly (Irlanda)
Orso d'Argento per il cortometraggio: Jade di Daniel Elliott (Gran Bretagna)
Orso d'Oro alla carriera 2009: Maurice Jarre

Premio della Giuria Ecumenica (sezione competitiva): Lille Soldat di Annette K. Ohleson
Premio della Giuria Ecumenica (sezione Panorama): Welcome di Philippe Lioret

Premio FIPRESCI (sezione competitiva): La teta asustada di Claudia Llosa
Premio FIPRESCI (sezione Panorama): Nord di Rune Denstad Langlo

Premio del Pubblico della sezione Panorama:
Vincitore: The Yes Men Fix The World di M. Bonanno, A. Bichlbaum, K. Engfehr
Secondo classificato: Welcome di Philippe Lioret
Terzo classificato: Der Knochenmann di Wolfgang Murnberger

I Premi di Generation 14plus:
Orso di cristallo per il miglior film:
My Suicide di David Lee Miller
Menzione Speciale:
Mary and Max di Adam Elliot
Orso di cristallo per il miglior cortometraggio:
Aphrodite’s Farm di Adam Strange
Menzione Speciale:
Slavar di David Aronowitsch e Hanna Heilborn

I Premi di Generation Kplus
Orso di cristallo per il miglior film:
C’est pas moi! Je le jure! di Philippe Falardeau
Menzione speciale:
Max Pinglig di Lotte Svendsen
Orso di cristallo per il miglior cortometraggio:
Ulybka Buddy di Bair Dyshenov
Menzione Speciale:
Oh, My God! di Anne Sewitsky
Deutsche Kinderhilfswerk Grand Prix per il miglior film:
C’est pas moi, je le jure! di Philippe Falardeau
Menzione Speciale:
Flickan di Fredrik Edfeldt
Deutsche Kinderhilfswerk Special Prize per il miglior corto:
Oh, My God! di Anne Sewitsky
Menzione Speciale:
Jerrycan di Julius Avery

BERLINALE 2009
OLGA  NEUWIRTH  E MICHAEL GLAWOGGER : UNA COLLABORAZIONE CON GRANDI RISULTATI
di Paolo Eustachi

Das Vaterspiel
(Il gioco del padre) dell’austriaco Michael Glawogger, presentato all’ultima Berlinale nella sezione Panorama, è a nostro avviso un grande film, peraltro inspiegabilmente rimasto fuori dai premi, che si avvale del contributo di attori quali Helmut Koepping, Sabine Timoteo e Ulrich Tukur. Nella realizzazione di un video-game in cui si persegue una virtuale uccisione del proprio padre il trentacinquenne Ratz, persona fondamentalmente irrealizzata, vive la dissoluzione della sua famiglia che il corso della vita associa al destino di due altre famiglie di origine lituana, una decimata dai nazisti  e l’altra  quella dei carnefici, da tempo stabilitasi negli Usa e che caparbiamente conserva negli armadi un fantasma nazionalsocialista. Il nuovo video-game realizzato da Ratz riscuote un crescente successo negli Usa, dove egli si trasferisce su invito della sua amica e amore giovanile Mimi, e quando il padre – eminente figura politica social democratica ma allo stesso tempo corrotto e opportunista che ha abbandonato la famiglia per una giovane donna – si toglie la vita gravato dai debiti, diventa fatalmente troppo tardi fermarne la diffusione. Il film ispirato all’omonimo libro di Josef Haslinger si distingue per la sua interiore carica drammatica e per il suo profondo contenuto umano e esistenziale. Glawogger integra magistralmente alcuni tratti animati che raffigurano le idee del perverso video game in un lavoro dalla forte intensità narrativa e ricco di avvincenti inquadrature e arricchito dalla superlativa colonna sonora scritta dalla compositrice Olga Neuwirth, massima rappresentante dell’avanguardia contemporanea  austriaca. Di lei vorremmo qui ricordare alcuni significativi lavori quali “Sans soleil”, “Zerrspiegel”  per due Ondes Martenot, orchestra e live electronic (1994), “Clinamen/Nodus” per orchestra (1999) e ”Lost Highway”, studio di teatro musicale ispirato all’omonimo film di David Lynch (cd Kairos 0012542kai). Il suo linguaggio musicale  é rivolto alla trasformazione di spazi fisici interiori o esteriori in spazi musicali con una strumentazione brillante e con un avvincente gioco dialettico fra le sonorità reali degli strumenti e quelle artificiali della live electronic che riconduce l’ascoltatore ad alcuni lavori di Nono. Il  suo carattere fortemente associativo sconfina con frequenti citazioni nel mondo dell’arte, della letteratura e del cinema dando forma a marcati contrasti, sovrapposizioni, cambi di atmosfere e momenti di straniamento attraverso l’uso di effetti mediali e teatrali con cui la compositrice rappresenta l’interiore lacerazione del mondo in cui viviamo.  La sua musica scritta per il film di Glawogger ha un carattere spettrale e fortemente atmosferico, poggia su lunghe linee armoniche che si dilatano su un ampio spettro sonoro e si associa splendidamente alla carica drammatica del film mentre, nel suo affascinante interagire con le immagini, diventa parte determinante del suo incedere narrativo. Nel contesto della partitura Olga Neuwirth integra in modo superbo anche un passaggio della raramente eseguita “Pastoralmesse op. 147” di Diabelli, importante professore ed editore di musica oltre che compositore, nato nel Salisburghese nel 1781. Dopo l’esperienza berlinese non possiamo che rimanere in attesa di futuri ulteriori lavori per il cinema di questa brillante, estroversa e affascinante musicista austriaca.



 

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