62° Festival di Cannes "Here We Are Now, Entertain Us"

Reportage dal 62esimo Festival di Cannes62 festival di cannes
13-24 maggio 2009

«HERE WE ARE NOW, ENTERTAIN US»

Si dice che fosse questa la frase con cui Kurt Cobain si presentava alle feste. Vero o no, vi garantisco che, invece, è sicuro che è questo quello che ha in mente la gente ogni anno, a maggio, quando Cannes apre le danze e si trasforma in una gigantesca festa di 12 giorni. E se non proprio tutti hanno il fegato di ammetterlo (magari  proprio quando sono davanti al nerboruto buttafuori all’ingresso di un party esclusivo), almeno lo pensano.

Alla fine, anno dopo anno, Cannes è sempre quello che si definisce un festival riuscito. E ammetto, per me è davvero difficile non rievocare gli elogi più scontati, siano questi indirizzati alla sempre intrigante selezione di film presenti, alla gestione degli spazi o all’organizzazione di eventi collaterali. In due parole: Cannes è sempre una bellissima avventura. Direte voi: “D’altra parte, quando uno è in Côte d'Azur con il sole che scalda e abbronza, con le crêpes a portata di mano e i belli del cinema a portata di occhi…come può essere altrimenti?”. In effetti avete ragione. Con una location così, se per caso si palesa un inciampo organizzativo/lavorativo, si glissa con un bel sorriso. Forse è merito del clima, quello rilassato che si respira tutt’intorno, fatto di visi distesi, quasi vacanzieri. Il meglio del cinema internazionale si ritrova come sempre per lavoro e per piacere, e se il fascino della Croisette è indiscutibile, vale altrettanto per i protagonisti che quest‘anno hanno animato le giornate della kermesse. E’ stato l’anno di Tarantino e del suo esercito di bastardi, non bastardi qualunque, ma bastardi senza gloria. Erano presenti tutti, al gran completo: Brad Pitt, Diane Kruger, Mélanie Laurent, Christoph Waltz (straordinaria perfomance), Daniel Brühl, Eli Roth, Mike Myers, Michael Fassbender, e naturalmente lui, Quentin Tarantino. Oltre ad aver dato vita ad una conferenza stampa godibilissima, questo plotone sopra le righe ha anche improvvisato una danza  sulla Montée des marches!
Prima di passare ai veri protagonisti di Cannes, ovvero i film, vorrei segnalarvi un attore da monitorare per bene, un attore che nello specifico già l’anno scorso, sempre qui a Cannes con Hunger, aveva colpito tutti per il suo talento, e val la pena di dire, ha fatto centro anche con Tarantino dal momento che lo ritroveremo presto in Inglorius Basterds. Lui è Michael Fassbedner, tedesco emigrato a Londra (fisicamente immaginate una sorta di Daniel Day Lewsi mischiato a Ewan McGregor), che ha aperto il concorso con il film Fish Tank.

62esimo Festival di Cannes - Il programma completo


Film d'apertura:
Up, di Pete Docter

Concorso:

Los abrazos rotos, di Pedro Almodovar
Fish Tank,  di Andrea Arnold
Un Prophète, di Jacques Audiard
Vincere, di Marco Bellocchio
Bright Star, di Jane Campion
Map of the Sounds of Tokyo, di Isabel Coixet
A l'Origine, di Xavier Giannoli
The White Ribbon, di Michael Haneke
Taking Woodstock, di Ang Lee
Looking for Eric, di Ken Loach
Nuits d'ivresse printannière (Spring Fever), di Lou Ye
Kinatay, di Brillante Mendoza Soudain le Vide, di Gaspar Noé
Thirst, di Park Chan-wook
Les Herbes Folles, di Alain Resnais
The Time that Remains, di Elia Suleiman
Inglourious Basterds, di Quentin Tarantino
Vengeance, di Johnnie To
Visage, di Tsai Ming-liang
Antichrist, di Lars Von Trier

Film di chiusura:
Coco Chanel & Igor Stravinsky, di Jan Kounen

Un Certain regard:
Mother, di Bong Joon Ho
Irene, di Alain Cavalier
Precious, di Lee Daniels
Demain dès l'aube, di Denis Dercourt
À deriva, di Heitor Dhalia
Kasi az gorbehaye irani khabar nadereh, di Bahman Ghobadi
Los viajes del viento, di Ciro Guerra
Le Père de mes enfants, di Mia Hansen-Love
Amintiri din epoca de aur (Tales from the golden age), di Hanno Höfer, Razvan Marculescu, Cristian Mungiu, Constantin Popescu, Ioana Uricariu
Skazka pro temnotun (Tales in the darkness), di Nikolay Khomeriki
Kuki Ningyo (Air Doll), di Hirokazu Kore-Eda
Kynodontas (Dogtooth), di Yorgos Lanthimos
Tzar, di Pavel Lounguine
Independencia, di Raya Martin
Policier, Adjectif (Politist, Adjectiv), di Corneliu Poromboiu
Nang Mai, di Pen-Ek Ratanaurang
Morrer come um homem, di João Pedro Rodriguez
Eyes Wide Open, di Haim Tabakman
Samson and Delilah, di Warwick Thornton
The Silent Army, di Jean Van de Velde

Fuori concorso:
Agora, di Alejandro Amenabar
The Imaginarium of Doctor Parnassus, di Terry Gilliam
L'Armée du crime, di Robert Guédiguian

Proiezioni di mezzanotte:
Panique au village, di Stéphane Aubier, Vincent Patar
Drag Me To Hell, di Sam Raimi
Ne te retourne pas, di Marina de Van

Proiezioni speciali:
My Neighbor, My Killer, di Anne Aghion
Manila, di Adolfo Alix jr., Raya Martin
Min Ye, di Souleymane Cisse
L'Epine dans le coeur, di Michel Gondry
Petition, di Zhao Liang
Kalat Hayam, di Keren Yedaya

Locandina Drag Me to Hell

Le Giurie del 62mo Festival di Cannes
Sono due le principali sezioni competitive nella Selezione Ufficiale del Festival di Cannes: il Concorso e la sezione Un Certain Regard, ognuna corredata di giuria. La prima presieduta dall'attrice francese Isabelle Huppert, la seconda dal regista italiano Paolo Sorrentino. Ma vediamo in dettaglio i membri di queste due giurie.

Giuria del Concorso:

Isabelle HUPPERT, Presidente (Attrice - Francia)
Asia ARGENTO (Attrice, regista - Italia)
Nuri BILGE CEYLAN (regista, sceneggiatore, attore - Turchia)
Lee CHANG-DONG (regista, sceneggiatore, scrittore - Corea del Sud)
James GRAY (regista, sceneggiatore – Stati Uniti)
Hanif KUREISHI (sceneggiatore, scrittore – Regno Unito)
Shu QI (Attrice - Taiwan)
Robin WRIGHT PENN (Attrice - Stati Uniti)
Sharmila TAGORE III ( Attrice- India)
Giuria di Un Certain Regard:
Paolo SORRENTINO, Presidente (regista - Italia)
Uma DA CUNHA (India)
Julie GAYET (Francia)
Piers HANDLING (Canada)
Marit KAPLA (Svezia)

Giuria della Cinefondation e del cortometraggio:

John BOORMAN, Presidente (regista - Regno Unito)
Bertrand BONELLO (regista - Francia)
Ferid BOUGHEDIR (regista - Tunisia)
Leonor SILVEIRA (attrice - Portogallo)
ZHANG Ziyi (attrice - Cina)
Giuria della Camera d'Or (miglior opera prima)
Roschdy ZEM, Presidente (attore - Francia)
Diane BARATIER (direttore della fotografia - Francia)
Olivier CHIAVASSA (Francia)
Sandrine RAY (Francia)
Charles TESSON (Francia)
Edouard WAINTROP (Svizzera)

UpIniziamo allora a dare una breve scorsa ai film di questa edizione. Ha aperto le danze con Up, un incantevole film firmato Pixar che narra la storia, tenera (impensabile non commuoversi!) di Carl ed Ellie,  due bambini che sognano di diventare esploratori e di raggiungere assieme un luogo mitico del Sudamerica. I due si incontrano proprio grazie a questo sogno comune, e da allora non si separeranno mai. Dicevo mai, almeno sino all’inevitabile momento in cui Carl ormai vecchietto, rimasto vedovo, parte per realizzare il sogno comune della coppia, non ancora avverato. Ecco allora solo un’immagine magica, per non svelarvi troppo, pensate solo a una casa che vola appesa a migliaia di palloncini colorati. Un  sogno? Forse. Ma provate ora ad immaginare un branco nutrito di cani che parlano proprio come noi. Ancora un sogno? No. Up stesso è un mondo di fantasia in cui tutto è possibile. Ecco allora che fare i conti con una realtà non sempre piacevole diventa allora uno stimolo per guardare avanti.  Up affronta con saggezza temi non facili da affrontare, soprattutto in un cartoon, e centra l’obiettivo, ossia incanta il pubblico. Lode dunque a Pete Docter (già regista di Monsters & Co) e alla sua innata dote di affrontare sentimenti seri e profondi con tocco lieve corredando il tutto con scenografie fatate. Assolutamente imperdibile, per divertirsi, sognare e commuoversi con un bel paio di lunettes per lo schermo del 3-D sul naso. Dai sogni alla realtà dura e cruda, quella del microcosmo allo sbando di Fish Tank. Alla regia Andrea Arnold (premio della giuria nel 2006 a Cannes con Red Road), che questa volta si diletta a riprendere la vita quotidiana di Mia, una ragazza adolescente, inquieta, ribelle ma anche sensibile,  con alle spalle – e non poteva essere altrimenti!- una famiglia un po’ sbandata, composta da una madre single dai costumi allegri, una sorellina isterica e una manciata di amiche dall’allure discutibile. Un po’ come la piccola principessa che trova la forza di andare avanti grazie alla fervida fantasia, Mia trova pace grazie alla danza. Tutto procede con la solita monotonia smorzata da qualche colorito epiteto che madre e figlie si lanciano con nonchalance, sino al momento in cui, la madre “leggera” porta a casa il nuovo compagno, tale Connor, un bel fustacchione che si comporta da padre ideale. Domanda (inevitabile visto che le immagini insistono parecchio su questo punto): quest’uomo, è solo un possibile padre, un amico, o magari un possibile amante? Non vi svelo nulla di più. Da segnalare nei panni di Mia l’interpretazione di Katie Jarvis (a detta della regista l’attrice è molto simile al suo personaggio) e naturalmente Michael Fassbender. Da vedere: per i suoi protagonisti, e per l’indubbia bravura della regista di saper ritrarre un nucleo familiare a pezzi, tipico dei sobborghi in cui si cresce solo a pane e MTV.
Passiamo ora a Bright Star, film in cui tutto il pubblico maschile potrà ammirare Abbie Cornish, una sorta di Kidman in miniatura (per altezza, età, ma non per il talento).
taking woodstockAlla regia troviamo la Jane Campion di Lezioni di piano, che torna a Cannes con un film che racconta una tormentata storia d’amore tra il giovane John Keats e la sua amata e musa ispiratrice, la giovane Fanny Brawne.  Un film riuscito, se non altro dal punto di vista formale, ma l’impressione è che la Campion volesse esprimere qualcosa di più profondo, qualcosa di poetico. Non le riesce. In compenso la figura dei due protagonisti, e in particolare quella della giovane Abbie Cornish, dà senso al film.
A Cannes non poteva mancare un film, anzi, uno dei molti film francesi. E’ il turno di Un Prophète di Jacques Audiard. Cosa dire se non confermare il talento di colui che si trova dietro la macchina da presa? Audiard è un regista in grado di confezionare film di  grande fascino visivo, avvalendosi di spunti narrativi non banali. Un Prophète – storia carceraria che racconta dell’ “evoluzione” di Malik, un 19enne, e del suo percorso di crescita  (diventerà un tipo tosto) all’interno della prigione. Giudizio? Diciamo che si tratta di un affresco, ricco di spunti interessanti ma, ahimè, anche di evitabilissimi cliché! Passiamo ora ad Ang Lee, che in occasione del quarantennale di Woodstock, porta sullo schermo, guarda un po’, Taking Woodstock, adattamento del libro autobiografico di Elliot Tiber “Woodstock: A True Story of a Riot, a Concert, and a Life” presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes e in anteprima italiana al Biografilm Festival di Bologna. Il film racconta la storia di Tiber, un uomo che dà inconsapevolmente il via ad uno dei festival rock più importanti della storia della musica, ovvero quello di Woodstock, tenutosi tra il 15 e il 17 agosto del '69 a Bethel, una piccola cittadina di New York. “Non volevo raccontare Woodstock, ma la storia di colui che diede vita ad un evento così importante. La storia di Tiber diventa ben presto la storia del Concerto e quest’ultima si congiunge a sua volta con la storia di un’intera società”, racconta Lee a proposito del suo film che, va da sé, racchiude le tematiche a lui più care: famiglia, ricerca e accettazione del proprio io, scontro generazionale e naturalmente sessualità. Nulla da aggiungere. Da vedere per le spassose situazioni e per un Liev Schreiber davvero inedito!
E ora The strange case of Mister Gondry. No, calmi, non è il titolo di un film, è solo la mia intro. Ma prima devo fare una premessa: io adoro Gondry. A riprova di quanto dico vi svelo ciò che ho pensato dopo un secondo di film: “ma cosa ha bevuto Gondry prima di girare questo film, L'épine dans le coeur”? La sostanza rimane tutt’oggi sconosciuta.  Purtroppo non è così per gli effetti, che si sono manifestati in tutto il loro candore naïf. Ora vi spiego perché. Il regista francese ha portato a Cannes un filmino di famiglia! Sì, avete sentito bene, parlo proprio di uno di quei filmetti che si girano in casa, facendo parlare la mamma, il papà o chi volete. Gondry ha deciso di far parlare la zia, Suzette, una mite creatura che si è completamente aperta al nipote, scoppiando anche in lacrime (vere). Ma, e qui vien fuori il genio Gondry, questo film non è ciò che appare, ossia un filmino familiare, ma è, almeno a tratti, un ritratto di sentimenti, quelli veri. E sfido qualsiasi nostro filmino di natale o vacanziero a essere altrettanto! Vi starete chiedendo chi sia la zia di Gondry, vero? Dunque, Suzette Gondry è una ex maestra elementare che ha insegnato in svariati paesini della Francia dai primi anni ’50 sino alla seconda metà degli anni ‘80. Così Gondry ha pensato bene di visitare ogni scuola in cui Suzette ha insegnato, e di farsi raccontare aneddoti, giornate etc. Attenzione però, L’épine dans le coeur del titolo è il rapporto difficile che questa zia d’altri tempi ha con il figlio Jean-Yves, un personaggio a dir poco buffo. In sostanza come avrete inteso si tratta  di un esperimento interessante, che colloca il film a metà strada tra il semplice filmino, il film, e il documentario. Promosso… anche perché farsi i fatti degli altri è sempre divertente.
Meno divertente è Vengeance di Johnnie To, di cui è protagonista Johnny Hallyday. Un vero mito per i sessantenni, visto che si tratta di una leggenda della musica francese che andava forte un bel po’ di anni fa. Nel film Hallyday dà corpo e volto a Mr Costello (come il personaggio di Alain Delon in Le Samourai di Jean-Pierre Melville), un “cuoco” abile con coltello, forchetta,  pentole e pistole (visto che pare  nascondere un passato da killer) la cui figlia viene uccisa a sangue freddo insieme a marito e figli. La trama a ben pensare non è certo delle più originali, ma c’è qualcosa che fa del film un giocattolo simpatico, probabilmente grazie alle simpatiche battute e alle stupefacenti sparatorie. Curioso. Passiamo oltre e divertiamoci un pizzico con un film con la effe maiuscola: Looking for Eric di Ken Loch. Sì, lo so, Ken Loach e risate suonano un po’ strane nella stessa frase…ma qui si tratta di una “non commedia” dalle venature surreali che ha per protagonista un uomo “diroccato” la cui vita va allegramente a rotoli,  e il suo amico invisibile, ossia il suo idolo, il calciatore Eric Catona. Allora, dette solo queste poche cose, non siete curiosi di vederlo? Le risate si sprecano, così come i colpi bassi che la vita ogni tanto si diverte a propinare. Meno male che esistono gli amici, esistono i miti, esiste in sostanza qualcosa per cui combattere o in cui credere. La magia si compie quando questo qualcosa è in grado di far credere in se stessi. Così sarà per il nostro protagonista Eric, che grazie a Le Roi, troverà fiducia e si confronterà con il destino riprendendo tra le mani le redini della sua vita. La forza del film è tutta in una sceneggiatura brillante e nel suo umorismo, nei dialoghi, siano questi tra Eric e gli amici e ancora meglio tra Eric Cantona e il protagonista. Da un film da vedere ad ogni costo passiamo ad una pellicola invedibile: Antichrist di Lars Von Trier, attesissimo film evento del Festival di Cannes. Per una volta le aspettative non sono state deluse. Qui c’è tutto quello che occorre per far parlare, perchè Lars von Trier volontariamente sceglie di provocare e di mostrare scene di sesso esplicite, obbrobri, brutture. D’altra parte lui può farlo, almeno secondo quanto è uscito di bocca allo stesso Von Trier, ossia che lui è il miglior regista del mondo, che i suoi film sono nelle mani di Dio, che forse è lui a non essere il miglior Dio del mondo. No comment, anzi sì, benedette (aggettivo azzeccato già che si parla di anticristo) siano le persone con una faccia tosta di tale portata e soprattutto con un ego così smisurato! Non saprei cosa consigliarvi…vince la risposta saggia: questo è un film che seppur trascurabile (opinione personale) va visto per la sua sfacciataggine e la sua supponenza, e per quella voglia matta di erigersi ad assoluto che ne fa un prodotto coraggioso. los abrazos
Almodovar sa raccontare storie come nessun altro. Sa intrattenere e creare empatia con i suoi protagonisti. Los abrazos rotos ne è l’ennesima prova. Si tratta di un film almodovariano e con questo intendo dire che ha dalla sua una ottima sceneggiatura, delle immagini che sembrano rubare la vita dalla vita stessa, e ovviamente eccellenti interpreti capaci di dimenarsi con destrezza sia quando i toni si fanno da commedia, sia quando mutano in melodramma o ancora in declinazioni da film giallo. Non esiste il presente, ma solo il piacevole dondolio tra i ricordi del dolce passato e l’amaro presente. Poche le critiche che si possono dunque muovere, forse un po’ di grinta in più non avrebbe fatto male, un po’ di colore in più, un po’ di passione…a cui il regista ci ha da sempre abituato. Passiamo ad un film in costume, Agora, di Alejandro Amenabar, ambientato ad Alessandria d'Egitto, più precisamente nella seconda metà del IV secolo dopo Cristo, epoca in cui la città in cui convivono cristiani, pagani ed ebrei è anche un vivo fulgente centro di ricerca scientifica. Sullo sfondo di lotte di potere e di religione, e di amori non corrisposti, Amenabar trova la chiave per dare al film l’occasione di essere un’indagine storica, dalla quale emergono fatti non proprio così noti (come la presa di potere da parte dei cristiani di Alessandria, guidati da un vescovo brutale). Tolto qualche empasse (alcuni clichè che Amenabar, da ragista dotato qual è, poteva certo evitare) rimane un film che merita la visione. Lo stesso non posso dire per Vincere di Marco Bellocchio. Una sorta di sceneggiato tv mal riuscito, che ha come oggetto il Fascismo, vissuto attraverso il dramma privato di Ida Dalser, moglie ripudiata da Mussolini e madre del suo primogenito, rinchiusa in manicomio per essere ridotta al silenzio. Da salvare l’ottima fotografia di Daniele Ciprì, e un commento sonoro potente come l’epoca di cui si parla. Gli interpreti poi, Timi nel ruolo del Duce e Giovanna Mezzogiorno in quello della sua amata e ripudiata amante/sposa, non giovano alla storia. Troppo teatrali, caricaturali. Per un film, ancora una volta, troppo italiano nel senso “peggiore” del termine, vale a dire nella sua incapacità di volare alto trascinando via gli spettatori.
E finalmente è arrivato il turno di Tarantino e del suo Inglorious Basterds. A Quentin piace strafare, piace giocare con il linguaggio cinematografico, piace divertirsi…che poi si diverta anche il pubblico è una conseguenza.  C’è di tutto di più in Inglorius Basterds, c’è il mare di mixare riferimenti ai film che hanno segnato un genere bellico (Quel maledetto treno blindato e Quella sporca dozzina) e il western (Ford,  Peckinpah e naturalmente Leone). Non c’è che dire, l’amore che nutre Tarantino per il cinema è immenso, e lui lo palesa, questo amore, rendendolo “il luogo” in cui tutto può accadere, il luogo in cui  si può riscrivere l’intera storia. Da vedere, per capire che dietro a un grande regista c’è solo un grande Maestro, il cinema. Tocca ora a Les Herbes Folles di Alain Resnais, storia surreale che racconta con toni da commedia l’imprevedibilità dell’amore. bastardi senza gloriaUn film francese sino al midollo, capace però di prendersi alla leggera, giocando a rimpiattino con  la commedia così come l’amore fa con le persone. Ed è in questa sua freschezza che il regista 86enne convince ancora una volta.  Sempre in tema di divertimento ecco il film d’animazione Panique au village di Stephane Aubier e Vincent Patar. Basato su una serie televisiva belga di grande successo, popolarissima anche in Francia ed in altri paesi europei (tra cui l’Inghilterra, dove a curarne l’adattamento è la Aardman), Panique au village ha come location un mondo popolato dai pupazzetti di plastica , che possono essere di persone o di animali.
Per i bambini  e per  gli adulti, per sognare con una creatività senza confini.
E’ il caso di dirlo, con Il nastro bianco di Michael Haneke si sogna un po’ meno. Siamo in un piccolo villaggio del nord della Germania, freddo il clima, freddo il film e freddi i rapporti tra i protagonisti. La fotografia si sublima in un bianco e nero raggelante e che elimina qualsiasi calore umano. Forse non poteva fare altrimenti, Haneke, per far arrivare a noi, l’essenza del nazismo…l’intento è lodevole, il risultato un po’ meno. Da un orrore ad un altro. Ecco Drag Me to Hell di Sam Raimi, presentato ad hoc nella sezione delle proiezioni di mezzanotte. Da vero maestro del brivido e della risata, Raimi confeziona un film che alterna momenti di stampo hitchcockiano a momenti più inquietanti, condendo il tutto con un ritmo davvero avvincente. Da vedere per rendersi conto che anche un bel film di paura può aver qualcosa da dire. Ed ora passiamo invece ad uno dei film che ho amato maggiormente, The Imaginarium of Doctor Parnassus di Terry Gilliam. Questo si che è sogno allo stato puro; con Gilliam la fantasia viene stimolata all’inverosimile ed è allora che tutto diventa possibile. La sua forza creativa non ha limiti né regole, è vera e sincera, ed è proprio grazie a questa onestà che il film porta lo spettatore lontano, in mondi fatati, senza bisogno di passaporti particolari.  C’è tutto l’essenziale per rendere  accattivante la vicenda, si parla di immortalità e di patti con il diavolo. Si attraversano specchi magici che portano in un mondo parallelo, un mondo che appartiene solo ed esclusivamente ai sogni di chi vi entra. Da fiaba anche il cast, da Plummer alla enigmatica  Lily Cole, da Ledger a Tom Waits, passando per gli attori che hanno “sostituito” Heat Ledger, ossia Depp, Law e Farrell. Per tutti coloro che si chiedono come sarebbe stata la loro vita se avessero fatto scelte differenti. Per tutti quelli che amano e sanno cosa significa amare. Per tutti coloro che sognano, e che sanno mettere con facilità le ali alla fantasia. Meno fantasiosa è invece la vicenda di The Time that Remains di Elia Suleiman, che propone una vicenda tutta familiare, che parte dal 1948, l’anno del primo conflitto arabo-israeliano. Partendo da una vicenda personale, Suleiman ripercorre inevitabilmente la storia del suo popolo. Raccontando delle sue radici personali, racconta di quelle culturali e del suo essere palestinese e lo fa con il suo stile inconfondibile capace di coinvolgere, di divertire, di far pensare. Da vedere per riflettere. Map of the sounds of Tokyo di Isabelle Coixet, invece, ha ben poco da segnalare, se non uno stile che si conferma film dopo film un po’ troppo studiato per accattivarsi lo spettatore a scapito di un atto di coraggio, quello di spingere un po’ di più il pedale della regia verso uno stile più personale. Irritante. Passiamo ora al penultimo film, Visage del taiwanese Tsai Ming-liang, che colpisce, almeno la sottoscritta, per il solo talento visivo, e per alcune trovate interessanti. Per il resto, storia compresa, si registra, invece, calma piatta.

Festival di Cannes 2009 i Premi della 62ma edizione del Festival Internazionale del Film


Tutti i premi del 62mo Festival Internazionale del Film di Cannes: Il Concorso, Un Certain regard, La Quinzaine des réalisateurs, La Semaine de la Critique e La Cinéfondation.

Selezione Ufficiale in Concorso
Palma d'Oro del Miglior Film: The White Ribbon, di Michael Haneke
Grand Prix: Un Prophète, di Jacques Audiard
Premio Eccezionale della Giuria: Alain Resnais
Premio della Giuria Ex-aequo: Fish Tank, di Andrea Arnold e Thirst, di Park Chan-wook
Premio per la migliore interpretazione maschile: Christoph Waltz per Inglourious Basterds, di Quentin Tarantino
Premio per la migliore interpretazione femminile: Charlotte Gainsbourg per Antichrist, di Lars Von Trier Premio per la Sceneggiatura: Mei Feng per Nuits d'ivresse printannière (Spring Fever), di Lou Ye Premio per la Regia: Kinatay, di Brillante Mendoza
Caméra d'Or miglior Opera Prima: Samson and Delilah, di Warwick Thornton
Menzione Speciale Caméra d'Or: Ajami di Copti e Shami
Palma d'Oro del cortometraggio: Arena di Joao Salaviza
Menzione Speciale per il cortometraggio: The Six Dollar Fifty Man di Mark Albiston e Louis Sutherland
Premio della Giuria Ecumenica
Looking for Eric di Ken Loach
Menzione speciale per: Le Ruban blanc di Michael Haneke
Premio della Crtica Internazionale - Premio FIPRESCI
Concorso : Le Ruban blanc di Michael Haneke
Un Certain Regard : Politist, Adjectiv di Corneliu Porumboiu
Sezioni collaterali : Amreeka di Cherien Dabis (Quinzaine des Réalisateurs)

Un Certain Regard
Prix Un Certain Regard
Kynodontas (Dogtooth) di Yorgos Lanthimos
Premio della Giuria di Un Certain Regard
Police, Adjective di Corneliu Porumboiu
Premio Speciale Un Certain Regard
Kasi Az Gorbehaye Irani Khabar Nadareh (No One Knows About Persian Cats) di Bahman Ghobadi Father of my Children di Mia Hansen-Løve

Semaine de la Critique
Grand Prix della Semaine de la Critique
Adieu Gary de Nassim Amaouche (Francia)
Premio SACD
Lost persons area di Caroline Strubbe (Belgio / Olanda / Ungheria)
Premio ACID
Whisper with the Wind di Shahram Alidi (Kurdistan)
Grand Prix Canal + per il miglior cortometraggio
Slitage (Seeds of the fall) di Patrik Eklund
Premio "scoperta" Kodak del cortometraggio
Logorama di François Alaux, Hervé de Crécy, Ludovic Houplain
Premio della giovane critica
Whisper with the Wind di Shahram Alidi (Kurdistan)
Premio "sguardo giovane"
Whisper with the Wind di Shahram Alidi (Kurdistan)

Quinzaine des Réalisateurs
Art Cinema Award
J'ai tué ma mère di Xavier Dolan (Canada)
Art Cinema Award - Menzione speciale
La Merditude des choses di Felix Van Groeningen (Belgio)
Premio SACD
J'ai tué ma mère di Xavier Dolan (Canada)
Premio "sguardo giovane"
J'ai tué ma mère di Xavier Dolan (Canada)
Prix Europa Cinéma
La Pivellina di Rainer Frimmel e Tizza Covi (Austria / Italia)
Premio SFR
Montparnasse di Mikhaël Hers (Francia)
Cinéfondation - 1° Premio
Baba di Zuzana Kirchnerová-Špidlová (Repubblica Ceca)
Cinéfondation - 2° Premio
Goodbye di Song Fang (Cina)
Cinéfondation - 3° Premio ex-aequo
Diploma di Yaelle Kayam (Israël) / Don't Step Out Of The House di Jo Sung-hee (Corea del Sud)
Short Film Corner - Premio Mini-Movie
"Arthur Ouegon" di Côme Levin (Francia)
Short Film Corner - Premio France 2
"Le Soleil des Ternes" di Eric Bu (Francia)


Il poster di Imaginarium of Doctor Parnassus






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